La letteratura è legata a piaceri e stimoli multisensoriali, riguardando e toccando questa l’essere umano nella sua integrità con i propri cinque sensi, c’è poi chi dice che esista un sesto, forse un settimo, ottavo senso ecc…, ma questo è un altro discorso, in sé stesso anche questo molto letterario. Per Nabokov addirittura il piacere letterario era localizzato in un punto ben preciso del corpo, la schiena, lungo la quale scorreva o avrebbe dovuto scorrere come qualcosa di tattile, asseriva l’entomologo, scrittore ed esule russo, quel brivido che secondo l’autore di Lolita era la vera prova dell’appagamento letterario, quindi non un mero e astratto piacere intellettuale e/o concettuale. La vista è un altro dei cinque sensi, fondamentale nella letteratura, perché ci permette di leggere le parole che scorrono nei libri, e alla vista, all’immagine fotografica dalla quale scaturiscono suggestioni letterarie del resto sono legate le poetiche di molte autrici e autori, basti pensare a una delle scrittrici contemporanee fra le più amate della letteratura francese e da non molto scoperta anche da noi: Annie Ernaux.
L’udito è un altro dei sensi coinvolti e commissionati alla fruizione e all’origine della letteratura. Musica e letteratura si incontrano, dialogando e arricchendosi a vicenda. Questo è un po’ il senso più profondo e il fascino del bel saggio di Liborio Conca, già redattore tra le altre cose del blog culturale Minimaetmoralia, volume edito nel 2018 da Jimenez Edizioni e da poco uscito anche in versione ebook.
Queste commistioni naturalmente sono indagate e sviscerate con una ricca e precisa attenzione all’analisi filologica, sulla base di quelle che possono essere le preferenze (musicali e letterarie) dell’autore, quindi si tratta di un percorso fatalmente limitato e parziale, ma è anche vero che è dal tempo dell’antica Grecia, al quale almeno nella tradizione occidentale si fa risalire l’origine della storia della musica, che la cetra era lo strumento utilizzato per accompagnare i racconti delle leggende degli dei e degli eroi, quindi una forma proto-letteraria. Da quel lontano periodo che ci separa dai lirici greci a oggi ognuno potrà trovare, se vorrà, le proprie commistioni, prestiti, dialoghi, suggestioni, interazioni. Il volume di Liborio Conca come suggerisce il titolo (Rock Lit) esamina e traccia un percorso, che come detto può essere personale, ma in ogni caso legato alla storia del rock, o almeno a una sua parte, rock, quel termine utilizzato fin troppo sbrigativamente per indicare un tipo di musica e cultura da distinguere dalla cosiddetta musica colta o classica che dir si voglia.
Bando alle etichette, sempre stucchevoli e parziali, infatti Conca nel volume ne fa un uso parsimonioso (per non dire inesistente), il percorso tracciato dal saggio inizia da un party svoltosi a metà degli anni Ottanta al Limelight di New York, una chiesa sconsacrata, festa alla quale prenderanno parte tra gli altri William Burroughs, David Bowie, Sting. Già il trovarsi vicini il “Padrino” della beat generation e alcuni fra i maggiori interpreti del panorama “rock” degli anni successivi (fra i quali al Limelight anche Lou Reed e Patti Smith) è sintomo di una possibile contaminazione fra musica e letteratura. Nello specifico burroughsiano (aggettivazione che è anche il titolo del primo capitolo del volume), analizzando le influenze sulla musica di alcuni grandi firme del panorama a musicale di quelli e degli anni successivi, una particolare attenzione è posta ai R.E.M., il gruppo di Athens – Georgia, che da metà degli anni Ottanta del secolo scorso al 2011 (anno del loro scioglimento) ha calcato i palcoscenici mondiali, focalizzando l’autore l’attenzione proprio sull’influenza della poetica dell’autore de Il pasto nudo sui testi delle canzoni scritte da Micheal Stipe, il quale infatti dirà “le parole devono volare”, un chiaro prestito dal cut-up di William Burroughs. Sempre su prestiti, derivazioni e influenze significativo è quanto detto dallo stesso leader dei R.E.M.: “Ho letto tutto Rimbaud a causa di Patti Smith”, una frase che racchiude uno dei nuclei di tutto il libro, ammette Conca.
Nella scia “burroughsiana” si inserisce anche la parabola di Kurt Cobain, il leader dei Nirvana morto suicida nell’aprile del 1994, anche lui “contaminato” dal “Padrino” della beat generation con il quale ha anche collaborato. Il valore aggiunto di Rock Lit è anche e soprattutto la ricchissima aneddotica frutto certamente di una certosina documentazione dell’autore, la quale ha un effetto straniante e avvolgente al tempo stesso, lasciando in un certo modo in sospeso il giudizio del lettore sul confine fra la realtà (evidentemente documentata) di quanto narrato e la possibile invenzione di tanti piccoli grandi eventi musical-letterari che escono fuori dal volume come tante perle scintillanti, e questo è un piccolo miracolo del libro, che poi questa fra invenzione e realtà è da sempre la stessa dicotomia che affascina gli amanti della letteratura. Il ricorso alle note a pié di pagina (mai didascalico) ricorda David Foster Wallace e dà il giusto tocco “postmoderno” per quanto questo possa significare a un volume che già per la sua stessa essenza lo è.
Il percorso di Conca nel “rock lit” si addentra nel sud degli Stati Uniti, in quei territori del Southern Gothic che hanno partorito mostri sacri quali William Faulkner e Flannery O’Connor verso i quali gli stessi R.E.M., provenienti da quelle stesse terre, ammetteranno il loro debito, senza dimenticare, tra gli altri, il compianto (anche lui suicida, nel 2010) Mark Linkous, leader degli Sparklehorse, il più letterario dei rocker forse, colui al quale come scrive Conca in una nota citando un’intervista, se a Tom Jones gettavano mutande, a lui, Linkous, i fan “lanciavano letteratura”. La musica e le parole di Mark Linkous che sembrano avere le stesse assonanze e movenze di Breece D’J. Pancake, altro autore del sud (guarda caso anche lui suicida) del quale Minimum Fax ha riproposto nel 2016 i suoi racconti nella raccolta Trilobiti (già pubblicata anni prima dalla casa editrice ISBN, poi fallita).
Molte altre sono le contaminazioni, i prestiti e le influenze esaminati lungo questo affascinante cammino musicale e letterario. Potremo così scoprire gli echi kafkiani nei testi di uno tra i più significativi cantautori degli anni novanta, anche lui proveniente dalla stessa Athens, Georgia dei R.E.M., al secolo Vic Chesnutt (1964-2009), scopriremo ciò che ha significato ancora Flannery O’Connor per il ben più noto Bruce Springsteen e l’incontro dello stesso boss con il fantasma di Tom Joad, il protagonista del romanzo di Steinbeck Furore, figura al quale Springsteen ha addirittura dedicato un intero album nel 1995.
Scopriremo in definitiva l’importanza del leggere e ascoltare e delle reciproche contaminazioni, una nuova modalità del leggere e dell’ascoltare (il libro di Conca dovrebbe essere letto con a portata di mano un dispositivo per l‘ascolto della musica che cammino facendo incontriamo), cosa che trova la sua espressione e una qualche consacrazione nel Nobel per la letteratura assegnato a Bob Dylan nel 2016 “Per aver creato nuove espressioni poetiche all’interno della grande tradizione della canzone americana” come da motivazione dell’Accademia svedese, Bob Dylan che in Chronicles, la sua autobiografia scrive “I libri danno alla stanza una vibrazione potente e che insieme dà la nausea”
Tra le varie tracce biografiche dei musicisti che incontreremo ne scopriremo anche molte su Leonard Cohen, sul suo essere stato scrittore prima che il musicista e cantautore conosciuto in tutto il mondo con il suo esordio discografico del 1967, sapremo della sua storia d’amore nella lucente isola greca di Hydra con la norvegese Marianne Ihlen, ispiratrice di una delle sue canzoni più famose So Long, Marianne, la storia di una vita, tanto da essere testimoniata nella corrispondenza prima della morte nella quale Marianne confesserà di non aver mai smesso di sognare Leonard negli ultimi quarant’anni della sua vita, Cohen, che morirà solo quattro mesi dopo Marianne e il quale dirà in un’intervista del 1988 che nella sua visione ogni artista, scrittore, musicista, non replica che di continuo una sola opera, forse come un amore.
Amore, letteratura, musica, più di una guida interpretativa: Jeff Mangum, leader dei semisconosciuti Neutral Milk Hotel, confesserà il suo amore per Anna Frank della quale leggendo il suo Diario letteralmente si innamora e nella cui vita e tragica vicenda si perde, traendo da lei ispirazione per il loro album più famoso del 1998, In The Aeroplane Over The Sea e dicendo al proposito: “Mentre stavo leggendo il libro Anna era viva per me, completamente. Sapevo cosa stava per succedere. Ma così stanno le cose. Ami le persone perché conosci la loro storia. Hai simpatia per le persone anche quando fanno cose stupide perché sai da dove vengono e capisci cosa gli passa per la testa. Quindi, leggendo il libro mi sentivo come fossi entrato nella testa di qualcuno, in un modo persino più profondo di quello che puoi fare quando conosci questa persona in carne e ossa. E poi alla fine, viene eliminata come fosse spazzatura”.
Nel cammino ci sposteremo infine sull’altra sponda dell’oceano, nella cara vecchia Europa, per incontrare tra gli altri Morrissey che ai tempi dei mai dimenticati The Smiths, in uno dei loro primi e meno noti brani cantava: “There’s more to life than books, you know/ But not much more/ Not much more”, lo stesso ex leader degli Smiths sul quale per la ben nota influenza di Oscar Wilde nei testi delle sue canzoni, causa quasi stupore sapere che nei primi anni del nuovo millennio, nella oramai sua consolidata carriera solista si possa apprendere di un suo imprevisto amore per Pasolini, ma del resto si sa “C’è molta più vita nei libri, ma non troppo, non troppo”, frase tratta dal brano smithsiano che fa il pari con quella degli scozzesi di Glasgow Belle & Sebastian i quali nel brano Wrapped Up in Books contenuto nel loro sesto album del 2003 dal titolo Dear Catastrophe Waitress, diranno per voce del loro leader Stuart Murdoch: “Our aspirations, are wrapped up in books”, appunto.
Non poteva poi mancare la Kate Bush di Wuthering Heights, la hit planetaria del 1978 della cantautrice nonché danzatrice londinese, brano direttamente ed esplicitamente ispirato dal capolavoro di Emily Brönte Cime Tempestose, e per rimanere nella terra di Albione come dimenticare la connessione tra l’assurdo che si trova nei testi di molti brani dei Cure per mano del suo leader, il da sempre cotonatissimo Roberth Smith, e Kafka e Camus, impossibile non citare in tal senso Killing an arab, il brano nel quale il protagonista sembra lo stesso Mersault de Lo straniero dello scrittore e Nobel francese. E ancora le suggestioni carrolliane (nel senso di Lewis Carrol) in una canzone dei neoromantici (e anche loro scozzesi) Travis fino a quelle gogoliane nei Joy Division di Ian Curtis o quelle orwelliane nei Radiohead nel cui album della consacrazione Ok Computer del 1997 molti dei brani sono ispirati da Guida Galattica per Autostoppisti di Douglas Adams.
Insomma, anche nella musica cosiddetta “rock” è contenuta l’essenza dell’arte, delle emozioni, dell’amare e del vivere ci dice Liborio Conca. Vale citare per intero questo brano che è l’incipit dell’ultimo capitolo del volume:
“Quando ci imbattiamo in un’opera destinata a cambiare la percezione che abbiamo delle cose – “cose” come il modo di intendere la vita o di stare al mondo, o che riguardano la complessa costruzione dei sentimenti – è in quel preciso momento che l’arte assurge alla sfera più alta della propria essenza”
Quelle qui citate, raccontate, contenute in libri, in canzoni, sono storie di amore, libertà, ribellione e morte, certo anche morte, che aleggia in vari modi nella musica, nei libri da cui è tratta e nei protagonisti di Rock Lit. La morte si presenta come protagonista di brani musicali, di romanzi e dell’esistenza stessa dei loro autori, come una presenza minacciosa, in alcuni casi in modo diretto, in altri in modo più ellittico, magari per gli effetti dalla lettura di un romanzo capolavoro come Il Giovane Holden di J.D. Salinger, basti pensare che l’assassino di John Lennon, Mark David Chapman dopo aver sparato all’ex Beatles si siederà su un marciapiede nei pressi del luogo dell’omicidio leggendo il romanzo di Salinger, un po’ la stessa cosa che accade a John Hinckley, l’uomo che sparò a Ronald Reagan, che dirà di essere un fan di Holden Caulfield. La morte inevitabile, quella materiale, fisiologica, il destino che incombe su tutti gli esseri viventi e che nemmeno una canzone rock o un libro potrà mai sconfiggere, ma che come per Patti Smith alimentata nella sua opera musicale (e poetica) dallo “spirito guida” di Arthur Rimbaud, e per altri che avranno i loro numi tutelari, può essere tenuta debitamente a distanza.
L’epifania da poco tutte le feste si è portata via, ma è bello ricordare che in quello stesso giorno è uscito anche in ebook Rock Lit del quale Liborio Conca è l’autore, Jimenez l’editore.
Edizione esaminata e brevi note
Liborio Conca, giornalista e redattore del blog culturale minima&moralia e per diversi anni ha curato la rubrica letteraria Re: books per il mensile Il Mucchio Selvaggio. Ha scritto o scrive per Blow Up, Il Tascabile, Esquire, la Repubblica e The Towner. Vive a Roma.
Liborio Conca, Rock Lit, Jimenez edizioni, 2018, 188 pp.
Simone Bachechi, gennaio 2021
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