Nel 2006 il famigerato Marco Travaglio pubblicò “La scomparsa dei fatti”, un saggio che così esordiva: “I fatti separati dalle opinioni. Era il motto del mitico Panorama di Lamberto Sechi, inventore di grandi giornali e grandi giornalisti. Poi, col tempo, quel motto è caduto in prescrizione, soppiantato da un altro decisamente più pratico: “Niente fatti, solo opinioni”. I primi non devono disturbare le seconde. Senza fatti, si può sostenere tutto e il contrario di tutto. Con i fatti, no. Oggi sono spesso le opinioni a trasformarsi in fatti” (pag. 1).
A tanti anni di distanza, con lo stesso spirito inteso alla demistificazione di innumerevoli “inesattezze”, Gianni Barbacetto torna a scrivere di Bettino Craxi, delle sue vicende giudiziarie ed anche – questo l’aspetto più urticante per una larga parte di politici e di giornalisti – delle smemoratezze e del conformismo che hanno rappresentato l’ex leader del PSI, non soltanto come un infallibile leader, ma al pari di un politico onesto, vittima di inenarrabili macchinazioni; mentre: “quelli che beatificano Craxi cercano di riabilitare se stessi, di assolvere il proprio passato e giustificare il proprio presente, di sottolineare la loro insofferenza verso la politica di oggi” (pp.3). Tentativo di beatificazione che Barbacetto affonda subito ricordando quello che tanti dimenticano, o meglio fanno finta di dimenticare, come ci dimostra il titolo della biografia scritta dal giornalista Marcello Sorgi, “Presunto colpevole”: “come presunto colpevole? Craxi è stato condannato con sentenze definitive a cinque anni e sei mesi per corruzione Eni-Sai e quattro anni e sei mesi per finanziamento illecito per le tangenti di Metropolitana milanese” (pp.4).
Il pamphlet, visto che “la verità processuale dell’imperfetta giustizia degli uomini è l’unica a cui possiamo attenerci”, in poche pagine riesce a sintetizzare molto bene vicende politiche e giudiziarie complicatissime e soprattutto si concentra sul “secondo e il terzo Craxi”, quello che aveva rotto i ponti con Lombardi e Giolitti e quello che aveva condotto il partito dentro la bufera di tangentopoli; mentre, con onestà intellettuale, cita “il primo Craxi”, con le parole di Flores D’Arcais, inflessibile col tangentista, che malgrado tutto l’aveva apprezzato inizialmente come “portatore sulla scena politica italiana di un progetto innovativo”. Vicende come quelle della supermazzetta All Iberian, i tentativi di screditare, con tanto di servizi deviati, i giudici di Milano, le sentenze che hanno certificato raccolte di mazzette non soltanto per il partito (come invece vogliono gli affezionati a Bettino), il conto numero 633369 presso la Ubs di Lugano; e molto altro ancora, tra politica spregiudicata e autentici misfatti.
Anche i presunti complotti del PCI e della CIA, che avrebbero imbastito il golpe di Mani Pulite, vengono archiviati innanzitutto a rigor di logica: “gli stessi che sostengono che Mani Pulite è il frutto di un complotto della Cia, contemporaneamente dicono che i magistrati del pool di Milano erano toghe rosse che avevano l’obiettivo di far arrivare al potere il Pci. Secondo questa logica sbilenca e paranoica, la Cia avrebbe lavorato per favorire i comunisti” (pp.165). Una logica non tanto sbilenca quanto semmai paracula – è questo l’aspetto più rilevante del pamphlet – viene contestata nelle pagine di Barbacetto a chi, quando venne allo scoperto la diffusa corruzione politica, si scagliava senza pietà contro “il cinghialone” (parole di Vittorio Feltri), mentre adesso la racconta diversamente, come operazione politica e Craxi è quindi ridiventato un perseguitato da magistrati comunisti. Una beatificazione che nasce grazie a personaggi forse non troppo affidabili. Ad esempio Claudio Martelli col suo libro “L’antipatico” che scrive: “Perché io ho passato vent’anni a difenderlo e ancora non ho smesso?” Mentre Barbacetto ci ricorda le prime prese di distanza del “delfino”, e poi gli attacchi frontali al suo capo, o ex capo, prima e dopo il primo avviso di garanzia. Stesso schema quello di Giuliano Amato, che si meritò dall’ex segretario del Psi gli epiteti di “trasformista” e “voltagabbana”. Ma “gli anni passano. I ricordi si appannano. La storia si aggiusta. Tutti tornano craxiani, pronti a celebrare una memoria smemorata” (pp.37).
In sostanza, non soltanto un semplice compendio delle vicende molto poco apprezzabili che hanno visto protagonisti Bettino Craxi e i suoi ladroni, quanto la rappresentazione di un problema tutto italiano: ovvero quando il negazionismo, l’informazione, o meglio la disinformazione, e la smemoratezza degli italiani vanno a braccetto.
Edizione esaminata e brevi note
Gianni Barbacetto, (Milano, 1952) giornalista e scrittore italiano. È laureato in Filosofia. Ha cominciato a lavorare negli anni Settanta in radio (Radio Milano Libera, Radio Città, Radio Rai), poi ha collaborato al quotidiano “Bresciaoggi”, a “Linus” e a tante altre testate.
Nel pieno degli anni Ottanta, nella “Milano da bere”, ha contribuito a fondare il mensile “Società civile”, che ha diretto per una decina d’anni. In tv ha condotto un programma televisivo di economia e finanza su una tv privata (Rete A). Ha lavorato nelle redazioni dei settimanali “Il Mondo”, “L’Europeo”, “Diario”. È una delle principali firme de Il Fatto Quotidiano e collabora anche con il periodico MicroMega. È direttore di Omicron (l’Osservatorio Milanese sulla Criminalità Organizzata al Nord). Ha collaborato con la regista Francesca Comencini per il soggetto del film “A casa nostra”. Per la rete televisiva franco-tedesca arte ha realizzato, con Mosco Boucault, un documentario sul Lodo Mondadori, mai trasmesso in Italia. Ha coordinato la redazione del programma di Michele Santoro, “Annozero”.
Gianni Barbacetto, “La beatificazione di Craxi. Le falsità e i luoghi comuni sul leader politico che continua a dividere gli italiani”, Chiarelettere (collana “Reverse”), Milano 2020, pp. 176.
Luca Menichetti. Lankenauta, febbraio 2021
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