La cosa più interessante di “Cominciò che era finita” è probabilmente questa: ci offre un Carmelo Bene visto da una persona assennata e razionale che non si lascia corrompere dal suo torrente di parole che, in buona o cattiva fede, influenza chiunque ne analizzi l’opera. È il punto di vista di una persona estremamente vicina all’attore, la compagna di vita degli ultimi otto anni, una donna forte che ha vissuto accanto a un uomo non facile e, dopo la sua morte, si è trovata a combattere battaglie legali che mai avrebbe immaginato – terribili, sconvolgenti, assurde.
Luisa Viglietti conosce Carmelo Bene il giorno della sua partecipazione al Maurizio Costanzo Show nel 1994, durante un colloquio in qualità di costumista. Penetra nel bunker di via Aventina, una sorta di buia caverna foderata di stoffe, tappezzerie e quadri di Klossowski, ed è subito tempestata dal turbine di parole dell’attore completamente immerso nel suo caotico lavoro. E qui inizia una storia simile alla “Bella e la bestia” in cui il vampiresco Carmelo viene in qualche maniera addomesticato da una donna che non accetta tutti i suoi disordini quotidiani (alimentari, affettivi, sentimentali) obiettivamente votati all’autodistruzione e alla esclusione sociale. Bene mangia come un adolescente in gita scolastica, lavora come un dannato e al lavorìo (come preferiva chiamarlo lui) dedica ogni sforzo, ogni secondo della sua vita. E gli otto anni insieme vengono raccontati con la stessa frenesia con cui lo si immagina lavorare: la narrazione è un viaggio rapidissimo, senza soste, è un treno che sfreccia mostrando la vitalità infaticabile di un Carmelo Bene piagato e sofferente, performer prolifico, lettore insaziabile, amico affettuoso e amante viziato, capriccioso, narcisista, desideroso di continue ed estenuanti attenzioni. Le pagine in cui la Viglietti racconta della gestazione del “Mal de’ fiori” sono memorabili. Per chi ha amato quel poema non meraviglia apprendere della sofferenza patita dall’autore durante la composizione, un percorso tortuoso nel fisico e nell’intelletto che in parte condivide anche il lettore lungo quelle ostiche pagine.
Ma il libro non ha soste, prosegue a velocità impetuosa fino alla fine, con una cura per i dettagli che l’autrice spiega da subito: è una memoria che serve principalmente per restituire verità nelle aule di tribunale, in secondo luogo è terapia e narrazione. Per chi conosce la storia di Bene è un racconto che colma vari vuoti, ed è normale, è così che succede: la vita privata di un uomo pubblico è anche la storia di chi lo ha seguito in silenzio, dall’altra parte, in sala o in veste di semplice lettore. “Cominciò che era finita” è un libro privatissimo eppure racconta una storia che abbiamo vissuto, che conosciamo, perché CB – a partire dalle sue interviste – ci aveva già preparato. E ha ragione Fofi nell’introduzione, in questo libro troveremo “bellissimi ricordi”. È la sua forza. Non l’arte di CB, né la sua voce, ma gli occhi e il pensiero di una persona che sa raccontare, indipendentemente da tutto e tutti, ciò che ha vissuto. E lo fa con la competenza della conoscitrice dell’opera beniana, con l’occhio della costumista (solo lei avrebbe potuto descrivere la casa romana in quel modo) e l’indipendenza di una donna intelligente, gentile, “normale”. Alcune pagine sono difficili da dimenticare proprio per la loro normalità: la parentesi “Robin Hood” su tutte, nata da un fraintendimento che diventa gioco (mai scherzo!) tenerissimo. E si va avanti rapidi, storditi dai tanti eventi che si suggeguono in quella corsa contro il tempo – contro la morte – che caratterizza la fine carriera di CB.
A lettura finita resta in bocca l’amarezza per la triste sorte della fondazione voluta da Bene, durata pochissimo. Allo stesso tempo però la memoria che restituisce questo testo ci ripaga di ogni malinconia.
Edizione esaminata e brevi note
Luisa Viglietti (Napoli, 1964) costumista per il teatro, cinema e televisione, dal 1987 al 1994 collabora alla realizzazione di allestimenti di Luca Ronconi, Roberto De Simone, Giancarlo Cobelli, Marco Ferreri, Tinto Brass. Dal 1994 al 2002 condivide vita e lavoro con Carmelo Bene contribuendo in vari ruoli e modi alla messa in scena di Hamlet Suite, Macbeth Horror Suite, Adelchi, Voce dei Canti di Giacomo Leopardi, Pinocchio, ovvero lo spettacolo della Provvidenza, Lectura Dantis, Canti Orfici, Gabriele D’Annunzio Concerto d’autore (Poesia da La figlia di Iorio), Invulnerabilità d’Achille. Dal 2002 al 2005 è Segretario Generale della Fondazione “L’Immemoriale di Carmelo Bene” e promuove numerose attività all’estero e in Italia. Crea e il Fondo relativo alle opere di Carmelo Bene e realizza mostre e seminari per la Casa dei Teatri di Roma.
Luisa Viglietti, “Cominciò che era finita. L’ultima vita di Carmelo Bene”, Edizioni dell’asino, 2020. Prefazione di Goffredo Fofi.
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