“L’inizio? Non è mica una cosa facile. Nessuno può stabilire con quale evento prenda avvio una storia.” C’è abbastanza per concedere a questa affermazione un’eccelsa forza persuasiva. La frase si colloca non tanto all’inizio ma comunque nelle primissime mosse di Hagard di Lukas Bärfuss, primo libro del cinquantenne scrittore, saggista e drammaturgo svizzero proposto in italiano da L’Orma Editore nella traduzione di Marco Federici Solari. L’evento iniziale potrebbe essere l’appuntamento mancato del protagonista, Philip, agente immobiliare che ha passato i quarant’anni, oppure le ballerine color prugna di una donna che il suo occhio aggancia e che Philip decide di inseguire. Oppure l’evento iniziale potrebbe essere non noto, incerto, fuori dal campo visivo, disperso in un prima. L’inseguimento, che è quanto leggiamo, assomiglierà a una ricerca forsennata, pertanto fuori di sé, nella quale ticchetteranno di continuo, nelle parole del narratore in terza persona che è comunque coinvolto nei fatti e nella scena cittadina, le notizie misteriose che si susseguono sulla scomparsa di un Boeing 777 della Malaysia Airlines, una gazza, lo scemare della batteria del cellulare del protagonista verso lo 0% di carica, i miasmi di una cattiva digestione (per via olfattiva questo libro ricorderà a molti La morte a Venezia), un freddo che coglie quasi sempre di sorpresa.
Hagard, che si è aggiudicato il premio Georg Büchner, si rifà alla tradizione di opere con una cortissima concentrazione temporale. 36 ore rappresentano l’arco di tempo dall’istante in cui le ballerine – e mai il viso della donna – entrano nel campo visivo di Philip e la fine dello svolgimento di una catastrofe che non è rovina. Che cosa succede a Philip? C’è la deliberata volontà di far fallire quell’affare che lo attendeva? I vantaggi innegabili della vita di coppia stabile gli stanno stretti o comunque non escludono l’anelito a un legame di profonda comunione interiore o fusione con un’anima affine? È questo uno dei fantasmi che abita il cervello del protagonista? Non è dato ridurre o stemperare i grumi di quesiti che questo libro porta a galla, su questa presunta fuga che fuga non è. Tanto per chiarire, leggiamo in un passo che finché “la donna resta un mistero puoi continuare a credere. Se vedi il suo viso saprai tutto e non imparerai più nulla. Decifrerai il suo volto. Inizierai a interpretare. E quando ti metti a interpretare, smetti di vedere. Saprai cosa pensa. Come guarda il mondo. Capirai, ma non vedrai più.” Insomma, il segreto fa aprire agli occhi, quanto è compreso e interpretato è perduto. Smettere di cercare è la morte, e sebbene questo possa sembrare un facile slogan, ben s’attaglia alla vicenda narrata. Di certo sappiamo che il ricercare alla morte può condurre, e questo dato non è novità.
I rimandi a certi assi portanti del presente sono evidenti: le ossessioni, le perversioni, l’interconnessione perenne con la tecnologia (per converso: il cellulare morente di questa storia), la documentalità e le tracce che lasciamo (il cellulare o i documenti smarriti col portafoglio dal protagonista, ma anche la vicenda del Boeing Malaysia Airlines sullo sfondo, quasi a richiamare la sola vera possibile “scomparsa” oggi data all’essere umano, in un incidente aereo). Possibili ma evitabilissimi gli incroci con il termine giornalistico-legale stalking. Non è di quest’ultimo che troviamo traccia in questo libro, non ci sono estremi per parlare di stalking, e rivolgersi allo stalking potrebbe essere il tentativo banalizzante di un recensore in crisi di idee, o meglio, di un giornalista culturale in cerca di agganci facili con la moribonda e davvero fantomatica “attualità” (del resto i comparti del giornalismo sono diventati permeabili nella totale disinvoltura, con giornalisti di nera passati a raccontare il virus al posto di preparati giornalisti scientifici o giornalisti culturali che flirtano con la nera, in un calderone tanto prevedibile quanto dannoso). Chiaramente non è escluso che, soprattutto in Italia, qualcuno si metta in testa di scrivere e pubblicare l’atteso romanzo sullo stalking “che tutti aspettavamo”, ma questo è marketing editoriale della peggiore specie, praticato tanto da autori che da editori, e non dovrebbe fregarci più.
Il titolo dell’opera rimanda al gergo della caccia e sta per il falco preso da adulto, non addomesticato, però non è immediato dire chi caccia o chi è cacciato in quest’opera. Certamente quella di Philip a una caccia assomiglia, eppure è lui stesso braccato, dai suoi demoni e da quel narratore, coinvolto nei fatti e nella scena cittadina (Zurigo), che abbiamo nominato già all’inizio. Ed è in questo narratore, una sorta di riedizione contemporanea del narratore dostoevskiano geolocalizzato, che si situa un motivo di interesse per questo libro. Ma è altresì nei ripetuti pensieri sulla macchina, sul vapore, sulla rivoluzione industriale, sulla ricerca scientifica (si aspetti il finale) e sulla tecnologia che questo libro gioca le proprie carte più promettenti, pur nella consapevolezza di una incompletezza o meglio di un’incapacità di comprensione della trama e della trama della realtà, una sorta di rinuncia con la quale siamo chiamati a una prova, quasi si trattasse di un teorema da dimostrare, anche attraverso la scrittura.
Edizione esaminata e brevi note
Lukas Bärfuss (1971), scrittore, saggista e drammaturgo svizzero, è tra le più importanti voci del panorama letterario di lingua tedesca. Polemista e intellettuale militante, le sue provocatorie commedie sono messe in scena con successo in tutto il mondo. Nei suoi acclamati romanzi ha affrontato i generi più diversi, dal reportage di guerra all’autofiction, raccontando in una prosa di cesellata precisione la condizione morale ed esistenziale dell’individuo.
Consacrato da numerosi riconoscimenti, in seguito alla pubblicazione di Hagard è stato insignito del prestigioso premio Georg Büchner.
Lukas Bärfuss, Hagard, Traduzione di Marco Federici Solari, Roma 2021, L’orma editore, pp. 176.
Alberto Cellotto, marzo 2021
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