Redaelli Stefano

Beati gli inquieti

Pubblicato il: 19 Aprile 2021

Narrato in gran parte in prima persona, “Beati gli inquieti”, romanzo di Stefano Redaelli, potrebbe suggerire una sorta di esperienza autobiografica – leggiamo che l’autore “addottorato in Fisica e Letteratura, s’interessa dei rapporti tra scienza, follia, spiritualità e letteratura” – in virtù del suo protagonista, Antonio, un giovane ricercatore universitario che si rivolge ad un istituto psichiatrico, “La casa delle farfalle”, per conoscere da vicino la follia. Quindi prende accordi con la direttrice e si spaccia per uno dei ricoverati. All’interno della struttura conoscerà Angelo, complottista nonché scopritore di innumerevoli terapie mediche; il tuttofare Carlo, quello che dice di aver fatto miliardi di lavori; Simone l’intellettuale fragile con la “psicoastenia”, che deve leggere “due o tre libri alla volta”, pena il rischio di “cervello atrofizzato”; Marta affascinante creatura che vive nei profumi; Cecilia, o Tom a seconda delle circostanze, intenta a produrre poesie e maquillage.

L’impatto con il mondo di alienati appare segnato da uno “strano disagio”, da qualche esitazione, ma poi poco per volta, annotandosi giorno per giorno le confidenze dei suoi nuovi amici, Antonio impara a riconsiderare lo stesso concetto di follia. Magari interrogando lo stesso Simone, il matto intellettuale del gruppo, per una risposta che forse di folle non ha proprio nulla: “La follia è inaccessibile, neanche uno psicanalista ci capisce niente. Nel mondo il folle vive nel buio. Agli scrittori direi che la follia è inutile che la descrivano perché è come la luna piena, più la guardi più ti attira più la trovi squallida. È squallida, ti fa emarginare dalla società. Ti fa vedere il mondo diverso da come lo vedono gli altri. È squallida perché si è soli. Si è mondi isolati. Si è tante isole” (pp.99).

Certamente anche Antonio, nella sua isola e nella sua veste di “monaco consacrato alla causa della follia” (pp.105) si è fatto una sua idea di come la distanza tra ragione e paranoia tenda a sfumare, fino ad affermare che i matti “dicono sempre una verità”, perché “1) i matti non mentono. 2) i matti ci vedono. 3) i matti sono nudi” (pp.53). Monaco consacrato che, nel rileggere l’Anticristo di Nietzsche alla luce dei Vangeli, si convince come ci sia “della follia nel cristianesimo”; da cui, elogiando le fragilità dei matti,  il “beati gli inquieti”, espressione di una follia spirituale e ricca di beatitudini. Convinzioni che emergono progressivamente nel diario di Antonio, prima sottoposto alle analisi, agli interrogativi e alle prove pazze degli ospiti delle “Farfalle”, poi presente ad incoraggiare i suoi nuovi amici, ad esempio durante sessioni di biblioterapia in compagnia del “Piccolo Principe”. Insomma, un percorso personale di Antonio che ci farà scoprire, con un finale sorprendente, come effettivamente di esperienza autobiografica in senso stretto proprio non si possa parlare. Semmai il racconto immaginario di un’esperienza che ancor di più conferma, in chi osserva e in chi la vive, la labilità tra malattia e normalità.

Di sicuro “Beati gli inquieti” non vuole e non può rispondere in maniera netta al quesito cosa sia realmente la follia. Lo stesso Redaelli, intervistato dal Mattino di Napoli, non ha potuto dare una vera e propria risposta: “Dipende da che punto di vista la guardiamo: medico, antropologico, letterario, artistico. La follia potrebbe sicuramente essere definita come un’enigmatica forma di vita, un’esperienza che vada ben oltre la distinzione tra sano e malato, cela un’importante verità della nostra umanità. Non posso dare nessuna definizione, d’altronde un romanzo si scrive proprio per non dare una definizione. Sicuramente la follia ha a che fare con un modo di percepire la realtà ed è una grande metafora di ciò che abbiamo paura e rimosso. La follia è anche una beatitudine in questa inquietudine, è qualcosa che si conserva, è una forma di purezza, che è anche incapacità di stare al mondo. Questo romanzo è anche un po’ un elogio alla fragilità, che guarda alla fragilità, come qualcosa di cui si avrebbe bisogno. Ma, attenzione, questo non significa che si elogia la malattia con il suo dolore, ma che qualcosa ci dice: la nostra società crea queste fratture tra le persone. Poi, chi ne fa definizione della follia, ne fa prigionia, manicomio”.

Parole che confermano come Redaelli, con un linguaggio semplice ed elegante, ricco di riferimenti alla religiosità cristiana, ci abbia consegnato un romanzo che legge la follia secondo diverse prospettive: iniziando da brevi allusioni relative ai problemi più strettamente medici e sociali, quelli appresi dalla legge Basaglia; per poi giungere, mediante una biblioterapia tra matti e ad altre trovate particolarmente originali – tipo le note integrative finali, “guida alla creatività dei geni” – a delle sorprendenti introspezioni e quindi ad una prospettiva davvero molto più psicologica e spirituale. Come spiega la dottoressa, al momento di svelare il segreto di Antonio, sono testimonianze che intendono contribuire al “superamento del pregiudizio radicato” nei confronti dei folli. Soprattutto restituendo loro una dignità.

Edizione esaminata e brevi note

Stefano Redaelli, è professore di Letteratura Italiana presso la Facoltà di “Artes Liberales” dell’Università di Varsavia. Addottorato in Fisica e Letteratura, s’interessa dei rapporti tra scienza, follia, spiritualità e letteratura. È autore delle monografie Nel varco tra le due culture. Letteratura e scienza in Italia (Bulzoni, 2016), Le due culture. Due approcci oltre la dicotomia (con Klaus Colanero, Aracne, 2016), Circoscrivere la follia: Mario Tobino, Alda Merini, Carmelo Samonà (Sublupa, 2013) e di numerosi articoli scientifici. Ha pubblicato la raccolta di racconti Spirabole (Città Nuova, 2008) e il romanzo Chilometrotrenta (San Paolo, 2011). Il romanzo Beati gli inquieti è stato secondo classificato al “Premio Nazionale di Letteratura Neri Pozza 2019″.

Stefano Redaelli, “Beati gli inquieti”, Neo edizioni (collana “Iena”), Castel di Sangro 2021, pp. 211.

Luca Menichetti. Lankenauta, aprile 2021