Il trasporto ferroviario italiano, lo sappiamo bene, è da diversi anni al centro di furibonde polemiche. Sostanzialmente due gli schieramenti contrapposti: da un lato coloro – per lo più la grande stampa e la quasi totalità dei nostri onorevoli – che lo narrano come indispensabile strumento di crescita economica, sociale, ambientale; dall’altro una minoranza eterogenea che ne coglie i gravi limiti. Tra questi ultimi Marco Ponti e Francesco Ramella, già autori di opere come “L’arbitrio del principe. Sperperi e abusi nel settore dei trasporti” e “Trasporti. Conoscere per deliberare”, che col loro “L’ultimo treno. Carissime ferrovie: costi per tutti, benefici per pochi”, tornano sull’argomento, sempre con un sano spirito polemico, altrettanto supportato da dati difficilmente ritracciabili nella comune pubblicistica.
Si tratta delle vicende delle nostre ferrovie e dei conseguenti problemi economici, tecnici e normativi, di fatto imbastiti negli anni da una classe politica che, ancora una volta, decisamente non appare aver agito con specchiata moralità. Una storia che vede le Ferrovie dello Stato italiane del secondo dopoguerra proprio come una sorta di agenzia di collocamento, aliena al concetto di impresa e di libera concorrenza; per poi giungere ad essere trasformata come S.p.A. negli anni Duemila, conservando la sostanza economica e politica originaria.
Grazie a Ponti e Ramella veniamo a conoscenza di cifre impressionanti: una stima della spesa pubblica per le ferrovie tra il 1990 e il 2016, distinguendo “anche tra parte corrente e in conto capitale, di 555 miliardi, a fronte di ricavi commerciali per 117 miliardi” (pp.10). Così per concludere che i sussidi al settore ferroviario, dal 1990 in poi (senza contare quelli negli anni precedenti), sarebbero pari ad un quinto del nostro attuale debito pubblico. In questo contesto si inserisce poi l’analisi della vicenda Alta Velocità, che nel nostro paese è stata volutamente realizzata nel modo più costoso possibile, “interamente a carico dello Stato, con i lotti spartiti tra grandi imprese pubbliche e private, senza gara”. In sostanza un regalo ad un’impresa tale solo di nome, “con management di rigorosa nomina partitica, e fonte di un enorme serbatoio di voti e di alleanze con i fornitori privati”. Anche i vantaggi dal lato ambientale vengono ridimensionati nettamente, sia a breve che a lungo termine, nella considerazione delle “emissioni da cantiere”.
Comunque sia rimane a dir poco discutibile il ruolo dell’informazione che tende a riportare pari pari la consueta formula di F.S.; ovvero che il sistema ferroviario genera profitti netti importanti. Mentre, a quanto pare, dato il livello dei trasferimenti pubblici in gioco, la realtà è ben diversa: secondo Ponti e Ramella siamo in presenza di un vistoso fenomeno di “cattura del regolatore” (scambio sistematico di favori tra imprese e decisori politici), anche se con modalità anomale, visto che sono coinvolti anche gli utenti favoriti da tariffe ferroviarie molto basse (grazie ai sussidi). Utenti coinvolti sia quelli a basso reddito con i servizi locali, sia quelli ad alto reddito dell’Alta Velocità. In pratica i contribuenti – tutti i contribuenti – che ne sopportano i costi non ne sono a conoscenza; mentre “per i media le Ferrovie fanno profitti, o nel migliore dei casi, i sussidi sono, se pur ignoti nell’ammontare, motivati da ragioni sociali e/o ambientali”. Fenomeno “di cattura” particolarmente ideale, vista l’assenza di “controspinte sociali, come nel caso dei monopoli privati”; tanto che “non esiste alcun serio dibattito sull’allocazione di risorse pubbliche al sistema ferroviario, e non è mai esistito. Anche con un contributo al debito pubblico del 20%, la pace regna sovrana” (pp.137). Allora forse si potrà cogliere perché tutta questa passione per l’Alta Velocità, a fronte di linee locali a dir poco deficitarie. Quindi, in mancanza di “regolazione incentivante”, Ponti e Ramella chiariscono cosa sarebbe auspicabile: “separare la gestione della rete da quella dei servizi, aprire questi ultimi alla concorrenza, mettendo in gara quelli cui si attribuiscono valenze sociali e alienando gli altri”. E soprattutto “sottoporre ogni investimento in infrastrutture a rigorose analisi costi-benefici, cioè esattamente il contrario di quando sta avvenendo ancora oggi, con mega progetti annunciati alla leggera in cerca di facili consensi elettorali prescindendo da qualsiasi valutazione economica” (pp.12).
Appunto, la famigerata valutazione costi-benefici, che già sappiamo essere stata archiviata dai nostri onorevoli governanti come una modalità superflua, sostanzialmente propria dei nemici del “progresso”. A questo punto diventa legittimo chiedersi a quale tipo di progresso loro facciano riferimento.
Edizione esaminata e brevi note
Marco Ponti, laureato al Politecnico di Milano, dopo anni di studio negli Stati Uniti e di lavoro nel settore dei trasporti in giro per il mondo, è diventato professore ordinario (ora in pensione) di Economia applicata presso lo stesso Politecnico.
Ha sviluppato la sua carriera tra la ricerca, l’insegnamento e l’attività di consulenza per amministrazioni e società pubbliche sempre nel settore dei trasporti, collaborando tra l’altro con la Banca Mondiale, l’OCSE e la Commissione Europea.
Francesco Ramella, ingegnere meccanico, ha ottenuto un PhD in Trasporti presso il Politecnico di Torino e insegna Trasporti all’Università di Torino. Direttore esecutivo della onlus Bridges Research Trust, collabora con Domani.
Marco Ponti, Francesco Ramella, “L’ultimo treno. Carissime ferrovie: costi per tutti, benefici per pochi”, PaperFIRST, Roma 2021, pp.137.
Luca Menichetti. Lankenauta, aprile 2021
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