Carmelo Bene. Un nome che vale un secolo, un secolo di nomi: e non è solo il Novecento, la vera classicità è extratemporale, perennemente inattuale, perché sfugge alle regole di quel chiacchiericcio informato dei fatti che chiamiamo attualità. E sono cose che Carmelo ha sempre detto, predicando (da deserto) al deserto. Esiste un’opera; letteraria prima ancora che teatrale, cinematografica oltre che radiofonica e televisiva, da consegnare ai posteri, da custodire nella memoria, se ancora osiamo averne, o millantarne, una.
Certo per pubblicarla o ripubblicarla quest’opera letteraria pare davvero improprio partire, come ha fatto Bompiani nel marzo del 2021, da queste poesie giovanili, “Ho sognato di vivere”, libro postumo che Carmelo nel suo lucido snobismo mai avrebbe approvato. Operazione impudica che va a frugare nell’adolescenza, addirittura nell’infanzia, di un artista che, se ha segnato la propria epoca, mai avrebbe accettato che i suoi primi, inevitabilmente timidi, tentativi poetici, fossero dati in pasto all’ingordigia dei posteri.
Perché Carmelo Bene, al di là di tutto, è stato un grande poeta, lo è stato a 360° gradi, in tutto ciò che ha realizzato, dal cinema, dal teatro, dalla televisione, alla radio, al romanzo, fino all’ultimo geniale, impossibile, definitivo poema “L’Mal de’ fiori”, dove un’intera epoca di “mediocrità occhialuta” viene liquidata con impareggiabile artificio, con gesto solenne, e dove la voce di un classico si leva dalle macerie di un linguaggio la cui potenza è restituita all’oralità e all’immediato. Ed è così che leggiamo queste poesie giovanili alla luce di questo monumentale, in tutti i sensi, poema che il mondo della poesia italiana non ha avuto ancora la forza di assorbire, elaborare, leggere nella sua potenza di canto del corpo negato, disdetto, obliato nell’inchiostro; poema, esso sì, davvero gettato oltre l’orizzonte degli eventi poetici.
Carmelo ha sempre disdegnato ogni mediazione critica, ogni recensione, ritenendo che l’operazione artistica fosse già un atto critico e che ogni mediazione fosse dunque un superfluo tradimento.
Chi scrive sa dunque di stare compiendo un doppio sacrilegio: primo perché si tratta di leggere qualcosa che l’autore avrebbe volentieri lasciato nell’oblio del mai detto, del mai avvenuto, secondo perché il contesto stesso della recensione non si adatta al multiforme genio di Carmelo Bene. Ma viviamo di contraddizioni, così ecco che si scrive questo commento sapendo di stare operando una violazione.
Bisogna giudicare un poeta dalle cose migliori che ha scritto, questa è la mia certezza, non lasciarsi andare a stupidi, arroganti, superficiali giudizi su ciò che di meno buono la sua fantasia ha partorito, “Quandoque bonus dormitat Homerus”, questa è la base da cui si può partire. Compio questa violazione con un’altra certezza: per un poeta l’adolescenza è un’età cruciale, spesso l’età in cui il genio poetico comincia a manifestarsi, rompendo gli idilli infantili ed erompendo come fuoco primitivo. Certo è da Rilke che sappiamo che le poesie d’amore, di cui è ricca questa età, sono un ingenuo fuori tema ma dentro questa ingenuità l’incessante lavorio poetico è comunque all’opera per dire ma soprattutto disdire l’urgenza del vivere che nelle poesie giovanili ha la freschezza di una rivelazione. Bisogna tenere pur conto che l’inventore della poesia contemporanea (se mi accettate questa espressione) è stato proprio un adolescente, l’immenso Arthur Rimbaud.
Pubblicare queste poesie è sicuramente sbagliato ma forse inevitabile – ciascuno decida quanto grande debba essere questo “forse”. Leggiamole con circospezione, dunque, queste poesie giovanili e direi con umiltà, sapendo che i libri postumi possono riservare delle soprese anche positive ma rimangono delle operazioni fatte dai posteri a loro uso e consumo e non dall’autore. Ricordiamo anche che, a dispetto di quanto da me appena scritto sull’adolescenza, essa era per Carmelo Bene un’età del tutto marginale, come detto nel libro intervista con Giancarlo Dotto “Vita di Carmelo Bene”, sempre edito da Bompiani. La violazione dunque si fa addirittura triplice.
Ahinoi, non val la pena continuare oltre perché in sostanza mi sembra un libro non del tutto insignificante ma nemmeno necessario. Si legge in meno di mezz’ora, qualcosa rimane, sprazzi qua e là di poesia acerba e poco altro. Non ci resta che attendere la pubblicazione del suo ultimo poema mai pubblicato in vita, ”Leggenda”, queste poesie giovanili hanno un senso puramente biografico. Mi risuonano gli ultimi straordinari versi del suo poema “L’Mal de’ fiori”: “L’hanno portata via, l’hanno portata/’me il tutto che è mai stato e poi finì.”
Inutile cercarne in questi versi un’eco ma ci sta. Carmelo ha vissuto diverse vite in una e ha superato se stesso. “Di quanto?”, gli chiesero in un’ intervista televisiva: “Di galassie” rispose. Le galassie che separano il cuore della sua opera da questi versi giovanili. Per concludere ne cito qualcuno: “idee già da tempo varate,/onde turbolente/ fluttuanti tra la forma/e il nulla.”
Edizione esaminata e brevi note
Carmelo Bene (Campi Salentina 1937 – Roma, 2002) è stato “attore, drammaturgo, regista, scrittore, filosofo, poeta italiano”, come recita Wikipedia. In ognuna delle attività cui si dedicò (teatro, cinema, letteratura, radio televisione) ha lasciato un segno indelebile nella cultura del secondo dopoguerra. Il suo debutto avvenne nel 1959 con l’interpretazione di Caligola nell’opera di Camus. Fu da subito l’enfant prodige del teatro italiano. I suoi spettacoli diedero anche scandalo e destarono l’attenzione fra gli altri di Flaiano, Moravia, Pasolini, Arbasino. Negli anni Sessanta e nei primi Settanta realizzò alcuni film (ricordiamo almeno “Nostra Signora dei Turchi , “Salomè” e “Un Amleto di meno”) scrisse un paio di romanzi (“Nostra Signora dei Turchi” e “ Credito italiano V.E.R.D.I”). Memorabili le sue versioni di Amleto, Pinocchio, Manfred, Otello e la sue letture di Dante, Leopardi, Majakovskij, Campana. Fu definito e si autodefinì “macchina attoriale” e mise in atto la scrittura di scena, sulla scorta di Artaud ma realizzando a teatro ciò che per l’autore francese rimase solo un progetto. L’ultima sua opera fu il dirompente poema “ ‘L mal de’ fiori”. Tutto ciò che ha realizzato ha una risonanza filosofica notevole. Fu amico, fra gli altri, di Deleuze, Klossowski, Dalì, Foucault.
Carmelo Bene, Ho sognato di vivere! Poesie giovanili, con una nota di Stefano De Mattia, introduzione di Filippo Timi, Bompiani, marzo 2021
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Ettore Fobo, Lankenauta, giugno 2021
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