Murakami Haruki

Norwegian Wood. Tokyo Blues

Pubblicato il: 31 Gennaio 2014

“Continuai ad aspettare a lungo. Fu solo dopo molto tempo che la lucciola si sollevò in volo. Come se si fosse risvegliata all’improvviso, allargò le ali e un attimo dopo aveva già oltrepassato la ringhiera e fluttuava nell’oscurità. Poi, quasi volesse recuperare il tempo perduto, disegnò un rapido arco nell’aria accanto al serbatoio. Restò ferma lì per un po’ a guardare la scia di luce confondersi col vento, poi finalmente si allontanò in volo, in direzione est. Anche dopo che la lucciola era scomparsa, la sua scia luminosa restò a lungo dentro di me. Nel buio totale dietro i miei occhi chiusi, quella piccola pallida luce continuò a vagare molto a lungo, come uno spirito inquieto. In quel buio provai molte volte ad allungare la mano. Le mie dita però non incontravano niente. Quella piccola luce era sempre un po’ più avanti delle mie dita” (p.62).

Affermatosi nel Giappone e nel mondo per il suo stile peculiare dominato da universi paralleli e storie surreali, Haruki Murakami dà alle stampe, nel 1987, con indubbia sorpresa dei suoi lettori e dell’ambiente letterario, il suo primo romanzo totalmente realistico. Norwegian Wood, che già nel titolo palesa il suo omaggio ai Beatles, è un libro ambientato nella Tokyo dei fine Sessanta ed è un intenso romanzo di formazione che trae ispirazione – a detta dello stesso Murakami -, nella struttura e nei personaggi, da due opere indimenticabili come Il giovane Holden di Salinger e David Copperfield di Dickens. Quello che certo Murakami non poteva prevedere è che, nonostante la crescente popolarità e la conseguente fortuna editoriale che le sue opere hanno avuto e continuano ad avere a tutt’oggi, Norwegian Wood risultasse, nel tempo, il suo libro più venduto e più famoso nel mondo. Non poteva prevederlo perché il suo stile è sovente lontano dal realismo, come sa bene chi lo conosce e lo apprezza. Ma Norwegian Wood, e ve lo conferma un amante della letteratura onirica e multidimensionale di Murakami come chi adesso vi sta parlando, è un libro toccante e profondo, nostalgico e malinconico, che una volta chiusa l’ultima pagina non ti lascia libero di staccarti da Toru e Naoko, da Midori e da Reiko, e da tutti quei personaggi che Murakami accosta anche solo di sfuggita in questo doloroso viaggio di formazione in cui eros e thanatos si alternano fascinosamente simboleggiando il tragitto che ognuno di noi è solito incontrare nella vita.

Tokyo, 1968. La storia segue le vicende di Toru Watanabe, diciottenne appassionato di letteratura americana e musica anglosassone, appena trasferitosi in un collegio studentesco per cominciare l’università. Toru è un ragazzo singolare, lontano dagli echi di rivoluzione del periodo e dalle consuetudini dei suoi coetanei. Naoko, ex ragazza del suo migliore amico Kizuki, morto suicida, diventa pian piano sempre più importante nella sua vita, fino al giorno in cui faranno l’amore. Ma Naoko comincia a manifestare seri disturbi mentali che la costringeranno al soggiorno a tempo indefinito in una sorta di istituito psichiatrico, fino a che il loro diventerà un rapporto pressoché epistolare. Toru sente di amarla ed è convinto che Naoko possa guarire, ma nel frattempo conosce Midori, una compagna di università che entra prepotentemente nella sua vita. Diviso tra l’una e l’altra il ragazzo è continuamente assalito dai dubbi su possibili errori di comportamento, ma è anche sorretto da una grande forza d’animo e da un personale senso della morale che lo allontana da tutto ciò che è finto o apparente. Più di tutto Toru vuole essere se stesso, lasciando però che nei rapporti umani siano il destino o gli eventi, in qualche modo, a scegliere per lui.

Norwegian Wood, scritto tra la Grecia, la Sicilia e Roma è un grande romanzo di formazione, un’elegia dell’adolescenza con tutte le sue paure, i suoi tormenti, i suoi imprevisti drammi ma anche le sue intense, assolute, irripetibili emozioni e sensazioni. Un’opera che lascia davvero il segno, che è un lungo flashback in cui il protagonista, ora trentasettenne, seduto a bordo di un Boeing 747, sulle note di Norwegian Wood dei Beatles ricorda gli eventi della sua giovinezza tra i 18 e i 20 anni. Perché Norwegian Wood? Perché era la canzone preferita di Naoko; la canzone che nella memoria del protagonista riporta alla luce un periodo significativo della sua vita. Già dal titolo (Norwegian Wood è una ballata dolce, che evoca sottili malinconie) si può intuire subito che Norwegian Wood è un romanzo che corre sui fili sottili della memoria e della nostalgia, confermando anche, attraverso il suo continuo citazionismo letterario e musicale, la passione che l’autore aveva già manifestato per la cultura occidentale. Un pregio di Murakami, nella fattispecie, è anche e soprattutto quello di mettere bene a fuoco personaggi che restano indimenticati; scegliendo, per la prima volta in assoluto, di dare un nome all’io – e di conseguenza a tutti i personaggi – della storia che ci racconta. Toru è una sorta di Holden Caulfield, un antieroe cui il sessantotto giapponese scivola sostanzialmente addosso, che ci fa partecipe del suo mondo interiore mostrando una particolare forma di purezza d’animo cui non è difficile aderire. Tutti gli altri personaggi sono ottimamente centrati da Murakami, pur ruotando inevitabilmente intorno al centro gravitazionale costituito da Toru. Il romanzo è spesso avvolto da un palese senso di morte rispetto al quale Murakami si confronta, al pari del sesso, senza alcuna inibizione. Confeziona una storia insolitamente ricca di suicidi in giovane età, di defunti per gravi malattie, di un dolore volutamente presente ma mai veramente esibito. Tutto infatti ci è raccontato a tragedie avvenute, senza indugiare sull’evento ma rendendo fondamentale gli accadimenti nel racconto a ritroso di Toru. Al contrario invece le situazioni di sesso e intimità sono descritte minuziosamente e sono una parte importante e cospicua del racconto. Murakami mescola continuamente sesso amore e morte, per significarci il realismo della sua narrazione, per non nascondere niente o illudere nessuno sul fatto che la vita sia anche e soprattutto questo. Che non esistono fiabe consolatorie o stratagemmi e che il dolore arriva e arriva per tutti, mescolandosi a volte anche a periodi gioiosi e lucenti. Non esistono i compartimenti stagni per Murakami, perché la vita è tutto ciò che essa stessa può comprendere, e in quel tutto vi sono anche dolore e morte.

Ecco che Norwegian Wood, in apparente opposizione alle sue opere precedenti e successive (se si eccettua A sud del confine, ad ovest del sole), sembra stravolgere le costanti narrative murakamiane per entrare in un universo altro dove la realtà esclude volutamente ogni altra dimensione possibile. Eppure, riconsiderando la totalità delle sue opere, non posso far a meno di notare che il mondo onirico e surreale tipico della quasi totalità delle storie che ci ha raccontato non è estraneo a una narrazione come quella in questione, quanto meno nel retrogusto che restituisce; e allo stesso tempo che la componente fortemente realistica di Norwegian Wood è altresì presente nelle descrizioni chirurgiche di tanti romanzi di questo splendido narratore. Avendo preso tra le mani Norwegian Wood per la prima volta – forse facendo un percorso interno alla sua letteratura un po’ inusuale – dopo aver letto, nell’ordine: Kafka sulla spiaggia, L’uccello che girava le viti del mondo, After Dark, La ragazza dello Sputnik e tutti i libri di 1Q84, posso affermare che il suo marchio è sempre e comunque riconoscibile, dovunque scegliate di approdare. Ed è una grande letteratura, confermata dalla malinconica e struggente bellezza di questo libro.

“Quella notte, quando lentamente, con dolcezza avevo spogliato Naoko che non smetteva di piangere, avevo avuto l’impressione che il suo corpo non fosse così perfetto. Avevo la sensazione che i suoi seni fossero duri, i capezzoli fossero protuberanze incongrue, i suoi fianchi rigidi. Naturalmente Naoko era bella e il suo corpo per me aveva fascino. Mi eccitava sessualmente, travolgendomi con forza irresistibile. E ciò nonostante, mentre stringevo il suo corpo, la riempivo di carezze e la baciavo laggiù, era stata proprio la sensazione di squilibrio, di inadeguatezza del suo corpo a darmi una strana, profonda emozione. E mentre la stringevo avrei voluto spiegarle: adesso sto facendo l’amore con te. Sono dentro di te. Però questo non è niente di importante. È una cosa come un’altra. Sono solo due corpi che si incontrano. E che così facendo dividono la loro reciproca imperfezione. Questo avrei voluto dirle, ma naturalmente non si riescono a dire cose come queste”. (p.173)

Federico Magi, gennaio 2014.

Edizione esaminata e brevi note

Haruki Murakami nasce a Kobe nel 1949. Dopo essersi laureato in drammaturgia classica alla Waseda University – con una tesi sul viaggio nel cinema americano – si è dedicato alla gestione del suo jazz bar dal 1974 al 1981. Nel frattempo nel 1979 vince il premio Gunzo con il suo libro d’esordio, Ascolta la canzone del vento, non tradotto in Italia, e pubblica altri due libri. Fra questi Sotto il segno della Pecora vende in brevissimo tempo 150.000 copie solo in Giappone e gli fa conquistare il prestigioso Noma Literary Award. Oltre a scrivere numerosi romanzi e racconti si dedica alla traduzione di scrittori americani fra cui John Irving, Raymond Carver e Francis Scott Fitzgerald. Vive tra Italia (a Roma), Giappone e Stati Uniti.
 
Murakami Haruki, Norwegian Wood, Einaudi, 2006, Torino. Introduzione di Giorgio Amitrano. Contiene una nota iniziale e un postscriptum ad opera dell’autore. Titolo originale: Norwei no mori, 1987. Traduzione dal giapponese di Giorgio Amitrano.