Il nome di Luigi Einaudi, grande economista “liberale e liberista”, compare spesso nelle discussioni – a dire il vero piuttosto sconfortanti – tra esperti, o presunti esperti, in merito alle virtù del liberalismo, del liberismo e del neoliberismo. Tutte definizioni che, almeno secondo qualche osservatore più accorto, in realtà potrebbero significare visioni dell’economia, nonché dell’etica politica, molto diverse tra loro. In altri termini sembrerebbe decisamente una forzatura assimilare i dogmi dei neoliberisti al pensiero di Einaudi, secondo cui il liberismo altro non era che il metodo più idoneo per raggiungere i fini prefissati dalla politica, senza escludere a priori l’intervento regolatore dello Stato. In questo senso la riedizione de “L’imposta patrimoniale” da parte di Chiarelettere, acquisisce un particolare valore se solo pensiamo che questo pamphlet particolarmente battagliero fu pubblicato subito dopo la guerra, durante la campagna elettorale del 1946; e oggi, secondo molti analisti, stiamo vivendo, in periodo di Recovery found, una situazione non molto dissimile da quella vissuta durante la ricostruzione post-bellica.
Gli argomenti di Einaudi in realtà non si limitano all’imposta patrimoniale, semmai delineano il pensiero di uno studioso liberale convinto dell’equiparazione tra reddito e capitale, ma soprattutto convinto, su esempio del sistema britannico, della necessità di mantenere una sola tassa progressiva sul reddito e di introdurre una autentica tassa di successione. In merito poi alla tanto contestata imposta, l’economista inizialmente argomenta la sua contrarietà sulla patrimoniale, ma senza alcun rifiuto ideologico. Tanto che poi giunge a considerarla fattibile, salvo rispettare tre condizioni: che sia imposta davvero straordinaria e quindi una tantum; che fosse l’epilogo di un’era di tassazioni continue ed esasperanti; e soprattutto: “Il miracolo che l’imposta straordinaria patrimoniale è chiamata a compiere in Italia è davvero grande: nientemeno che mutare a fondo la psicologia del contribuente. Finora, le imposte italiane sul reddito sono sempre salite, su su, sino alla intollerabilità. Pochi studiosi hanno fatto il conto di questo crescere […]” (pp.30).
Con occhio pratico, consapevole della situazione post-bellica: “Ma il gettito attuale non basta. Bisogna crescerlo. Con le male maniere non ci si riesce; con le buone sì; ma alla lunga. All’intervallo pericoloso provvede la straordinaria patrimoniale. Se noi daremo la sensazione netta precisa sicura al contribuente che il letto di procuste in cui egli è ora costretto dal cumulo di imposte vigenti sarà allungato e appianato […] La gran virtù dell’imposta straordinaria patrimoniale, della leva sul capitale, è che il contribuente sa che, per essa, esiste un punto fermo: il reddito e quindi il patrimonio suppongasi al 31 dicembre 1945 […] Quel che guadagnerà dopo in più pagherà solo le imposte ordinarie” (pp.35).
Inoltre Einaudi sulle “manomorte tributarie” e sulla tassa di successione si pone in maniera a dir poco eterodossa rispetto le recenti prese di posizione di noti e meno noti “neoliberisti”: “certa cosa è che nell’interesse collettivo, ai fini del bene comune, occorre tassare di più la ricchezza vecchia di quella nuova”. E poi: “il pregio sovrano che l’imposta di successione è pagata non da chi ha costituito, ha creato il patrimonio, ma da chi lo riceve […] dall’altro esiste l’esigenza altrettanto imperiosa di non creare un privilegio a favore di chi non ha fatto nulla, di chi si contenta di godere nell’ozio la fortuna ereditata” (pp.53).
Opinioni ben motivate che, pur con tutte le contestualizzazioni necessarie, potrebbero ancora insegnare molto. Ma sarà proprio la cosiddetta contestualizzazione che, proprio in merito al “grande compito della straordinaria patrimoniale nel presente momento storico”, ci fa notare un’affermazione di Einaudi decisamente fuori dal tempo: “Anche gli italiani sono disposti a plaudire al giudice – ma sia il giudice ordinario e indipendente – il quale mandi in galera il contribuente frodatore, alla pari di ogni altro delinquente” (pp.33). Sarà stato così per gli italiani del tempo, ma la storia di questi ultimi anni ci ha insegnato che, quanto meno la maggioranza degli elettori del XXI secolo, non approverebbe affatto che un contribuente frodatore vada in galera. Anzi, magari lo premierebbero pure con una carica prestigiosa come la presidenza del Consiglio o la presidenza della Repubblica.
Edizione esaminata e brevi note
Luigi Einaudi, (1874 – 1961). Economista, politico e giornalista italiano, è stato il secondo presidente della Repubblica. Intellettuale di fama mondiale, già senatore del Regno nel 1919, durante la Seconda guerra mondiale si rifugiò come esule in Svizzera. È considerato uno dei padri della Repubblica italiana. Vicepresidente del Consiglio, ministro delle Finanze, del Tesoro e del Bilancio nel IV governo De Gasperi, tra il 1945 e il 1948 fu governatore della Banca d’Italia, incarico che abbandonò quando fu eletto presidente della Repubblica. Suo figlio, Giulio, fondò la casa editrice che porta il suo nome. Tra le sue molte opere vanno ricordate: Lo scrittoio del Presidente, Prediche inutili, Lezioni di politica sociale, Saggi sul risparmio e l’imposta, Le prediche della domenica.
Luigi Einaudi, “L’imposta patrimoniale”, Chiarelettere (collana “Biblioteca Chiarelettere”), Milano 2021, pp. 80. Introduzione di Mario Ricciardi
Luca Menichetti. Lankenauta, luglio 2021
Follow Us