“S’io fossi foco”. Titolo molto bello per questo libro di Lodovica San Guedoro. Riferimento colto che rappresenta l’ingresso in questo romanzo enigmatico e sui generis, edito nel maggio 2021 da Felix Krull Editore, dove la sua autrice fra parodia, realismo grottesco, fantasie, delirio, favola, inventa una strada abbastanza inedita, dove con linguaggio sciolto talvolta volutamente opaco, aspro, altre volte radicalmente immaginifico, viene scritto un vorticare onirico, ironico e talvolta persino sinistro, sicuramente beffardo, di situazioni fra il gioco e l’assurdo.
L’io narrante, l’autrice stessa, è preso dal vortice del delirio: i piccioni sul suo balcone la ossessionano fino a diventare personaggi umanizzati che raccontano la loro storia; la nazione intera assiste con stupore a un intervento chirurgico su un cervello; sottili problemi filosofici e di fisica si prendono la scena; il romanzo è parodistico e ciò che viene parodiato è la stessa forma – romanzo perché la storia è inverosimile, pretesto per mettere in moto il meccanismo della narrazione, anzi della semplice scrittura, che come un fiume in piena rompe gli argini delle tranquilla narrativa convenzionale.
Viene in mente l’ultimo Pasolini- per altro lontanissimo stilisticamente da questo testo – nel suo impetuoso desiderio, semplice e complesso allo stesso tempo, di lasciare ”qualcosa di scritto”; ma il discorso, diversamente da Pasolini, è all’insegna dello sperimentalismo dell’avanguardia, fra postmodernismo, surrealismo, dadaismo e direi anche futurismo (Palazzeschi?). In questa congerie di influenze Lodovica San Guedoro trova il suo linguaggio originale, anche se a volte opacizzato e reso medio, “funzionale” alla comunicazione, forse eccessivamente, qui la rottura linguistica non viene portata fino in fondo, ne parleremo.
Dopo una trentina di pagine viene il dubbio di stare assistendo a uno scherzo di raffinata crudeltà; l’autrice si prende gioco degli stilemi narrativi e confeziona una storia non storia; ci si comincia a chiedere dove voglia andare a parare; si è sbigottiti, sgomenti, incuriositi ma anche perplessi. Siamo in un romanzo patafisico, surreale, intenzionalmente sgangherato; sembra che Lodovica San Guedoro voglia fare una satira del nostro tempo, del nostro collassante mondo.
Gli effetti comici rafforzano l’incongruità della storia, bisogna accettare radicalmente il gioco di Lodovica San Guedoro; la materia narrativa esplode, implode, riesplode di nuovo e la fantasia sembra non avere più nemmeno il limite, in realtà mortifero, del buon Senso. Questo è chiaro: Lodovica San Guedoro vuole far saltare i codici consueti del linguaggio romanzesco e organizza un discorso che è un costante sberleffo, vediamo dentro il giocattolo ciò di cui è composto e questo ci disorienta. Romanzo che gira su se stesso come una trottola impazzita, romanzo che è un residuo di un’impasse contemporanea: è ancora possibile il romanzo? O meglio, in un universo in cui sono saltate tutte le coordinate, ha senso rimpiangerle? La risposta di Lodovica San Guedoro è chiara: no, tuffiamoci nell’insensato e vibriamo al suo ritmo. È un testo questo che si situa sulla soglia fra il romanzo e la sua derisione, fra il romanzo classicamente inteso e la sua caricatura postmoderna. Ciò genera dei rischi; non sempre questa sembra un’operazione riuscita; il tono corrosivo e sarcastico si ritorce contro l’autrice e il libro perde un po’ del suo fascino diventando a tratti moralistico, anche se sempre in maniera parodistica. Tutto ciò è quasi inevitabile quando si sperimenta e uno dei pregi di questo romanzo è che l’autrice non si sottrae alle rigorose dinamiche di una sperimentazione consapevole. Ci sono momenti di scrittura interessanti, in cui sotto traccia balena un pensiero complesso:
“Quell’isteria collettiva! Sì, perché la picciona sarà pure esistita, ma a me, non so perché, fece l’effetto di un miraggio inconsistente, immateriale, come l’incorporeo punto di addensamento di una follia collettiva, un vortice, non mi sembrò reale, ma solo un nome, una parola, un segno…”
Più si avanza nella lettura, più si rafforza una convinzione: il romanzo è una satira del mondo contemporaneo, in cui l’invivibilità della vita si manifesta in un’eterna connessione e nel dominio spettacolare della pornografia. Satira, da qui il moralismo (gli autori satirici sono sempre moralisti). “S’i’ fosse foco, ardere’ il mondo” aggiungiamo il seguito e il gioco di Lodovica San Guedoro è fatto. Ma il cuore di questo romanzo atipico senza un reale centro è altrove. Uno dei suoi molti cuori perlomeno. Per esempio nel tremendo “J’accuse” contro la scienza, nuovo “oppio dei popoli”, e certi scienziati, aggrediti verbalmente dal personaggio del Professore, voce fuori dal coro di una scienza incapace di accostare con discrezione (moralmente) il mistero dell’universo.
“Ignoranti e zoticoni tutti! Credete di capire l’Universo addirittura! E non capite un fico secco! La scienza è nulla in mano agli ignoranti! Profanatori dell’Universo, vandali che non siete altro! Fatevi entrare questo nelle zucche: più credete di saperla lunga e più corta la sapete! Formule matematiche, buchi neri, teoria della relatività, quantistica, tungsteno! Come siete indiscreti! Non è roba, questa, per chi come voi è privo d’ogni ammirazione e d’ogni stupore di fronte alle cose che ci circondano, per chi ignora grossolanamente il mistero! Siete solo degli arroganti analfabeti, dei cafoni arricchiti, dei porci rincoglioniti, dei burini incancreniti, annotatevelo! Ora sapete come la penso!”
Anche qui l’intento morale in primo piano. Questa satira si rivela quindi sempre più una riflessione morale sull’attualità, perlomeno sui suoi linguaggi, così radicalmente parodiati, “profanati” nel senso in cui lo intende Giorgio Agamben, cioè distolti dalla loro funzione e restituiti al gioco estetico. A tratti Lodovica San Guedoro usa il linguaggio della favola, dei giornali, della televisione, della fisica, della filosofia, etc., collage derisorio, mescolanza critica, come se per sua natura il linguaggio proteiforme della realtà potesse essere mimato solo nella sua smorfia alla Ubu Roi, nella sua parodia assoluta. Manca l’azzardo di una follia semantica e sintattica davvero completa ma forse, Lodovica San Guedoro lo sa bene, essendo anche poeta, essa è possibile veramente solo nella poesia o in quelle delicate o furiose operazioni di smontaggio del linguaggio compiute per esempio da Testori o da Artaud, che si sono espressi in prosa, se questo vuol dire ancora qualcosa, rimanendo profondamente poeti.
Ecco cosa manca in genere nei romanzi contemporanei che leggo: il coraggio dell’”illeggibilità”, sottomessi tutti a quello che Flavio Ermini chiama “il dispotismo del Significato”. Si scrivono perciò romanzi troppo leggibili, troppo pensati per una fruizione distratta e superficiale, non si sprofonda quasi mai nell’angoscia di una sublime illeggibilità da labirinto che forgia le sue privatissime stelle. Desiderio di quello che Pound chiamava “l’assoluto insignificante” e che comunque balena in questo testo come un orizzonte possibile e liberatorio.
“S’io fossi foco” è un romanzo per lettori colti, si dice nella quarta di copertina; vero, aggiungerei per lettori “esperti”, cioè che, come vuole l’etimo della parola, abbiano “esperienza” della letteratura contemporanea, consapevolezza delle avanguardie, trasognata immaginazione patafisica. Lodovica San Guedoro è abile nel tenere alto il pathos della narrazione con elementi minimi, fittizi, diversi passaggi si leggono con suspense crescente ma sono fondati su nulla, sono giochi dell’immaginazione che qui sembra dettare le regole. La voce di Lodovica San Guedoro, attraverso uno dei suoi personaggi, si leva in difesa delle donne, contro la mercificazione del corpo femminile operata nella pornografia, contro le istituzioni religiose che con le loro deformanti coercizioni assurde l’hanno in realtà resa possibile:
“Io denuncio qui l’estremo condizionamento sessuale della donna. Una indistruttibile dogmatica la domina, con le più fantasiose metamorfosi, attraverso i secoli. Il suo corpo e la sua mente ne sono contaminati, avvelenati, appestati, corrosi… Il suo corpo e la sua anima ne sono feriti e maciullati, sono chiusi come in un’ingessatura, pietrificati, stretti in un corsetto di illibertà.”
Le operazioni compiute attraverso questo romanzo sono difficili, intelligenti, complesse e ci mettono in discussione sottilmente aldilà dell’abito del libro comico e satirico che appunto è solo un abito. Si tratta di una letteratura morale di grande intensità, con il rischio, però, di essere, a tratti, moralizzatrice. Perché sulla pornografia come essenza del mondo contemporaneo molto si è scritto e penso soprattutto alle geniali intuizioni di Ballard, di Baudrillard, di Carmelo Bene.
Lodovica San Guedoro sfiora questo mondo ma lo risolve a volte in tirate un po’ moralistiche che si legittimano solo come parodia di un discorso morale, sotto cui però si intuisce autentica la voce dello scandalo e dell’indignazione. Durante i discorsi del personaggio di Gennarina, infatti, ossessivamente, chi scrive ha avuto in testa Giovenale e la sua “Satira contro le donne”. Paradosso apparente. Che sia contro le donne o a favore si ricade sempre nello stesso dualismo. Bipolarità allucinata di tutta la nostra malata civiltà, come ha mostrato Nietzsche, che continua a essere l’aldilà di tutto, anche di questa letteratura che tenta, via difficile, di essere letteratura morale dei nostri collassati tempi.
Edizione esaminata e brevi note
Lodovica San Guedoro, S’io fossi foco, Felix Krull editore, maggio 2021
Lodovica San Guedoro nasce a Napoli da genitori siciliani. Dopo una giovinezza trascorsa tra Napoli, Roma e la Toscana, per potersi affermare nel mondo letterario è costretta ad espatriare in Germania, a Monaco di Baviera, dove viene subito apprezzata. Tra i suoi libri ricordiamo: Requiem di Arlecchino (2007), Gli avventurosi simplicissimi (2008), Incitazione a delinquere (2009), Fedra e le mammine nei caffè (2011), L’ultima estate di Teresa Tellez (2013), L’allegro manicomio. Ovvero nove giorni di villeggiatura in famiglia (2016, candidato al Premio Strega 2016), Pastor che a notte ombrosa nel bosco si perdé… (2017, candidato al Premio Strega 2017), Le memorie di una gatta (2018, candidato al Premio Strega 2019), Amor che torni… (2019, candidato al Premio Strega 2020), Agonia (2019), tutti pubblicati da Felix Krull Editore.
La voce dell’Jonio
Giorgio Linguaglossa
Librinews
Ettore Fobo, Lankenauta, luglio 2021
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