Scirè Giambattista

Mala Università

Pubblicato il: 24 Settembre 2021

“Insomma i concorsi universitari si fanno per predestinazione e per, insomma, per clientela […] Ma io poi la gente…ma cosa si aspetta la gente…che cazzo vuole..perchè non si fa chiamare un posto dov’è il suo maestro?” (pp.251). Queste alcune intercettazioni di conversazioni tra professori universitari, poi riportate fedelmente nel libro di Giambattista Scirè. Conversazioni che sono la palese dimostrazione di abusi di potere ad ogni livello e che, in sostanza, sono l’argomento principale di “Mala Università”; opera di uno storico vittima di un sistema clientelare e che, in molte circostanze possiamo, a buon titolo, definire mafioso. Una mafiosità tipica italiana che non significa soltanto una “cooptazione antimeritocratica”, ma – l’abbiamo visto proprio durante l’emergenza covid – anche un “forte condizionamento in negativo delle linee di sviluppo e della qualità del pensiero scientifico” (pp.6).

“Mala Università”, dati alla mano, racconta quindi la corruzione in ambito accademico, le clientele spudorate di cui molti, moltissimi di noi, sono perfettamente a conoscenza e che, comprensibilmente, la grande stampa servile e soprattutto la politica non ha mai voluto contrastare. Il racconto, di pagina in pagina, si arricchisce di episodi che in realtà non sono semplici episodi ma che rappresentano la struttura di un sistema consolidato da tempi immemorabili. Mentre “in ogni  parte del mondo esiste un meccanismo di controllo per limitare il potere dei docenti dentro l’università, tranne che in Italia. Ed ecco la Mala università. Voto di scambio. Concorsi pilotati in favore di docenti amici o allievi, parenti o quant’altro in cambio del voto. Avanzamenti di carriera blindati” (pp.58). Il tutto sotto la “supervisione” di una nuova classe di baroni, nemmeno austeri e inavvicinabili come un tempo; semmai pure piacioni, spesso “apparentemente per bene”.

Sullo svolgimento dei concorsi le pagine del libro che più potranno coinvolgere il lettore, anche per aver vissuto esperienze simili. Si parla infatti del fatto che a vincerli sono “sempre e comunque gli interni” (pp.137). Fatte le debite differenze, preso atto di un andazzo che trascende il sistema universitario e che coinvolge l’intera pubblica amministrazione nonchè la coscienza civile, chiunque abbia un minimo di esperienza e di perspicacia non può negare che gran parte, quasi tutti i concorsi pubblici, soprattutto quelli decentrati, quelli banditi in piccole realtà, sono dei concorsi interni spacciati per concorsi esterni, arrangiati per nominare il funzionario interno oppure per confermare il dirigente a tempo determinato. Con tutti conseguenti effetti negativi, soprattutto nell’ambito accademico: “la presenza di ricercatrici e ricercatori con una spiccata indipendenza scientifica e con una prospettiva e un respiro internazionali, che magari hanno alle spalle la vittoria di importanti progetti europei di ricerca, è sempre vista con sospetto e timore da parte dei responsabili dei dipartimenti universitari italiani. Temono che possano minacciare l’avanza delle carriere degli studiosi interni che aspettano il loro turno” (pp.145).

Timori che vengono presto meno intrallanzando a più non posso, come testimoniato dagli innumerevoli racconti di soprusi, molestie, minacce subite dagli aspiranti alle cattedre; e di cui “Mala Università” dà abbondantemente conto con tanto di nomi e cognomi sia dei baroni – o forse meglio dire dei delinquenti – sia delle vittime del “sistema”. Pensiamo a quanto subito da Federica Fernandez, oppure dall’architetta Clara Stella Vicari Aversa; e tanti tanti altri che hanno azzardato un ricorso oppure una semplice rimostranza. Soprusi che in tutta evidenza sono praticati da gran parte dei nostri accademici come una normalissima prassi, quel tanto che consente di parlare di “mafia accademica”. Normalità di un sistema fondato sul conflitto d’interesse tra accademia e politica, sulle logiche della cooptazione, che “non produce solo una rete di relazioni e rapporti di potere dentro l’università, ma influisce anche e soprattutto all’esterno”, confermato dallo “scambio dei vantaggi tra la Mala università, istituzioni e politica”, nonché dal fatto che le stesse sentenze di condanna vengono regolarmente disattese dagli organi accademici. Un esempio tra i tanti: “I docenti del concorso romano, condannati dopo tre sentenze amministrative e quattro sentenze penali, sono risultati, dopo alcuni anni dalla condanna, ancora in servizio come ordinari nei rispettivi atenei. Alcuni sono andati tranquillamente in pensione senza subire alcun danno […] Ma c’è di più. I vincitori illegittimi di quel concorso successivamente hanno fatto carriera, inclusi i figli dei docenti condannati” (pp.226). In pratica: “per il discorso che a noi interessa, viene rafforzato il principio secondo cui per entrare all’università si deve prima entrare nelle grazie di un barone, che abbia particolare appoggio nei partiti o potere di condizionamento in Parlamento” (pp.207).

Tenendo conto dei fatti, di quanto raccontato da Scirè, dagli associati a “Trasparenza e Merito”, nonché dall’esperienza personale di quanti si siano imbattuti in qualche concorso “opaco”, a quel punto tocca dare ragione a Piercamillo Davigo che, nella prefazione al libro, ha usato l’aggettivo più opportuno per descrivere la rassegna di illeciti contenuta in “Mala Università”: “impressionante” (pp.VII).

Edizione esaminata e brevi note

Giambattista Scirè, (1975), ricercatore uni­versitario e storico, è autore di vari libri di saggistica tra cui: La democrazia alla pro­va (Carocci), Il mondo globale come proble­ma storico (con Giovanni Gozzini, Archetipo Libri), Il divorzio in Italia e L’aborto in Italia (entrambi Bruno Mondadori), Gli indipen­denti di sinistra (Ediesse). È amministratore e responsabile scientifico di “Trasparenza e Merito. L’Università che vogliamo”, www.trasparenzaemerito.org.

Giambattista Scirè, Mala Università. Privilegi baronali, cattiva gestione, concorsi truccati. I casi e le storieChiarelettere (collana “Principio Attivo”), Milano 2021, pp. 336. Prefazione di Piercamillo Davigo.

Luca Menichetti. Lankenauta,  settembre 2021