“Oggi ci raccontiamo di aver attraversato i tre incubi del Novecento: il fascismo, il nazismo e il comunismo”. Queste le parole di Antonio Toffetti, classe 1936, figlio di Domenico, vittima della prima ondata di violenze anti-italiane dell’autunno 1943. Parole che troviamo nella quarta di copertina di “Italiani due volte. Dalle foibe al’esodo: una ferita aperta della storia italiana”, e che testimoniano l’origine ideologica delle furibonde polemiche, le strumentalizzazioni, i pregiudizi sugli italiani che vissero e morirono a partire dal 1943 tra Trieste, Pola e i centri dell’Istria occidentale, Fiume e Zara, la Dalmazia: ancora vivono tra noi persone convinte – oppure ipocritamente in malafede – che appunto il fascismo o il nazismo oppure il comunismo titino, a seconda del loro credo politico, non siano stati per la popolazione italiana un incubo; anzi.
Un argomento particolarmente controverso, con personaggi della destra politicante che ne fa una bandiera contro l’antifascismo; e una larga parte della sinistra che, manco di striscio, azzarda ad ammettere che anche in nome del cosiddetto antifascismo – e qui torna in mente il fascismo degli antifascisti di pasoliniana memoria – siano stati commessi degli autentici crimini.
Dino Messina, con la sua puntuale ricostruzione dei fatti, racconta invece un dramma nazionale “in tre grandi atti: il primo, con l’irredentismo […] la presa del potere fascista con le politiche anti-slave e la guerra accanto ai nazisti. La seconda fase inizia con le ondate di violenza dei partigiani di Tito nell’autunno del 1943 e nella primavera del 1945 […] Sino al terzo atto, dal 10 febbraio 1947, che segnò la più grande ondata dell’esodo”. Ricostruzione puntuale perché il preludio del racconto, pur non cedendo al giustificazionismo, è dedicato al “fascismo di confine”: politica criminale che “aveva sbagliato ogni calcolo sul fronte dell’assimilazione” degli sloveni e dei croati; e che provocò un esodo che “non è mai stato ben quantificato” (p.41). E poi venne il croato Josip Broz Tito che “seppe approfittare di questa situazione di tutti contro tutti”, che “seppe coniugare le istanze della lotta di classe con il sentimento nazionale”. Istanze che andarono ben oltre ogni ragionevolezza, visto quello che accadde da lì a poco. Come scrive Messina: “Ciò non significa giustificare la violenza titina come reazione alla politica repressiva e di snazionalizzazione perseguita dal fascismo. La violenza del biennio 1943-1945 e degli anni successivi rappresentò ben più di una reazione al fascismo perché strumentale a un nuovo progetto nazionale” (pp.16). Progetto che si coglie dal racconto dello scontro aperto tra la Resistenza jugoslava e quella italiana, in un contesto nel quale “sia i comunisti sloveni sia quelli croati fusero da subito le istanze della rivoluzione socialista con gli obiettivi nazionalistici” (pp.114), nel quale avvennero attacchi contro le formazioni partigiane che non accettavano la linea nazionalista del comunismo di Tito – su tutti l’eccidio di Porzûs – ; tanto che il segretario del PCI triestino Vidali “comandante Carlos” chiamava quella gente “Tito-fascisti”.
Un racconto drammatico, valorizzato da innumerevoli testimonianze di chi ha vissuto in quelle terre, che non è soltanto foibe, con tutti coloro che furono uccisi non certo per la loro appartenenza al fascismo, semmai a causa delle loro potenziale resistenza al nazionalismo titino. Messina affronta soprattutto il tema dei territori irredenti che divennero terre di conquista jugoslava: ovvero il controesodo, con seguente repressione di coloro che non si fecero convincere dalla propaganda di Tito (“molte decine di comunisti italiani vennero mandati con le loro famiglie verso le regioni interne a lavorare in miniera. Per i più irriducibili si aprì il campo di rieducazione di Goli Otok, l’Isola Calva” – pp.203), la slavizzazione forzata e il successivo esodo, sradicamento, l’umiliazione dei campi profughi. Esodo istriano-dalmata, come possiamo leggere grazie alle parole di Franco Degrassi, che per lunghi anni – e a quanto pare anche ai giorni nostri – che non è stato capito: “una certa cultura considerava fascista la gente che veniva via dall’Istria. Nella migliore delle ipotesi non accettava la realizzazione di un sistema socialista che era alternativo al regime capitalista che si stava realizzando in Italia. Un altro motivo di incomprensione era che i profughi erano visti come gente che portava via il lavoro agli altri italiani” (pp.216).
“Italiani due volte” è un libro che in poco meno di trecento pagine riesce ad analizzare con oggettività gran parte delle vicende più controverse relative alle foibe, alla figura di Tito, che tutt’ora contrappongono, non si sa con quanta consapevolezza, gli italiani con gli sloveni, con i croati e gli italiani con altri italiani. In un’Italia dove gli storici fanno i politici e i politici si atteggiano a storici, fa pensare che questa oggettività giunga da un giornalista prestato alla divulgazione storica, alla stregua di Petacco, piuttosto che da un nostro storico accademico. Del resto qualcuno di noi ha già colto come abbondino storici, o presunti tali, evidentemente carenti di onestà intellettuale, che persistono, alla faccia dell’oggettività, a distorcere i fatti alla stregua di militanti politici, ingigantendoli o, al contrario, minimizzandoli.
Edizione esaminata e brevi note
Dino Messina, (Viggiano 1954) è giornalista e autore di libri di storia. Nel 1997, nel volume C’eravamo tanto odiati (Baldini&Castoldi), ha messo a confronto le vicende del partigiano Rosario Bentivegna e del «ragazzo di Salò» Carlo Mazzantini. Ha scritto inoltre il libro inchiesta Salviamo la Costituzione italiana (Bompiani 2008), i saggi 2 giugno 1946. La battaglia per la Repubblica (Corriere della Sera 2016) e Italiani due volte. Dalle foibe all’esodo: una ferita aperta nella storia italiana (Solferino 2019). Cura il blog La nostra storia sul sito del «Corriere della Sera», giornale dove ha lavorato trent’anni e con il quale collabora con articoli di attualità e cultura. Tiene un laboratorio di «Giornalismo e storia» all’Università Statale di Milano.
Dino Messina, “Italiani due volte. Dalle foibe all’esodo: una ferita aperta della storia italiana”, Solferino (collana “Saggi”), Milano 2019, pp. 298.
Luca Menichetti. Lankenauta, ottobre 2021
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