Fobo Ettore

Canti d’Amnios

Pubblicato il: 21 Ottobre 2021

La poesia di Ettore Fobo, che avevo conosciuto per la prima volta in Diario di Casoli (Kipple Officina Libraria, collana “Versi Guasti”, 2015), si nutre di specchiature cosmiche, aperte tanto sull’universo quanto sul momento e il luogo presenti, e dunque sul mondo interiore. In Canti d’Amnios (ed. Montedit, collana “Le schegge d’oro”, 2020) il poeta è tornato a immergersi in questo flusso, raccogliendone impressioni sonore che si tramutano in parole. Così, partendo da suggestioni sul fuori, sprofonda nel dentro, dove individua specifiche cuspidi di verità.

È una forma di gloria, io credo,
la luccicanza dell’abbandono in tenebroso serpente,
in fantasioso stordimento di forme,
laggiù, spazzate via…

(da “Vertigine”, pag. 7)

Dialoga, quasi flirta con i limiti dell’esistenza umana e con la stessa idea della morte, che nel turbinio della riflessione poetica si ricollega all’esterna ciclicità del tutto. In questo senso, mi viene da visualizzarla come una poesia filosofica, forse perfino “kundalinica”, come i rimandi al simbolo del serpente lasciano immaginare.

Questo ricordo di fiamme nel sangue,
quando l’alchimia del verbo evaporava
rugiada su uno stelo di preghiera,
e la mente era un alterco
fra la mia caricatura sediziosa
e il fantasma di me stesso,
tacendo il limite di morte
spesse volte in estasi truccate.
Vidi natività di serpe nel fogliame
farsi auspicio di sapienza,
nei bassifondi stregata
dell’eterno mutamento;
e una candela rischiarava
fogli pieni di illeggibile
scrittura in cerca di visione.
E poi ricordo che c’era una ragazza,
che chiamava il mare goccia
d’infinito, e poi rideva.

(“Adolescenza”, pag. 8)

I versi di Fobo sono carichi di disincanto, ma anche di un’intensità di pathos nostalgico dall’impronta romantica e vagamente simbolistica. Ci sento echeggiare La terra desolata di T. S. Eliot, ma anche la visione del mondo e del tempo di Giacomo Leopardi, insieme a una remota ascendenza dantesca. È in questo cocktail di mood descrittivi che si sostanzia il rimando a una dimensione estetico-percettiva “amniotica”, contenuto nel titolo della silloge.

Qui dove l’ombra nell’anima s’inselva,
che fu stella, nell’amnio del silenzio,
ancora germogliano la danza,
la nascita e la tempesta
e io cerco la parola straniera
che disseti gli oceani
che furono i suoi occhi,
nell’infanzia che non rise
e che non scelse.

(da “Amnios”, pag. 9)

Insieme, però, emerge anche un’anima performativa, evidenziata da una ritmicità che fa tutt’uno con l’evocazione dei luoghi e delle loro atmosfere. Sono versi che, per loro natura, si prestano particolarmente bene a essere recitati, o magari cantati.

In questa Buenos Aires di colombe,
di vicoli dritti all’enigma,
spaventarsi,
se ogni tanto ci rimanda lo specchio
di Asterione l’immagine, il cranio di un corvo,
o una Dublino dolcemente spettrale
dove l’ultimo pensiero di Bloom
aleggia poco prima dell’alba.

(da “Borges”, pag. 10)

La sua vocazione lirica, non a caso, a tratti sfiora il melodramma – proprio a sottolineare la continuità tra l’anelito espressivo e la struggente musicalità delle migliori romanze d’opera.

Dove l’inganno dai molti sensi?
Dove i monti perpetui?
Le stelle fisse di un grido imponderabile?
E il perduto amore mai stato?
Arrivo e parto, non resto.

(da “Danze, vortici, galassie”, pag. 26)

Non solo, ma siamo di fronte a una poesia che s’interroga su se stessa, sul proprio versificare e sulla propria genesi.

E dunque il tono colloquiale
prepara una versificazione lenta,
da indagine, da anamnesi, da autopsia.
Non dice cose cosmiche, eteree,
nel dormiveglia, nell’ipnosi,
ma cose quotidiane, solide
come la dichiarazione delle tasse.

(da “Lapsus a matita”, pag. 17)

Ciò sembrerebbe quasi contraddire l’anelito universale che vi ho riconosciuto fin dall’inizio. Ma non è così. Il punto è che qualunque universale si coglie appieno solo nel particolare della sua concretizzazione qui e ora. E Fobo sa calarsi in questo crocevia materiale-spirituale, polistratificando il proprio scrivere, che di riflesso è polisemantico, e in ogni suo livello riverbera un senso di assenza – la mancanza di qualcuno –, che credo si possa considerare il suo, sia pur carsico, leitmotiv.

M’inabissa il tempo
e il tuo lento sorriso m’incatena.
Mi è parola cifrata l’erba,
mi è ghirigoro di canto la luna.
E oltre il girovagare dei mondi
in apnea di silenzi il vento
m’apre sinfonie e singhiozzo
maree in attesa dietro sguardi.
Il cielo, complice dell’idillio,
sembra annegare in un riflesso.
Non c’è, adesso, che questo perlaceo
abbandonarsi all’invisibile
mormorio delle estati bambine.
E dico il sempreverde di un sorriso smisurato,
dove albeggia il silenzio che incorona
l’immenso vagare che ci perde.

(“L’immenso vagare”, pag. 31)

Questa sottile assenza, infine, pare tradursi in un vortice che assorbe in sé tutto, perfino la stessa poesia, che, al fondo di tale gorgo risolutivo, si riduce al principio vitale libero e vuoto, la Natura.

Non ti serve la poesia,
un altro fuoco ti arde dentro,
dove condividi il respiro con il vento.
Non ti serve la poesia,
sei la voce assoluta delle selve
quando t’inebria il canto delle vette,
svezzata da silenzi ancestrali
tu dirai come in sogno
le parole perfette che designano la notte.
Non ti serve nessuna poesia:
sei senza parole come il destino, come il mare,
come la luna e come tutto ciò che arde.

(da “Senza parole”, pag. 35)

Edizione esaminata e brevi note

Ettore Fobo (pseudonimo di Eugenio Cavacciuti) è nato a Milano nel 1976. Ha pubblicato tre libri di poesia con Kipple Officina Libraria: “La Maya dei notturni” (2006), “Sotto una luna in polvere” (2010), “Diario di Casoli” (2015) e un audiolibro “Poesie allo stato brado”(2020). Con la Casa Editrice Montedit pubblica la silloge “Canti d’Amnios” (2020), in seguito alla vittoria di un Premio. Dal 2008 gestisce un blog di letteratura “Strani giorni” (www.ettorefobo.it). Collabora con la rivista multilingue “Orizont literar contemporan”, con il portale di critica letteraria e dello spettacolo “Lankenauta” e con il blog collettivo “Bibbia d’Asfalto”. Sue prose poetiche sono apparse sulle riviste di poesia online “Inverso” e su “Carte nel vento”. Una sua silloge, “Musiche per l’oblio”, è stata tradotta in romeno, francese, inglese e spagnolo. Una seconda traduzione in francese, tradotta dalla poetessa Noëlle Arnoult, è apparsa con il titolo “Les Maîtres de l’oubli”/I Maestri dell’oblio”. Ha ottenuto diversi riconoscimenti a concorsi letterari, fra i quali: vincitore ai Premi “Le Occasioni (2018), “I Colori dell’Anima” (2018), “Il Sublime – Golfo dei poeti” (2018), Premio “Besio 1860”(2019 e 2020),Premio Residenze Gregoriane (2020) segnalato al Premio “Lorenzo Montano” (2017, 2018 e 2019), Gran Premio Speciale della Giuria a “Ossi di seppia” (2021). “Musiche per l’oblio” è fra i libri selezionati per il “Premio Gradiva” (2019). Nel 2020 è finalista al Premio Montano.

Ettore Fobo, Canti d’Amnios, ed. Montedit, collana “Le schegge d’oro”, Melegnano, 2020, pp. 40)