“Un lavoro monumentale” è l’espressione presente nella prefazione di Piero Mioli, sulla quale il lettore di “Virginia Colombati maestra di belcanto”, anche quello meno avvezzo all’argomento lirica, non potrà non concordare. Monumentale perché Andrea Zepponi ha dovuto, in assenza di una bibliografia specifica, attingere ad un numero davvero infinito di fonti scritte – articoli di giornali – e di testimonianze orali per ricostruire la vita di questa cantante; che pure “non fu mai una diva del teatro lirico che si intende comunemente: anche dopo moltissimi successi e trionfi in grandi teatri internazionali, conobbe l’umiliazione della retrocessione a primadonna a comprimaria, dovette cambiare continente per ricominciare una nuova carriera con una diversa vocalità, si mantenne sempre col proprio lavoro di cantante prima e di insegnante poi, non riposò mai sugli allori e visse di musica anche in tempi di assoluta indigenza” (pp.361). Una biografia, peraltro ricchissima di note in calce, con una rilevante rassegna stampa, incentrata soprattutto sulla carriera di Virginia Colombati (Pergola, 1863- Pergola, 1956), dai palcoscenici della natìa città alle tournée in Finlandia, sul Mar Nero e sul Mediterraneo, nei grandi teatri russi come quello imperiale di San Pietroburgo, dal Covent Garden di Londra al Metropolitan di New York. Storia dettagliata “ricostruita attraverso le cronache giornalistiche del tempo” che, di fatto, termina con il suo trasferimento a New York al seguito della sua allieva Josephine Lucchese” (pp.321).
Poi le tracce della Colombati tendono a perdersi a partire dagli anni venti – contemporaneamente all’ascesa della Lucchese – fino agli anni quaranta quando ormai era tornata in Italia, sola ma ben intenzionata a non abbandonare il quotidiano esercizio della musica e del canto, seppur in condizioni economiche sempre più precarie.
Ma l’aspetto più interessante e davvero lodevole di questo poderoso volume è il fatto che Virginia Colombati ci viene mostrata, in virtù della sua particolare formazione musicale – aveva studiato con suo padre che a sua volta aveva studiato con Giovanni Battista Rubini – come la “prosecutrice dello spirito, dello stile, della tecnica del belcanto in un’epoca di transizione avvenuta nel momento in cui all’estetica belcantistica del melodramma rossiniano si erano sostituite le concezioni romantico-realista e verista, con conseguente affossamento della sua tradizione tecnico didattica” (pp.16). Affossamento fino ad un certo punto perché quella tradizione, grazie all’impegno didattico della cantante di Pergola, da insegnante a insegnante, soprattutto dall’allieva Josephine Lucchese, inizierà a riaffiorare grazie alla carriera del tenore Bruce Brewer (1941-2017), il primo cantante a eseguire i brani tenorili nella loro tonalità originaria fin dai primi anni settanta.
Del resto era stato lo stesso Tito Schipa – lo ricorda Brewer – a indicargli il nome di Josephine Lucchese come una delle uniche due persone ancora in possesso dell’arte del belcanto ereditate da Rubini e dagli antichi castrati. Un’eredità che – chi si interessa di melodramma lo sa bene – non è stata subito apprezzata dagli melomani più moderni, sostanzialmente condizionati dallo stereotipo della “vocalità tenorile spinta”; e che solo col tempo inizierà a conseguire via via crescenti successi, aprendo la strada a tenori come Rockwell Blake e Chris Merrit.
Da questo punto di vista si comprende perfettamente come “Virginia Colombati maestra di belcanto” non sia un’ordinaria biografia di una donna diventata famosa, grazie al suo trasformismo vocale, come soprano nel repertorio di coloratura e poi giunta a ruoli di mezzosoprano, ma soprattutto l’occasione per ricordare la presenza di innumerevoli teatri lirici oggi non più esistenti; per ripensare tematiche come le tipologie vocali; per considerare come la storia del melodramma oltre che storia della vocalità sia anche e soprattutto storia della pedagogia vocale; e così come la preziosa attività didattica da parte di una grande cantante, troppo isolata, abbia comunque permesso una continuità importante della tradizione italiana del belcanto sul suolo americano.
Edizione esaminata e brevi note
Andrea Zepponi, primo contraltista diplomato in Italia (1990), laureatosi in lettere classiche, poi in clavicembalo e tastiere storiche, affianca l’insegnamento di lettere alla collaborazione con il magazine «MusiCulturA on line» in qualità di critico e recensore di opera lirica. Si dedica alla riscoperta e allo studio di musicisti e cantanti del passato: è stato tra i curatori della ripresa dell’oratorio di Vincenzo De Grandis La ritirata di Mosè dalla corte d’Egitto e suoi sponsali con Sefora durante la sua prima esecuzione in tempi moderni a Ostra (an) nel 2011. Come direttore artistico ha diretto la programmazione musicale della Chiesa della Croce di Senigallia nel triennio (2009-2011) e ha ideato un progetto interdisciplinare rivolto alle scuole di ogni ordine e grado, esportato in diversi istituti scolastici italiani ed esteri e presentato nel volume Disegni di vetro (2014). Autore del saggio La musica ritrovata. Le opere liriche di Augusto Massari (2018) su musiche reperite dal maestro Angelo Bonazzoli, ha curato la prima edizione a stampa dell’oratorio di Pierfrancesco Tosi Il martirio di Santa Caterina (2019), l’edizione delle Composizioni Vocali da Camera di Giulio Pompeo Colombati (2021) e ha pubblicato una raccolta di sonetti, Zeppa poetica (2020).
Andrea Zepponi, “Virginia Colombati maestra di belcanto”, Marsilio (collana “Saggi”), Venezia 2021, pp. 528. Postfazione di Simone Di Crescenzo
Luca Menichetti. Lankenauta, novembre 2021
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