Abbiamo avuto il piacere di porre qualche domanda a Lodovica San Guedoro, scrittrice talentuosa, più volte candidata al Premio Strega, attualmente in libreria con il suo S’io fossi foco, un romanzo in cui scatena senza pietà le fiamme della sua collera sul mondo in rovina: un mondo da lei ritenuto sempre più folle e colpevole, sempre più turpe e indegno! Sul banco degli imputati, in questo caso, non più gli uomini ma le donne, soprattutto quelle che, invece di aspirare a liberarsi e con sé stesse a liberare l’umanità, oscenamente si compiacciono di perpetuare e portare all’esasperazione le caratteristiche e i comportamenti che un tempo furono loro imposti dalla perversione maschile.
Innanzitutto, cara Lodovica, da dove nasce questo romanzo e come mai la scelta di parafrasare nel titolo il celebre sonetto di Cecco Angiolieri?
Affinché fosse espresso esattamente, nel modo più pregnante e fulmineo, complice l’immagine del mondo in fiamme, quello che volevo esprimere: che la terra meriterebbe di essere bruciata. “S’io fossi foco” è nato da un profondissimo bisogno di liberazione, un bisogno che la “Pandemia”, scoppiata quando ero a metà dell’opera, ha poi fatto schizzare alle stelle.
La prima cosa che colpisce è che buona parte degli episodi narrati ha un carattere spiccatamente teatrale, nei tempi e nell’uso del dialogo.
Quando scrivo mi viene più che naturale passare da un genere a un altro. Un mio dramma può essere lirico e un mio poema drammatico, un romanzo, come “L’allegro manicomio”, può avere dialoghi e scansioni sceniche da commedia.
La trama fantastica e la presenza di Gennarina fanno però di questo romanzo anche una favola allegorica, che non disdegna in certi passi i toni di un pamphlet...
La favola mi è congeniale, le mie origini sono fiabesche. Il pamphlet: come non scrivere pamphlet? Bisogna pur polemizzare col mondo!
La critica a certi costumi femminili è molto pronunciata. La perseveranza di Gennarina nell’esibire costumi disinibiti (“la sua costituzione pornografica”) fa impallidire qualsiasi perverso immaginario maschile…
Quindi il mio scopo è raggiunto. Benché, devo dire, nella realtà le cose vadano anche peggio. Solo che la gente è assuefatta e non vede e non sente più niente. Il compito dell’artista è quello di levarle le membrane dagli occhi e i calli dal cuore. Sembra una cosa addirittura schifosa, ma che farci? Quando è necessario, bisogna pur superare il ribrezzo.
Quella che proponi è una chiave di lettura fortemente alternativa, per non dire contraria alla vulgata corrente. Non è un caso che anche Gennarina venga presentata come una sedicente vittima poiché, più o meno consapevolmente, con i suoi costumi, non fa che rafforzare e perpetuare nel tempo uno stereotipo femminile frutto della mentalità patriarcale, adeguandovisi pedissequamente.
Ero stufa di quell’eterno incolpare gli uomini… Alla fine non sono le donne quelle che si prostituiscono? Oggi non si può più legittimamente asserire che vi siano costrette dalla miseria e dal magnaccia. Sono loro che si mettono nude, sono loro a vestirsi in modo provocante, a smaniare per la biancheria sexy e i tacchi alti, a farsi fare il botox e siliconare il sedere o il seno. Hanno di sé una percezione profondamente pornografica, che supera la stessa percezione pornografica che hanno di loro gli uomini. È come un chiodo fisso, una piaga purulenta, un male incurabile che corrode l’anima.
È un romanzo in cui l’ironia gioca un grande ruolo. Quando il Professore apre la scatola cranica di Gennarina trova il vuoto, o meglio un cervello che si è ridotto a misure primordiali: “La realtà è purtroppo questa: il cervello di Gennarina è carente, molto carente…” ci dice, e più avanti la voce narrante aggiunge: “Prima il Professore, che non si dava pace, rovistò la scatola cranica, mettendola tutta sottosopra come un cassetto di biancheria intima… Poi cercò sotto le suole di Gennarina… Indubbiamente la paziente se lo era messo sotto i piedi…” È un’ironia che invita anche alla riflessione.
Credevo che mi volessi accusare di razzismo o misoginia o femminicidio morale. Ma, scusa, è stata solo un’impressione fugace. Beh, lo riconosci anche tu, dunque, che molte abbiano appena un cervellino… L’ironia? Già, è indubbio che ne faccia uso. L’ironia era una volta la più splendida risorsa dei Siciliani per sopportare la realtà, e i Siciliani ne erano maestri. L’ironia è già letteratura. Nei miei libri è il cardine, sono di origine siciliana. “S’io fossi foco” però è anche comico. Non sono la prima, ma l’ultima che castiga i costumi ridendo. Il libro è stato definito inoltre “umoristico” e “satirico”. Quando rileggo questo e quel passo, io per prima mi sganascio dal ridere, benché conosca tutto il testo a memoria, avendo impiegato ben cinque mesi a limarlo e correggerlo. Che devo dire? Malgrado descriva la fine del mondo, è un libro che mi mette allegria!
Il ricorso all’episodio del marziano ti permette, poi, di gettare uno sguardo disilluso ed obiettivo sugli atteggiamenti degli uomini e, soprattutto, delle donne, come pure sulle “conturbanti avventure” di Gennarina. Ne emerge un’umanità irreparabilmente corrotta dalla mentalità maschile/ patriarcale, che sembra aver cancellato dal proprio orizzonte ogni sguardo o possibilità alternativi.
Per noi terrestri da sempre Marte e marziani sono sinonimo di stranezza: una volta tanto si è trovato un marziano che giudica marziani noi terrestri. Non è una cosa bella e nuova? Attraverso lo sguardo straniante e imparziale del mio personaggio verde e bitorzoluto, venuto da Marte, la terra, con tutte le sue muffe, si vede meglio. Ci volevano gli occhi di un alieno per vedere quanta alienazione vi pullula. Lui non è compromesso con la realtà e guarda e vede liberamente, per di più non rischia processi per diffamazione.
L’umanità nel tuo romanzo sembra inevitabilmente condannata al male: “È proprio vero che l’umanità soffre della coazione al male, che è capace di deformare, piegare ai suoi scopi utilitaristici, distruggere e tirare nella merda qualsiasi cosa, che si tratti della Natura, di cui tutti siamo figli, di luminosi ideali o di grandi sistemi morali, nati da un sogno di libertà, che, tradotti in pratica, sono degenerati nella massima illibertà e coercizione, vedi il Cristianesimo, vedi il Comunismo e la fine che hanno fatto.” Oppure, citando un altro passo: “Mentre noi ci faremmo crocifiggere, noi, bruciare vivi, piuttosto che rinunciare a gridare che la realtà è un’unica, gigantesca frode, che il mondo è un nido di velenosi inganni e di perfidie, che l’umanità è votata fin dalla culla alla morte per menzogna, che ha il culto della malvagità, che il suo credo è lo spergiuro, che la sua volontà più autentica è la volontà del male, che la sua vocazione più sincera è il tradimento! Come le piace, e quanto le si addice, voltolarsi in questo maligno fango!” Non c’è davvero alcuna possibilità di salvezza, a tuo modo di vedere?
E che posso saperne io? Dipende da quanti e quanti millenni ci metterà la parte umana a prevalere su quella disumana… Io posso solo sperare e ripetermi: “Che bella cosa è l’essere umano quando è umano!”
Questo romanzo è anche un atto di accusa alla pornografia imperante, capace ormai di permeare ogni aspetto della nostra vita (“pornografia a colazione, a pranzo e a cena, il cittadino medio non conosce altro”). Quando il Professore opera Gennarina ha “eliminato altresì dai cromosomi la programmazione pornografica.”
La pornografia si è talmente raffinata, transustanziata, universalizzata da permeare sì tutto: il lavoro, la vita familiare, il turismo, il cinema, i libri, il tempo libero, la moda, la scienza, i trends, le visite ai musei, la plastica delle bambole, le conversazioni tra colleghi d’ufficio, le relazioni tra uomo e donna, i rapporti coi bambini, i loro giochi, gli orgasmi, i sogni: tutto è pornografico oggi. Perché tutto è implacabilmente privato di vita e di naturalezza, allontanato dal soggetto e ridotto a rappresentazione oscena. Ovunque solo finzioni, simulazioni, sostituti/surrogati della naturalezza e della vita. Così nulla si crea e tutto si distrugge… Che direbbe Lavoisier?
La narrazione delle metamorfosi di Gennarina è inframmezzata dalla corrispondenza tra te e il tuo cugino parigino, una scelta narrativa che ti permette di introdurre nel romanzo stretti riferimenti agli avvenimenti del nostro tempo. Parli anche dell’attuale pandemia, per esempio…
In effetti, ne parlo persino molto. E, a questo proposito, vorrei dire, se permetti, che, per chi non ama le fake news, da qualunque fonte provengano, e per chi non ama i polveroni e le orge tribali, “S’io fossi foco” è proprio la lettura che ci vuole. Per chi ama un pensiero limpido e coerente allo stesso modo di un’azione conseguente, per chi detesta la sopraffazione e l’odio travestiti da amore per il prossimo, non c’è libro migliore. Chi non sopporta la degradazione che l’uomo infligge all’altro uomo, chi tace ma molte cose porta dentro di sé, chi ha sempre preferito giudicare e decidere con la propria testa e non vuole rinunciarvi proprio adesso, chi aborrisce la menzogna, la malafede e la frode, dovrebbe leggere assolutamente questo libro. Chi non può e non vuole vivere nell’ansia e nel terrore, chi sa che le guerre, di qualsiasi tipo siano, sono atroci, chi sa che il dispotismo di un genitore distrugge una famiglia e quello di uno Stato devasta una nazione, chi sa che non ci saranno atti di contrizione che potranno riportare in vita uomini e donne uccisi, far rinascere esistenze distrutte, far riapparire le strade e le case di una città rasa al suolo, chi è consapevole che i suicidi non torneranno mai più, chi ha istintivo orrore della tirannide, chi ama la poesia e la musica, perché ci mostrano quanto possa essere bello e degno l’uomo quando è finalmente uomo, e non legge questo libro, lo fa a suo proprio danno, perché si priva di un grande conforto.
Sempre a riguardo della pandemia, lo strale è diretto anche contro la Scienza o quella che viene proposta come tale. “Una voce malcerta tentò di gridare dalle ultime file che la scienza era l’oppio dei popoli, ma fu prontamente soffocata.”
Rispondo, per comodità, con le parole del Professore: “Ignoranti e zoticoni tutti! Credete di capire l’Universo addirittura! E non capite un fico secco! La scienza è nulla in mano agli ignoranti! Profanatori dell’Universo, vandali che non siete altro! Fatevi entrare questo nelle zucche: più credete di saperla lunga e più corta la sapete! Formule matematiche, buchi neri, teoria della relatività, quantistica, tungsteno! Come siete indiscreti! Non è roba, questa, per chi come voi è privo d’ogni ammirazione e d’ogni stupore di fronte alle cose che ci circondano, per chi ignora grossolanamente il mistero! Siete solo degli arroganti analfabeti, dei cafoni arricchiti, dei porci rincoglioniti, dei burini incancreniti, annotatevelo! Ora sapete come la penso!”
Riemerge tra le righe la tua giovinezza, non senza una nota nostalgica: “Quel mondo è volato via al pari di una chimera, di un sogno, è stato soffiato via da un vento di burrasca, è sparito come una colomba in mano a un illusionista, un riflesso di luce su un tronco di betulla cancellato da una nube! Sorte farabutta!” Ciò accentua enormemente la differenza tra il vuoto mondo di oggi e quello più ricco di ieri.
Nella mia giovinezza ho molto visto e molto amato e oggi mi è molto difficile tanto vedere quanto amare.
Una domanda d’obbligo : a cosa stai lavorando adesso?
Sto portando a termine, in vista del Premio Strega, un volumetto intitolato “Il mostro di Firenze e altri racconti”, concepito in un certo qual modo per tramandare quello che mi capitava da ragazza, e non solo, quando andavo per le vie del mondo. Il mostro di Firenze, o l’uomo che aveva tutta l’aria di esserlo, anche quello ho conosciuto… Gestiva una pensione, e io sono stata sua ignara ospite per un pezzetto insieme a mio marito. Questo libro è una rassegna delle principali molestie sessuali subite soprattutto in Italia per la strada, nei cinema, nei parchi, sui bus, prima di espatriare e anche tornando in patria per vacanze. Ma è stato in Germania che, insieme a mia cugina, sono andata vicino alla violenza carnale e sfuggita forse alla morte. Questo si legge nel racconto “I Turchi”. Ogni racconto inizia in modo svagato, sognante o idilliaco, e assai lontano dalla contingenza, ma poi fatalmente s’incaglia in quel punto. Questo schema è contraddetto solo in tre di essi, significativamente intitolati “Dolce Stil Novo ” (I, II e III). Ogni racconto è anche una pioggia di bei ricordi: Napoli, Roma, la Sicilia, la nostra vita nella campagna toscana…
Hai scelto di dedicarti a una forma letteraria non proprio in voga…
Non è un caso che la forma del racconto sia oggi così poco diffusa: il racconto richiede un senso del ritmo e un’arte autentici, a differenza del romanzo, dove tutti i gatti sono bigi, del romanzo che oggi è un fiume informe in cui può galleggiare qualsiasi cosa, esteriorità e zavorra, e che può finire in ogni punto senza alcuna ragione o necessità intrinseca. Il racconto richiede esperienze reali di vita, motivi, spunti vivi e la capacità di trasfigurarli e di plasmarli in un microcosmo conchiuso. L’astrusità, la confusione, l’inautenticità, che nel logorroico romanzo, con tutte le sue scorie e i suoi orpelli, creano la parvenza di una storia, qui si tradurrebbero in puro vuoto. E questo vale particolarmente per il racconto breve, che è come scritto su un’unghia, è come un fiore o una farfalla che nasce, vive e muore in poche ore. Io amo molto il racconto, ma mi ci sono cimentata solo all’inizio della mia carriera di scrittrice, proprio perché è ostracizzato anche più della poesia. Ma non m’importa, io scrivendo la mia raccolta ho provato in primo luogo un gran benessere, qualcosa come gioia e allegria! Lo vedremo poi, in un secondo tempo, che accoglienza avrà, cosa ne farà per esempio il Comitato direttivo del grande Premio, e cosa mi racconteranno in proposito i giornalisti… Il Corriere mi ha fatto omaggio finora di tre recensioni soltanto. Negli anni immediatamente successivi alla fondazione, avvenuta nel 2006, di Felix Krull Editore, i giornalisti erano ancora curiosi e disponibili, io intrattenevo con taluni di loro conversazioni telefoniche talvolta anche estese, un’atmosfera di aspettativa, di simpatia e di rispetto circondava la nostra casa editrice, avevamo recensioni regolari da Tempo, Messaggero, Gazzetta del Sud. Su quest’ultima, nel caso de “Gli avventurosi Simplicissimi”, ne raccogliemmo addirittura tre, due delle quali firmate dallo stesso critico, Bonardelli, l’unico che avesse recensito anche il nostro primo titolo italiano, il mio “Requiem di Arlecchino”, e che morì poco dopo essersi occupato di “Fedra e le mammine nei caffè”, lasciandomi in un certo qual modo orfana… Troiano, a un dato momento, mi disse che sul Corriere lo spazio per le piccole case editrici si era purtroppo ridotto, e in effetti lasciò trascorrere quattro anni prima di far recensire, nel 2015, “Fiorelluccia” e altri quattro prima di far recensire “Le memorie di una gatta”. Il mio ultimo,“S’io fossi foco”, recensito con stupefacente penetrazione ed entusiasmo da diversi blog letterari e magazines, è stato fino a oggi ignorato grassamente dalla stampa. Eppure qualcosa da dire ai lettori italiani lo avrebbe, non credi?
Mi pare però che recentemente sia stato richiesto da Jessica D’Ercole per la partecipazione al Torneo Robinson/Repubblica…
Ah, sì, è vero. Ma non correrà certo il rischio di essere eletto “Il più bel libro del 2021”!
Edizione esaminata e brevi note
Lodovica San Guedoro nasce a Napoli da genitori siciliani. Dopo una giovinezza trascorsa tra Napoli, Roma e la Toscana, per potersi affermare nel mondo letterario è costretta ad espatriare in Germania, a Monaco di Baviera, dove viene subito apprezzata. Tra i suoi libri ricordiamo: Requiem di Arlecchino (2007), Gli avventurosi simplicissimi (2008), Incitazione a delinquere (2009), Fedra e le mammine nei caffè (2011), L’ultima estate di Teresa Tellez (2013), L’allegro manicomio. Ovvero nove giorni di villeggiatura in famiglia (2016, candidato al Premio Strega 2016), Pastor che a notte ombrosa nel bosco si perdé… (2017, candidato al Premio Strega 2017), Le memorie di una gatta (2018, candidato al Premio Strega 2019), Amor che torni… (2019, candidato al Premio Strega 2020), Agonia (2019), tutti pubblicati da Felix Krull Editore.
Lodovica San Guedoro, S’io fossi foco, Felix Krull Editore, 2021, 340 pp.
Altre opere di Lodovica San Guedoro presenti su Lankenauta.
Intervista apparsa sul blog www.gianlucamassimini.it
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