Forse una chiave di lettura di “Nessun nome per Emilio”, romanzo del messicano di origine italiana Fabio Morábito, sta proprio nell’ambivalenza del titolo originario “Emilio, los chistes y la muerte”, ovvero “Emilio, gli scherzi e la morte”. Ambivalenza che è propria dell’adolescenza, l’età di Emilio il protagonista “senza nome” del romanzo; il quale si ritrova, dopo la separazione dei genitori, solo e senza fratelli, a gironzolare per il cimitero semiabbandonato vicino casa. Un girovagare con intenzioni parecchio inquietanti: grazie alle sue doti fenomenali riesce a memorizzare i nomi dei morti e dei loculi; e tutta questa ricerca gli serve per avere la possibilità di pronunciare il suo nome, perché altrimenti, se prima non trovasse un loculo con un Emilio, “i defunti lo sentirebbero e, pur di appropriarsene, cercherebbero di farlo morire”. Veniamo a conoscenza di questa prospettiva a dir poco surreale non prima di altre circostanze che fanno il paio con fantasie, ingenuità ed irrequietezza. Tipo il fatto che Emilio giri per il cimitero con un aggeggino che lui chiama “rilevatore di barzellette” (“Non è un gioco, Quando si accende la luce vuol dire che la punta di amianto ha rilevato una barzelletta nell’aria” – pp.10), e che poi si scoprirà essere di ben altra natura; e soprattutto l’incontro con Euridice – il nome dice molto – donna che ha da poco visto morire il figlio, tra l’altro coetaneo di Emilio, con la quale si instaura subito una relazione in bilico tra amicizia e desiderio. Rapporto ambiguo che coinvolgerà anche la madre di Emilio, successivamente cliente della massaggiatrice Euridice; e poi il padre, incerto fino all’ultimo se abbandonare o meno definitivamente la famiglia per la sua giovane amante canadese. Rapporti quelli di Emilio, sia quelli degli altri personaggi incontrati nel cimitero che si nutrono di una buona dose di morbosità; per cominciare con Apolinar, il grasso analfabeta operaio del cimitero che si scoprirà avere una storia con Euridice, rassegnato ad essere licenziato a causa del suo analfabetismo; con un giovanissimo ragazzo incaricato di tenere in ordine le tombe ma, a quanto pare, più interessato alle abbondanti forme di Euridice e a mettere a soqquadro i loculi; con un muratore perennemente minaccioso; ed infine con un chierichetto dall’aspetto talmente delicato da sembrare una bimba. Incontri, relazioni, la cui morbosità che, a rigore, apparterrebbe anche a forme incestuose o di feticismo, nei fatti appare meno indecente di quanto si possa pensare, vuoi anche per il tono ironico, vuoi per l’ingenuità del protagonista, in preda alle prime curiosità erotiche, che si muove privo di malizia: “Hai intenzione di spogliarti tutta di nuovo? – chiese abbassando la voce, – Non pensarci nemmeno. Cammina non ti fermare, – Spogliati – Le afferrò il braccio – Voglio sapere se mi piacciono le donne” (pp.96).
Il romanzo racconta piccoli e meno piccoli turbamenti, con una conclusione in cui Emilio forse rischia la morte, che fa pensare davvero alla rottura di un incantesimo, ovvero metafora di un cammino verso un’età non più infantile: “Non pensava a niente, solo a continuare ad avanzare lungo il tunnel, trattenendo la gioia per aver attraversato la voragine […] e adesso era a un passo dall’uscita, finalmente libero dalla tenebre, grazie a una barzelletta portata dalla corrente, che non avrebbe mai saputo com’era, giunta da chissà dove, come avviene per tutte le barzellette e le preghiere” (pp.166).
Ma l’aspetto più pregevole di “Nessun nome”, piuttosto che nelle metafore – il percorso di crescita, la disillusione, l’impossibilità di vedere il prossimo per come è realmente – tutte opinabili, sta proprio nello stile narrativo, sempre equilibrato nel tenere insieme, con un sottile umorismo e una felice ambiguità, gli aspetti morbosi che riguardano il sesso, le situazioni implausibili, nonché temi come il senso della morte, vivere il lutto, il rapporto tra eros e thanatos. Il tutto, pur raccontato in terza persona, come se lo sguardo fosse proprio del bambino ormai non più del tutto bimbo, si sviluppa con rapidità, con invenzioni inattese, nonché con uno stile serrato, privo di inutili digressioni, che appunto si adegua alla visione ansiosa e turbata di un giovanissimo in procinto di abbandonare le innocenze infantili.
Edizione esaminata e brevi note
Fabio Morábito (1955, Alessandria d’Egitto), nato da genitori italiani, ha passato la sua infanzia a Milano. Dai quattordici anni vive a Città del Messico. Nonostante l’italiano sia la sua lingua madre, ha scritto tutti i suoi libri in spagnolo. Poeta, prosatore e saggista è molto noto in Spagna e America Latina. La sua produzione ha ottenuto numerosi premi, tanto per la poesia quanto per la narrativa, l’ultimo in Francia nel 2018: il prestigioso premio Roger Caillois, per la totalità della sua opera.
Ha scritto il libro per bambini Cuando las panteras no eran negras (White Raven Prize), pubblicato in Italia da Salani (Quando le pantere non erano nere). Ha raccolto e pubblicato Cuentos populares mexicanos, un libro di 125 racconti orali messicani, (White Raven Prize). È traduttore dall’italiano di numerosi romanzi, poesie, saggi e libri per bambini. Nel 2005, Galaxia Gutenberg ha pubblicato la sua traduzione dell’opera completa di poesia di Eugenio Montale. Dall’italiano ha tradotto anche libri di Torquato Tasso e di Patrizia Cavalli
Fabio Morábito, “Nessun nome per Emilio”, Exòrma (collana “Narrativa”), Roma 2021, pp. 166. Traduzione di Adrián N. Bravi e Marino Magliani.
Luca Menichetti. Lankenauta, gennaio 2022
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