“I nemici della giustizia. Magistratura, politica, economia: chi non vuole una giustizia uguale per tutti”, pubblicato in forma di intervista di Saverio Lodato al pubblico ministero Nino Di Matteo, rappresenta una sorta di controcanto rispetto “Il sistema” di Alessandro Sallusti e Luca Palamara. Ma se il libro – confessione dell’ex magistrato, adesso sotto processo per diversi reati, tra cui corruzione per un atto contrario ai doveri d’ufficio e corruzione in atti giudiziari -, è diventato, da parte dei nostri “garantisti”, uno strumento per infamare l’intero sistema giudiziario italiano, Nino Di Matteo racconta le cause e le degenerazioni in maniera decisamente diversa. Innanzitutto perché non si limita a deplorare l’involuzione del sistema causata dai magistrati – in questo senso diventa indispensabile la lettura delle pagine dedicate al sistema di attribuzione degli incarichi fuori ruolo, del sistema delle cordate, della crescente burocratizzazione del ruolo -, ma, pur con toni perennemente garbati, approfondisce le questioni più spinose sul tema giustizia; ovvero, nel riaffermare che l’unico orizzonte per una magistratura sana è tornare ai valori fondanti della Costituzione, la “riforma Cartabia con le sue storture giuridiche ai quesiti referendari; la degenerazione del correntismo ai rapporti distorti con la politica; i pericoli per l’indipendenza della magistratura; lo strapotere del partito degli avvocati in Parlamento”.
La racconta in maniera diversa per un motivo del tutto evidente: perché convinto che l’attuale denuncia dei mali della magistratura, necessaria e doverosa, sia “inquinata dalla volontà di molti di regolare i conti con quella magistratura che si è ‘spinta oltre’. Che non si è limitata a stare al suo posto, a perseguire solo i poveri diavoli. E per ottenere lo scopo è necessario far credere che ogni processo nei confronti di un uomo di potere sia stato un processo politico” (pp.125). Scopo reso più agevole dalla presenza di un’informazione ricca di personaggi “pronti a soddisfare i loro datori di lavoro. E ad assecondare la prospettiva politica della fazione di riferimento” (pp.128).
La requisitoria di Di Matteo in sostanza è la stessa di Nicola Gratteri, accolta dai cosiddetti media per lo più con toni infastiditi. Fastidio più che comprensibile visto che Di Matteo disintegra la narrazione corrente di riforme, redatte da team di esperti che hanno a cuore il bene della giustizia italiana, soprattutto indispensabili, sulla scorta del classico “ce lo chiede l’Europa”, peraltro in un parlamento in cui “la presenza degli avvocati è debordante”. Iniziando dal primo grande equivoco: “E’ la grande tragedia italiana, quell’inveterata pretesa di sovrapporre, fino a confonderle, responsabilità di natura diversa: la responsabilità penale […] E la responsabilità etica, ma anche politica che dovrebbe essere fatta valere in sedi separate rispetto le aule di giustizia e indipendentemente dall’esito di inchieste e processi” (pp.53). Etica che di fatto viene pesantemente colpita in un sistema “fortemente gerarchizzato”, già intrapreso dalla riforma Castelli-Mastella, nel quale “la politica può riuscire meglio a controllare, a indirizzare l’esercizio delle indagini e delle azioni penali” (pp.90).
Ma se il discorso sui mali della giustizia è già stato affrontato anche da altri celebri magistrati, sicuramente la parte del libro intervista di più stretta attualità, nonché quella che potrebbe davvero creare qualche disturbo ai nostri “garantisti”, è quella dedicata alla riforma Cartabia e ai nuovi referendum sulla giustizia. Tra le tante affermazioni volte a demitizzare la bravura e il disinteresse di tanti presunti luminari, possiamo citare quella sui fondi del Recovery Plan”: “Non credo che una buona riforma possa essere adottata in funzione della necessità di ricevere sovvenzioni economiche e di incassare i fondi europei […] La giustizia non può diventare merce di scambio con un interesse economico” (pp.135). Insomma, secondo Di Matteo, “La riforma Cartabia è una delle peggiori degli ultimi decenni”, ricordando innanzitutto il sistema dell’improcedibilità che, se in vigore nel recente passato, avrebbe mandato in fumo il processo per abusi alla Caserma Bolzaneto nel 2001, il processo per la strage di Viareggio, quello sul crac Parmalat; “e potrei continuare” (pp.144).
Altrettanto impietoso riguardo i referendum, nel denunciare il rischio che i pubblici ministeri diventino potenti braccia armate del governo: “Sono i fatti che hanno la testa dura. In Italia vogliono separare le carriere quando invece le parti più evolute e avvedute della comunità internazionale viaggiano nella direzione opposta” (pp.188). Come altrettanto impietoso risulta nel dichiarare il suo “no” al quesito referendario sulla responsabilità civile del magistrato, che posto come è stato posto dalla nostra classe politica in pasto ad una classe di cittadini digiuni di tecniche processuali, sembrerebbe una semplice affermazione di buon senso: “Per il magistrato sarebbe la fine della serenità di giudizio. E’ così? – Sarebbe inevitabile. Continuamente chiamato in causa, tenderà a non esporsi, soprattutto rispetto alla parte politicamente ed economicamente più forte […] Così come il magistrato penale, anche inconsapevolmente, sarà timoroso nel condannare un imputato potente, che un giorno, ottenuta la riforma della condanna in appello, potrebbe scagliarsi contro il giudice” (pp.199).
Al termine del lungo colloquio tra Saverio Lodato e Nino di Matteo compare una frase che ben sintetizza il momento in cui viviamo; soprattutto in relazione a chi adesso, visto questo “Recovery Plan” con tanto di acquolina in bocca, ha intenzione di prendere la palla al balzo per chiudere la partita con i giudici: “I governi vanno e vengono, ma le mafie restano”.
Edizione esaminata e brevi note
Nino Di Matteo, (Palermo, 1961) è in magistratura dal 1991. Pubblico ministero prima a Caltanissetta e poi alla Procura della Repubblica di Palermo. Dal 2017 alla Direzione nazionale antimafia e antiterrorismo. Da ottobre 2019 è membro del CSM. Vive sotto scorta dal 1993. Si è occupato di molte delle più delicate indagini di mafia: dalle stragi del 1992 agli omicidi dei giudici Chinnici e Saetta, dai rapporti tra mafia e politica a Palermo all’inchiesta sulla trattativa Stato-Mafia.
Saverio Lodato, (Reggio Emilia, 1951), giornalista e saggista, è autore di libri fondamentali sulla Sicilia e sulla mafia, tra cui La mafia ha vinto (intervista/testamento di Tommaso Buscetta, Mondadori), La linea della palma (con Andrea Camilleri, Mondadori), Il ritorno del principe (con Roberto Scarpinato, Chiarelettere) e, in BUR, Quarant’anni di mafia.
Nino Di Matteo, Saverio Lodato, “I nemici della giustizia. Magistratura, politica, economia: chi non vuole una giustizia uguale per tutti”, Rizzoli (“Saggi italiani”), Milano 2021, pp. 240.
Luca Menichetti. Lankenauta, marzo 2022
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