Ormai il genere giallo è stato declinato in tantissime forme, a partire dai grandi maestri del genere fino agli epigoni del noir odierno, che spesso tende ad assumere forme stereotipate. Per fortuna non è sempre così, anzi stanno emergendo degli autori (penso anche a Remo Bassini, da me recentemente recensito per il suo La suora, edito da Golem) che, oltre a proseguire la nobile tradizione del giallo – e più in generale del romanzo – di provincia italiano, rinverdiscono il genere con soluzione stilistiche, atmosfere e voci narrative fresche e sorprendenti.
È decisamente il caso di Marisa Salabelle, autrice pistoiese già affermatasi con tre precedenti libri, uno dei quali (Gli ingranaggi dei ricordi) legato alle sue origini sarde e alla sua passione per la Storia (materia di cui è stata a lungo docente), e in particolare alla storia degli anni della seconda guerra mondiale, mentre gli altri due – L’estate che ammazzarono Efisia Caddozzu (edito da Piemme) e L’ultimo dei Santi (uscito con Tarka Editore), che avevano entrambi come personaggio-chiave il giornalista Saverio Giorgianni – possiamo considerarli dei “prequel” di quello di cui parleremo oggi: Il ferro da calza (sempre della collana “Appenninica” di Tarka Edizioni, curata da Paolo Ciampi e Marino Magliani).
Saverio, cronista sportivo con uno spiccato talento investigativo e un’irrefrenabile propensione per le tresche sentimental-erotiche (di fatto, aveva due famiglie parallele, prima di essere beccato e svergognato, ne L’ultimo dei Santi, rimanendo senza compagna e con tre figli da spupazzarsi, spessissimo da solo), nel nuovo libro svolge un ruolo sempre importante ma in un certo senso più marginale, perché – e veniamo al primo tratto interessante e innovativo del romanzo – le figure che spiccano, maschili e femminili, sono tante e tutte ben curate e prominenti.
Siamo nel dicembre 2002. La cornice è un convegno in quel di Porretta, località termale appenninica ormai sfiorita ma dal glorioso passato, organizzato da Amnesty International in collaborazione con l’associazione “Il Granello di Senape”, guidata da Ginevra Pelagatti, attivista per i diritti civili intelligente e combattiva, insieme all’affascinante e carrierista Marianna Maffucci. Il convegno verterà sui tragici fatti del G8 di Genova dell’anno precedente, e vi concorreranno anche il fotoreporter di origini nigeriane Felix Osabuohien e il “nostro” Saverio, autori di un eccellente reportage sugli abusi commessi dalle forze di polizia in quell’occasione, nella quale essi stessi sono stati pestati a dovere.
Il caso (o magari no) vuole che Marianna, poco prima dell’inizio dei lavori, venga trovata morta nel suo appartamento, trafitta alle spalle da un ferro da calza. Ovviamente il convegno viene interrotto sul nascere, e inizia un’indagine della polizia locale. Questa, inevitabilmente, finirà per intrecciarsi con quella giornalistica di Felix e Saverio – impegnato a capire la verità non meno che a cercare di portarsi a letto un’ispettrice, come già in precedenza aveva inutilmente tentato di fare con Marianna –, oltre che con ricorrenti flash di passato che hanno per protagonista la stessa vittima e per “sguardo narrante” (e giudicante) la stakanovista e sfruttatissima Ginevra, arrivando a toccare varie figure della realtà locale, pubblica e privata.
Ovviamente non mi addentro oltre nei dettagli della trama. Quel che più mi interessa, come dicevo sopra, è sottolineare la novità del romanzo. Questo è, a tutti gli effetti, un giallo corale, con varie voci, tra cui lo stressato e disincantato commissario Vignoli, che concorrono, dal presente narrativo e dal passato, a tratteggiare un quadro di vita e d’indagine molto vivace. Ogni personaggio – penso in particolare a Marianna, ma anche a Ginevra, oltre che a Saverio e Felix – è dipinto in modo vivo e fortemente realistico, con una tridimensionalità che gli fa “bucare lo schermo” ancor prima che questa storia (come mi auguro) diventi un film. E non solo: lo stile di Marisa Salabelle è ironico, divertente e incredibilmente scorrevole, ma con la profondità e l’attenzione per i dettagli che appartengono agli scrittori e alle scrittrici di autentica qualità.
Per essere più esplicito, questa narrativa è intensa come quella camilleriana e spiritosa come quella di Marco Malvaldi, ma quello che la rende speciale è il fatto che mette insieme – e con grande semplicità e naturalezza – entrambi questi tratti, arricchendoli con quella sensibilità femminile che, si sa, quando è genuina e non affettata fa fare un salto quantico a tutte le cose (della letteratura come della vita).
Edizione esaminata e brevi note
Marisa Salabelle è nata a Cagliari il 22 aprile 1955 e vive a Pistoia dal 1965. È laureata in Storia all’Università di Firenze e ha frequentato il triennio di Studi teologici presso il Seminario vescovile di Firenze. Dal 1978 al 2016 ha insegnato nella scuola italiana. Nel 2015 ha pubblicato il suo romanzo d’esordio, L’estate che ammazzarono Efisia Caddozzu (Piemme). Nel giugno 2019 ha pubblicato il suo secondo romanzo, L’ultimo dei Santi, presso l’editore Tarka. Entrambi i romanzi sono stati finalisti al Premio La Provincia in Giallo, rispettivamente nel 2016 e nel 2020. Nel settembre 2020 è uscito il suo terzo romanzo, Gli ingranaggi dei ricordi, presso l’editore Arkadia. Nel giugno 2022 è uscito Il ferro da calza (Tarka Edizioni). Ha pubblicato articoli e racconti su numerose riviste online e antologie cartacee.
Marisa Salabelle, Il ferro da calza, Tarka Edizioni, Mulazzo (MS), 2022, pp. 165
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