“Un libro dovrebbe avere più titolo, come gli adesivi turistici sulle vecchie valige”, insieme ad una citazione di Paul Valery (“certe parole sono come dei fragili ponti su un precipizio: se ci passi sopra velocemente, ti reggono; se ti fermi a rifletterci su, crollano insieme a te”), ben rappresentano, nell’introduzione, quanto sia articolato il viaggio nell’archeologia e nell’amore di Cătălin Pavel. Amore, inteso come amore di coppia, che viene letteralmente riportato alla luce a partire dall’incontro dei sapiens con i neanderthal fino agli inizi del secolo scorso. Proprio per l’ampiezza del percorso Pavel ha costruito un saggio in cui emerge, per stessa ammissione dell’autore “il carattere descrittivo, inventariale, del libro è stato assunto fin dall’inizio”(pp.301). Ma, per fortuna del lettore, è un “inventariale” costruito in maniera intelligente, quel tanto da rendere godibili argomenti a rigore ostici, anche per chi fosse del tutto ignorante di archeologia. Come ancora sottolinea Cătălin Pavel nella sua introduzione: “due obiettivi secondari sono ben celati nel libro. Oltre che parlare d’amore, m’interessa portare il discorso sull’archeologia in generale, sui suoi metodi, i suoi problemi e le sue soluzioni […] Il secondo obiettivo è, ancora più in generale, parlare sia pur indirettamente del transfert culturale, cioè della vita delle cose morte” (pp.19).
Obiettivi che ben si colgono per tutto il lunghissimo excursus, costituito indubbiamente da innumerevoli nozioni, ma che nel contempo scorrono via senza cedere a toni troppo accademici grazie a un approccio sostanzialmente ricco di ironia e leggerezza. Nozioni che quindi accostano particolari storici – ai limiti della paleoantropologia stante le notevoli pagine dedicate all’incontro amoroso, sessuale e non, tra l’homo di neanderthal e l’homo sapiens – con valutazioni che tendono a riesaminare molti luoghi comuni: “Chiaramente non c’è bisogno di vedere ora i neandertaliani come dei geni, solo per compensare il fatto che in passato la maggioranza dei ricercatori li considerava come dei bruti. Certo è che le ricostruzioni recenti sul loro aspetto si riorientano dal lombrosianesimo verso il rugged good looks” (pp.42).
Certo è che le “ricostruzioni” di Cătălin Pavel, fatte di indizi amorosi, sessuali, oppure di esplicite rappresentazioni, ci accompagnano davvero per tutta la storia dell’umanità. A partire dei citatissimi primi uomini per poi giungere a vicende di vita erotica che, a rigore hanno poco di archeologico, visto che leggiamo di un’archeologia vissuta nei tempi moderni da Agatha Christie alle prese con gli scavi sul cantiere di Ur, in compagnia col suo amore Max Mallowan; oppure l’arte erotica antica nelle opere di Picasso e de Chirico; oppure ancora la divorante passione per l’archeologia di Sigmund Freud, come il capitolo dedicato a Gertrude Bell, archeologa tanto geniale e famosa quanto disordinata nelle sue vicende sentimentali.
In mezzo a questi estremi l’archeologia, che ha molto a che fare col sesso e l’amore, viene trattata cronologicamente dai tempi più remoti: ovvero, in “Eros e Thanatos. Sepolture doppi del neolitico e dell’Età del ferro”, la trattazione di casi sorprendenti come il ritrovamento degli “amanti di Valdaro” sepolti insieme in una tomba di oltre 3000 anni a.C., presumibilmente un uomo e di una donna. A seguire nei secoli altra archeologia di argomento amoroso e/o sessuale come il capitolo dedicato ai “Billet doux e fantocci vodoo nell’Egitto greco-romano”, ovvero le storie personali che si possono cogliere dalla lettura dei papiri e delle lettere di 2200 anni fa; e poi l’architettura erotizzata del Foro di Cesare e del Foro di Augusto (“credo che dovrebbe essere portato in discussione un articolo di una ricercatrice americana sulla forma fallica di una tra le più celebri piazze pubbliche di Roma antica”); l’arte greca e le avventure amorose di Ulisse, Ettore e Andromaca, Teseo e Antiope, Zeus e tutti i più noti e meno noti protagonisti mitologici; i temi iconografici di Adamo ed Eva nell’era paleocristiana; i graffiti pompeiani; la vita amorosa dei Vichinghi di Romania; e molto altro.
Tanta carne al fuoco ma, come anticipato, niente che risulti eccessivo nel suo vagare apparentemente senza meta nei secoli. Al contrario, come giustamente scrive Gigi Spina nella prefazione al libro, “L’archeologia dell’amore” al lettore potrà procurare qualche bel momento, come “farsi trasportare nel tempo e nello spazio ma con i piedi ben piantati nel presente […] perché questo viaggio nella concretezza dell’amore riserva quasi ad ogni pagina sorprese e pensieri umani. E, come si sa, nulla di ciò che è umano può esserci estraneo” (pp.14
Edizione esaminata e brevi note
Cătălin Pavel, 1976, Romania. Archeologo e scrittore. Ha partecipato a scavi archeologici in Romania, Germania, Francia, Inghilterra, Marocco, Israele e Turchia. Borse di dottorato e post-dottorato presso l’Università Paris 1 Panthéon-Sorbonne, l’Università di Oxford, l’Istituto Archeologico Albright di Gerusalemme e il New Europe College di Bucarest. Ha pubblicato volumi accademici, di poesia e romanzi, ricevendo diversi premi. L’archeologia dell’amore è stato tradotto e pubblicato in Francia nel 2022 per Éditions de l’Aube.
Cătălin Pavel, “L’archeologia dell’amore. Dal Neanderthal al Taj Mahal”, Neo edizioni (collana “Potlach”), Castel di Sangro 2022, pp. 314. Traduzione di Bruno Mazzoni.
Luca Menichetti. Lankenauta, ottobre 2022
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