Serata d’autunno a Torino.
Quando la pioggia è talmente insistente da sfidare persino i portici del centro.
Un cinema retrò illumina una locandina con luci rossastre e lievemente fumé.
L’invito ad entrare in sala è troppo forte, complice la forza evocativa del poster e la curiosità sulla nuova regia di Valeria Bruni Tedeschi (la voglia di passare due ore al caldo è pure confortante).
“Forever Young” è stato presentato dalla stampa come un’opera celebrativa del teatro e dello stravagante baraccone dei commedianti.
Ne abbiamo una netta e marcatissima idea sin dalle prime immagini.
La commissione della osannata scuola teatrale di Patrice Chéreau è pronta a valutare le performance dei candidati per deciderne l’ammissione.
Tra i giovani e rumorosi talenti che galoppano impetuosi sul palco spicca la bionda Stella, fra le provinanti meno esuberanti.
Non le serve sgomitare più di tanto perché, arrivato il suo turno, l’attenzione si catalizza sul monologo furioso, passionale e disperato.
La sua presenza è da musa botticelliana.
Pelle di burro, occhi blu cobalto e labbra piene e scarlatte.
In lei più che negli altri ci sono i segni di una gioventù invincibile, trionfante perché ancora in fiore e carica di promesse.
Come i mandorli in primavera, ‘Les Amandiers’, titolo francese della pellicola.
Ma non tutti i boccioli sono lievi e delicati.
La corte di ragazzi che si affolla per un posto in compagnia è smaliziata, talvolta sguaiata e priva di qualsiasi freno; pronta a tutto per aggiudicarsi l’ingresso.
La narrazione parte velocissima e non subisce segni di arresto; ci obbliga a rincorrere i personaggi, ad adeguarci ai loro scalpitii.
C’è un’ossessione costante, l’impellenza di divorare il tempo perché la giovinezza fugge.
Ed è folle che questa febbre sia ostentata da chi si è appena affacciato alla vita.
‘Ho sentito che sprecavo la mia giovinezza’; Sara giustifica così il suo desiderio di recitare.
Se questa smania insana può risultare artificiosa per qualsiasi ventenne di oggi, non lo è certo per un attore, che porta i segni di uno struggimento costante.
La Tedeschi è un’efficacissima direttrice d’orchestra perché riprende il mondo d’appartenenza, la sopravvivenza del suo branco. Il personaggio di Sara si nutre della sua linfa, la vedo bene al suo posto agitarsi con le bionde chiome, difendere il boccone dalla furia dei compagni.
Le porte della scuola preannunciano un Eden a cui pochi fortunati accedono per raggiungere il loro sogno.
La magia viene alimentata dal viaggio a New York e dallo stringersi delle relazioni. La scintilla che scocca tra Etienne e Sara è così romantica da riportarci alla mente le corse a fiato corto di Jules e Jim.
Ma lo stage all’Actor Studio rappresenta una breve parentesi e ritornati in Francia rientreranno nella gabbia dorata.
Mutando forma.
Digrignando come animali in cattività.
Spegnendosi.
L’inizio dei corsi segna il rutilante avvio della tragedia che invade le loro vite al punto da drammatizzarle di botto, innescando per l’appunto l’imbastardimento.
Sara si difende meglio degli altri da questa brutale mimesi ma il fuoco che viene alimentato è troppo alto per rimanere indenni.
La Bruni Tedeschi mette ceppi su ceppi, vuole fare divampare il rogo, pompa con fin troppo lirismo l’incarnazione della sofferenza.
Il limite tra finzione e realtà non esiste più; lo strazio ed il dolore assumono proporzioni vivide e quasi titaniche.
Il tema del teatro che si fa vita può ancora spiazzarci?
In realtà no; ci aspettiamo che lo sporco lavoro di un interprete ‘calato nel personaggio’ possa toccarlo al punto da entrargli dentro, da fargli rivivere le stesse emozioni fino alla totale immedesimazione.
Quindi non sono certo sorpreso dal tema quanto dal pathos.
Perché la storia è riuscita ad abbattere il muro dell’Io spettatore trascinandomi fuori dal cinema per gettarmi davanti a loro.
Ho l’impressione di avere accanto a me Garrel, interprete profondo del regista Patrice Chéreau, e di riuscire a toccarli mentre calpestano le travi di legno.
Il miracolo è da tributarsi anche al parco attoriale che decreta la riuscita del film.
Voglio applaudirli tutti ma, eccezion fatta per il divo francese che ho nominato sopra, non voglio menzionarne nessuno in particolare perché la mia standing ovation è da riservare all’intera orchestra.
La mia scena preferita è il canto a squarciagola dei protagonisti dentro l’auto di Franck, sulle note indovinatissime di “Le Chanteur” di Daniel Balavoine che è la vera canzone simbolo del film, ben più della pubblicitaria hit degli Alphaville.
In un delirio euforico urlano incitando la spinta sull’acceleratore. La loro voce, soprattutto quella di Etienne, diviene presto gravida di lacrime, fa suo l’inno ad una morte gloriosa.
Malattia e Morte vanno a braccetto con Passione e Amore.
Si sceglie di vivere intensamente, rispondendo al bisogno di provare i sentimenti in modo istintivo e liberatorio.
La frenesia di unirsi carnalmente ai propri simili è un bisogno viscerale, bestiale di ‘mangiarsi’ fino in fondo, al di là dei sentimentalismi figli di un conformismo emotivo a cui non si vuol rispondere, esponendosi però al caos.
Difatti lo spettro dell’Aids (siamo negli anni ’80), piomba con violenza e li proietta in uno scenario sempre più funebre.
La rabbia di imporsi, di accaparrarsi le femmine e i maschi del gruppo, la volontà di dominare il successo, si ingrigisce per proiettarli verso un destino tutt’altro che roseo, di malinconica follia.
Le fiere pian piano rammolliscono, stanche degli eccessi.
Sembra quindi che l’anatema del maggiordomo di Sara si realizzi.
Il buon vecchio voleva scoraggiare gli impeti artistici della giovane, invitandola ad un’esistenza più comune, con un marito e dei figli pronti a scandire i ritmi rassicuranti della quotidianità.
Scegliere la recitazione significa invero esporsi ad un percorso incerto, solitario e travagliato.
In una recente intervista una famosa celebrità affermava che gli artisti si consumano e vengono consumati da chi hanno intorno.
E queste parole descrivono perfettamente l’epilogo di Sara che vivrà altrove ma col cuore intrappolato in quell’amata e maledetta scuola.
Edizione esaminata e brevi note
Valeria Bruni Tedeschi è un’attrice italiana, regista, sceneggiatrice. È nata il 16 novembre 1964 a Torino. Nei suoi 35 anni di carriera ha recitato per grandissimi autori italiani e stranieri: Ermanno Olmi, Marco Bellocchio, Mimmo Calopresti, Giuseppe Piccioni, Paolo Virzì, Cristina Comencini, Roberto Andò, Gabriele Muccino, Claude Chabrol, François Ozon, Steven Spielberg, Ridley Scott.
https://it.wikipedia.org/wiki/Forever_Young_-_Les_Amandiers
https://www.allocine.fr/film/fichefilm_gen_cfilm=286637.html
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