Si capisce fin da subito, leggendo questa raccolta postuma di Cristina Annino, “Avatar”, pubblicata nel febbraio 2022 da Avagliano Editore, di avere a che fare con una parola guizzante, felice, irriverente, caustica, a tratti beffarda, sempre brillante, ma non priva di una pietas sotterranea e pudica. Si capisce che quello di Cristina Annino è un linguaggio che rende tutto possibile, nello sfaldarsi equivoco della soggettività che ordina il mondo secondo i paradigmi linguistici della contemporaneità, qui così sapientemente decostruiti; modelli per i nostri pensieri, comportamenti, credenze, deliri vari. Paradigmi di natura gregaria e dunque socialmente consumabili e scambiabili. Il poeta qui è colui che, riconoscendo “arcivana” anche la filosofia, si occupa di spegnere ”dicerie, onde/ radio, poeti, che fanno coi pensieri/fiaccole, teologi coi/ volti di cane”.
Le sentenze di Cristina Annino brillano nel testo, assumendo la forma di verità a lungo taciute ma a tutti evidenti: “Invecchiare è un’arte/ scurrile, te lo dice chi è eterno.”
“Sii sempre/ vago come un affare di nubi” è il punto di partenza di una versificazione che, se fatichiamo a includere in un sistema logico, com’è naturale che sia per un poeta di questo livello, è anche poco onirica, bisogna trovare un’altra soluzione per rendere conto di questa scrittura straniante ed insieme fortemente realistica, di un realismo vorticoso in cui lo stupore che ci coglie davanti a questa lingua così personale apre prospettive mai prima contemplate. I versi sono spesso asciutti, secchi, lapidari, non ci sono concessioni a un lirismo facile, d’effetto, anzi si manifesta qui una parola scabra e scattante, che non è mai là dove si vorrebbe fermare, come un gattino palpitante fra le nostre mani.
“ Allora grazie per essere/ qui, noi che siamo/ bottiglie[…]”.
“Avatar” aldilà dell’apparente leggerezza giocosa, o forse proprio a causa di questa, è una profonda riflessione su ciò che è l’Ego e su cosa è il Sé, che, come scrive Daniela Marceschi, nella nota in quarta di copertina, in questa raccolta “si alternano, interloquiscono e si scontrano”.
Così Annino si situa nel punto di sutura fra le due forze, nel luogo di questa ferita metafisica, di questa pericolosa scissione, da dove, veggente, riesce a vedere ciò che sta dietro il velo di una Maya linguisticamente irreggimentata. Con pochissimi tratti (Annino fu anche pittrice)- “daccapo il destino”- entriamo in un disegno cosmico sempre connesso con la più minuta quotidianità in cui anche una visita dal dentista diventa manifestazione della presenza poetica e della sua potenza.
Tutto l’impasto linguistico è lievitato da un’ironia costante e mai compiaciuta, mai compiacente. L’ironia sembra essere il modo con cui Annino si difende dal rischio di appiccare incendi nel cuore delle parole, la solennità non le garba, la poesia è un gioco di meraviglie, giacché ”può sparire/tutto ma non la parola”.
Così nella poesia in cui si rivolge a un amico depresso, può suggerire il più ironicamente disilluso dei consigli: “Sii sciocco e poi/ infame e poi a pezzi com’è la speranza”.
Linguaggio franto, frequenti cesure sanciscono l’adesione ai ritmi musicali di una contemporaneità incerta, frantumata. Anche per questo “Avatar” è una sottile – e sottilmente divertita- ricognizione filosofica in cui sembra che le parole conquistino la leggerezza delle nuvole e le nuvole assurgano alla potenza di apoftegmi definitivamente scolpiti nel cielo: “Forse ancora/ ci tiene al mondo la voglia di/qualche evento”.
La sensazione è di avere a che fare con una maestra di una poesia irregolare, inquieta sì ma anche ironica, arguta e tagliente, dalla cui “gaia scienza” dei versi abbiamo molto da imparare.
E sembra che non sia un mero fatto tecnico ma soprattutto etico: la costruzione o meglio la ricostituzione di un’individualità in cui l’Io e il Sé tornino a parlare la stessa lingua, una lingua delle origini senz’altro.
“Perché/ c’è stato un tempo più saggio in cui non/ esisteva né io né tu né loro, si era tutti uguali/alberi di radici senza cemento; un frutto sul/costato e intorno animali”.
Edizione esaminata e brevi note
Cristina Annino, “Avatar”, Avagliano Editore – febbraio 2022
Cristina Annino(Arezzo, 1941- Ostia 2022) è cresciuta ad Arezzo e ha studiato a Firenze Lettere moderne. Al Caffè Paszkowski entra in contatto con il Gruppo 70. Nel 1969, con le edizioni Tèchne di Firenze, pubblica il suo primo libro di poesia, “Non me lo dire, non posso crederci”. Nel 1984 viene inclusa da Walter Siti nel terzo volume dei “Nuovi poeti italiani “(Einaudi). Nel 1987 grazie ad Antonio Porta pubblica per Corpo 10 di Milano Madrid, grazie al quale vince l’anno dopo il Premio Pozzale Luigi Russo. Nel 2001 è inserita da Franco Loi e Davide Rondoni nell’antologia “Il pensiero dominante”. Poesia italiana 1970-2000 (Garzanti, 2001). Tra le sue raccolte si ricordano anche “Celine” e “Anatomie in fuga”.
Wikipedia
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Le parole e le cose
Lankenauta, Ettore Fobo, marzo 2023
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