Nel 2014, scrivendo di “Italia ultimo atto” di Fabrizio Fogliato, avevamo sottolineato come l’analisi dell’autore non fosse incentrata soltanto sui film in quanto tali ma si aprisse necessariamente alla storia italiana e alla sociologia: “una prospettiva non soltanto limitata all’estetica e alla tecnica cinematografica ma, come possiamo cogliere subito grazie ad un linguaggio non banalmente giornalistico, pagine che intendono svelare le dinamiche e l’immaginario di spettatori alle prese con profonde inquietudini e i cambiamenti – a volte solo apparenti – della società e delle politica”.
Considerazioni ancor più valide adesso con la pubblicazione di “Con la rabbia agli occhi. Itinerari psicologici nel cinema criminale italiano”, saggio imponente di oltre settecento pagine, in cui Fogliato ci racconta come il cosiddetto “cinema di genere”, probabilmente al di là delle intenzioni dei registi e degli sceneggiatori, rifletta “limpidamente, inclinazioni psicologiche presenti nell’inconscio collettivo: proiezione esterna di esigenze interiori”, nonché “il ripiegamento della popolazione italiana e il suo rapporto con le istituzioni distorcendolo e incardinandolo su due fattori: la percezione della paura individuale e collettiva; la sfiducia nell’autorità che reputa incapace o inadatta a lenire le sue angosce”(pp.17). Oltre settecento pagine che però non devono intimorire. Come ha ammesso lo stesso Fogliato in una recente intervista video, è vero che parte del linguaggio adottato in “Con la rabbia agli occhi” è nettamente accademico, ma l’ambizione dell’autore è stata quella di abbinarlo ad un linguaggio e ad un argomento popolare. Popolare come poteva essere appunto il “cinema criminale” che, come nel caso di “Roma ore 11” di Giuseppe De Santis, “permette di scoprire un’Italia che tutti conoscono ma di cui nessuno parla” (pp.32); come la possibilità di scorgere “negli eventi il lato oscuro e inquietante della modernità e del benessere” (pp.120). In sostanza “Con la rabbia agli occhi” è un lunghissimo racconto interdisciplinare della storia e della società italiana – Piazza Fontana, i tentativi di golpe, la P2, il massacro del Circeo, la Banda della Magliana, l’inquietante caso di Aldo Semerari – incrociando analisi letterarie (Gadda, Sciascia, Pasolini, Calvino), sociali, cronaca nera, progetti cinematografici irrealizzati come il “Gladio” di Sordi, trame di film non necessariamente di gran livello e neanche tutti di argomento strettamente poliziesco. Si pensi soltanto al capitolo dedicato a “Adua e le compagne” di Antonio Pietrangeli in cui Fogliato scorge i prodromi del caso Fenaroli, poi approfonditi con l’analisi di altri film come “Il sicario” di Damiano Damiani.
Racconto di una società malata che, collegando il romanzo “La speculazione edilizia” di Calvino con “Le mani sulla città” di Francesco Rosi, mostra il paradosso di un avanzare del benessere direttamente proporzionale all’avanzare dell’infelicità. Infelicità che viene studiata a partire dai film ispirati dai fatti cronaca, tanto da dimostrare che proprio nei film – come “Ai margini della metropoli” di Carlo Lizzani – “si annidi – oltre a un forte potenziale narrativo – anche l’occasione per affrontare tematiche altrimenti rifiutate (dal pubblico) e/o censurate (dalle istituzioni)” (pp.69). Da questo punto di vista Fogliato ribadisce ripetutamente come certa cinematografia abbia avuto un ruolo essenziale nel far comprendere la realtà sociale italiana: “I polizieschi girati negli anni Settanta da una nutrita schiera di onesti e abili artigiani – al netto del manicheismo che li caratterizza – sono brandelli di vita vera italiana: reportage di fatti e azioni criminali, affreschi incisivi di un allarmante, crescente disagio sociale” (pp.240). Anche se non tutto viene apprezzato dal nostro autore: ““Processo per direttissima” [ndr: film diretto da Lucio De Caro nel 1974] – con i suoi riferimenti diretti alla vicenda e i suoi stralci dalla conferenza stampa del questore Marcello Guida – fa un uso speculativo e strumentale della vicenda Pinelli all’interno di una pellicola inqualificabile per approssimazione, pauperismo e superficialità, ma dimostra come sia difficile, anche per il cinema, liberarsi dei fatti di piazza Fontana” (pp.317).
“Con la rabbia agli occhi” si conclude opportunamente con una serie di interviste, una filmografia ragionata, un’enorme sezione di note, e soprattutto con un interessantissimo capitolo, originariamente pubblicato da “Polizia moderna”, di Alessandro Arban tutto dedicato ai più grandi autori delle colonne sonore del poliziesco italiano: Franco Micalizzi, Stelvio Cipriani, Guido e Maurizio De Angelis, Ennio Morricone.
Edizione esaminata e brevi note
Fabrizio Fogliato, torinese classe 1974, è critico cinematografico e storico del cinema. Coordinatore didattico e docente presso l’I.S. Starting Work di Como, è ideatore e curatore di festival e cineforum sul territorio lombardo, e autore di saggi su Ferrara, Haneke, Jacopetti. Ha partecipato a lavori collettanei su Roger Vadim e Pupi Avati e collaborato a «INLAND. Quaderni di cinema» (Bietti) con saggi su Bido, Soavi e Lustig.
Fabrizio Fogliato, “Con la rabbia agli occhi. Itinerari psicologici nel cinema criminale italiano”, Bietti (collana “I libri di Inland”), Roma 2022, pp. 766.
Luca Menichetti. Lankenauta, marzo 2023
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