“Carico l’ultima valigia nel bagagliaio della Yaris. Non ci sta più niente qui dentro. Papà lo diceva sempre che era troppo piccolo. Mi viene da piangere, ma non posso […] Ora non c’è freddo. Si sta bene. Si è sempre stati bene a casa nostra” (pp.7).
Le prime parole di “Io e Gio” ci introducono in una storia che potremmo definire “di formazione”, anche se apparentemente – ma soltanto apparentemente – la vicenda dei due fratelli protagonisti, il ventitreenne Pietro e il dodicenne Giovanni “Gio”, potrebbe sembrare molto ordinaria: dopo aver perso i genitori in un incidente stradale, Pietro decide di lasciare la città insieme al fratello per vivere, magari soltanto temporaneamente, in un luogo di montagna tranquillo e poco frequentato. Una decisione improvvisa, considerata improvvida da Robbi, presumibilmente l’avvocato di famiglia, ma di fatto indispensabile per l’elaborazione del lutto dei due giovanissimi. Decisione che in realtà, pur nelle inevitabili difficoltà iniziali, non si rivelerà affatto sbagliata. Ad esempio l’incontro col vicino di casa, il burbero e silenziosissimo signor Mueller, per i ragazzi rappresenterà una nuova amicizia, seppur molto particolare, nata faticosamente, di certo non fatta di baci e abbracci; nonché un’occasione per Pietro di intraprendere un mestiere sulla scorta degli insegnamenti dell’anziano vicino.
A poco a poco la tristezza, la timidezza e la diffidenza del taciturno Gio, grazie soprattutto alla tenacia del fratello, sempre protettivo, grazie anche alla scoperta della natura nei boschi circostanti, inizierà a cedere per poi aprirsi gradualmente alla scuola e agli insegnanti inizialmente rifiutati; ma soprattutto al gioco del calcio, visto che Gio si scoprirà piccolo campione.
“Io e Gio” è quindi la storia di due giovanissimi, consapevoli di dover affrontare, insieme e con grande ostinazione, un futuro incerto, senza voler essere condizionati da degli estranei: “Chiudo la chiamata e butto il cellulare sul letto, infastidito. Trasferirci da loro. Come una nuova famiglia. Una nuova finta famiglia. Che cazzata!” (pp.37). Due ragazzi convinti di agire in piena autonomia ma altrettanto certi – come subito fa intuire Pietro – della necessità di vivere dei sogni: “Il telescopio l’abbiamo lasciato a casa. Non potevamo portare via tutto. Abbiamo preso le cose indispensabili. Ma ora che ci penso, mi domando come ho fatto a non considerare indispensabile guardare le stelle” (pp.12).
Una dimensione non necessariamente tutta votata alla praticità che si rivelerà necessaria anche in virtù del ricordo dei genitori come strumento di guarigione dal lutto: “sarebbe bello se si ricordassero ancora di lui” (pp.66). Ricordi che affiorano, che forse consolano o forse rendono tutto più malinconico, ma soprattutto leggiamo la rappresentazione di una grande tenacia da parte del fratello più grande nel proteggere il piccolo dalla scarsa empatia di coloro con i quali, loro malgrado, dovranno avere a che fare; al punto che possiamo affermare come il sentimento di amore fraterno sia, oltre al lutto, proprio uno dei fondamenti del romanzo.
Com’è intuibile dai pochi brani citati, i grandi interrogativi della vita umana sono messi in scena non soltanto in un contesto di assoluta normalità ma soprattutto con un linguaggio estremamente conciso; come se Pietro e Gio non volessero perdersi in troppe divagazioni ed andare sempre al cuore delle cose. Di conseguenza leggiamo frasi molto brevi, paradossalmente fondate proprio sui numerosi dialoghi tra i due fratelli, pur così tendenti alla laconicità, che fanno del romanzo una sorta di sceneggiatura cinematografica minimalista. Del resto Robert Bresson sosteneva che nei suoi film lo spettatore dovesse sentire, pensare e tutto questo sarebbe stato possibile se la musica, il montaggio e la recitazione fossero ridotti al minimo, così da dare emozioni più dirette.
Sceneggiatura in forma di romanzo questa di “Io e Giò” che, se messa in scena, non sappiamo proprio se possa rendere l’idea di fondo di Prosdocimi, ma che sicuramente un lettore, anche non particolarmente scafato, potrà cogliere in pieno.
Edizione esaminata e brevi note
Francesco Prosdocimi è nato nel 1991 in provincia di Vicenza. “Io e Gio” è il suo primo romanzo.
Francesco Prosdocimi, “Io e Gio”, Neo edizioni (collana “Dry”), Castel di Sangro 2023, pp. 168.
Luca Menichetti. Lankenauta, aprile 2023
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