Prima di dare qualche indicazione sulla trama di questo classico del romanzo “giallo”, è bene spendere due righe per l’autore, l’americano John Dickson Carr (noto anche come Carter Dickson), uno dei pochi specialisti di genere a comparire nelle enciclopedie della letteratura. Primo romanzo con “Il mostro del plenilunio” del1930; proseguì la carriera di scrittore con “Il cantuccio delle strega”, “Le tre bare”, “Terrore al castello”. I titoli dicono già parecchio: pur essendo americano è romanziere definito “d’influenza inglese,” con un particolare gusto per l’orrido; influenzato da Conan Doyle, che ha sempre considerato il suo maestro e di cui scrisse una biografia, nei suoi romanzi, come ne “La corte delle streghe”, è partito spesso da situazioni al limite del fantastico per poi terminare con una spiegazione razionale. O quasi
Considerato dalla critica uno dei maestri della “camera chiusa”, in questo romanzo ne troviamo ben due esempi: prima un omicidio in una stanza apparentemente sigillata e poi il cadavere scomparso dalla cripta anch’essa sigillata. Non è un caso che Dickson Carr sia stato definito come il migliore esempio di giallista “gotico”. “La corte delle streghe”, uno dei suoi romanzi più noti, mostra bene tutte le peculiarità di questo particolare scrittore.
Stevens è un giovane avvocato, redattore presso una casa editrice, sposato con Marie, una giovane canadese, incontrata in strane circostanze a Parigi. Viene incaricato di rivedere il manoscritto di Gaudan Cross, un noto criminologo che si occupa di criminali e serial killer del passato. Fra le sue carte scopre il ritratto di una famosa avvelenatrice del seicento, la marchesa di Brinvilliers. E fin qui tutto sembrerebbe nella norma se non fosse che il volto della avvelenatrice è identico a quello di Marie, sua moglie. Una reincarnazione?
Dopo pochi giorni dalla inquietante scoperta il vecchio Miles Despard, vicino di casa di Stevens e soprattutto discendente di colui che riuscì tre secoli prima a catturare e far giustiziare la marchesa, viene trovato morto, avvelenato da una strana figura, probabilmente una dama velata in abiti seicenteschi che, a detta di una terrorizzata cameriera, risulta essere comparsa dal nulla nella sua camera e dal nulla scomparsa. Ufficialmente, il vecchio è morto causa un forma acuta di gastroenterite. Uno dei nipoti di Despard ha capito che c’è di mezzo l’arsenico e chiede a Stevens di aiutarlo, una notte, a disseppellire il cadavere, ormai nella cripta, ed analizzarlo senza che i familiari sappiano nulla. Una gran fatica spostare il lastrone di pietra, ma una volta scesi nella cripta il corpo è svanito nel nulla, scomparso. E Marie: un atteggiamento sempre più strano, misterioso. Sarà l’anziano criminologo Gaudan Cross, già omicida con 30 anni di galera alle spalle, a risolvere il caso, dopo una analisi storica che toccherà avvelenatrici celebri, sette sataniche del 1600, donne sospettate di stregoneria; ma il responsabile (o i responsabili?) non risulterà avere agito per motivi soprannaturali, bensì per ovvi motivi più terreni: il denaro. Gaudan morirà. E qui l’epilogo, se pur reso più interessante dalla risoluzione di ben due enigmi della “camera chiusa” sembra essere nello standard dei più classici gialli britannici ad enigma.
Ma nelle due pagine finali, una sorta di epilogo dell’epilogo, viene presentato un quadretto familiare alcune settimane dopo la conclusione del caso: si torna prepotentemente nell’atmosfera stregonesca iniziale. Tutto torna in discussione.
Sarà un delirio, un sogno o la realtà?
Edizione esaminata e brevi note
John Dickson Carr, (Uniontown, Pennsylvania, 1897 – New York, 1977) scrittore e biografo (di Conan Doyle) americano.
John Dickson Carr, “La corte delle streghe”, Mondadori (collana “Oscar”), Milano 2002, pp. 250.
Luca Menichetti. Lankelot, novembre 2006
Recensione già pubblicata su ciao.it nel 2002, poi successivamente su lankelot nel 2006 e qui revisionata con alcune modifiche
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