Cara Giorgia Farina, mi hai fatto un gran torto e neanche lo sai.
Presenti a Venezia un’opera in cui accosti il divo britannico, Clive Owen ad una stella nostrana Jasmine Trinca; un colpaccio simile non capita spesso nelle nostre pellicole e quindi riconosco il merito nella scelta di un’accoppiata insolita e intrigante.
Il trailer promette bene e annuncia un road movie soffuso e delicato; comincio a prefigurarmi una miscela di fantasmi e redenzioni che cambieranno le vite sfilacciate dei protagonisti; il tema del viaggio esistenziale funziona spesso.
Mi delizi poi con un titolo splendido, “Guida Romantica a posti perduti” che corona quel mosaico di belle aspettative che mi sono fatto.
L’ impellente curiosità viene però, lo ammetto subito, miseramente disattesa lasciandomi sospeso o peggio schiacciato dal castello di carte che ho allestito.
Per tutta la visione, ho la stessa fiacca disattenzione che mi accompagna quando inciampo in qualche dimenticabile fiction.
Non mi aspettavo d’imbattermi in una storia tanto indecisa, imprecisa anche nei contorni che vuole assumere.
Smetto l’epistola per tornare alla recensione.
È il dispiacere ad animare la scrittura, al punto da desiderare uno sfogo diretto con la Farina per chiederle come abbia lasciato che il suo lavoro zoppicasse fino a rasentare il precipizio.
La caduta viene evitata da un soggetto affatto noioso, anche se non originalissimo.
Benno e Allegra vivono nello stesso palazzo, entrambi diversamente infelici ed incapaci di farsi aiutare da chi li ama.
Lei è saldamente attaccata alle mura del suo appartamento; teme il mondo e persino gli affettuosi sconfinamenti del suo ragazzo.
Lui è saldamente attaccato alla bottiglia che lo ho allontanato dal giornalismo e dalla cura fiduciosa della moglie, la dolce infermiera interpretata da Irene Jacob.
In ospedale avverrà l’incontro dei due che, frustrati per l’ennesimo eclatante fallimento, decideranno di unire le loro forze (e le loro solitudini).
Allegra, stanca di essere una finta blogger-globetrotter, partirà per la prima volta chiedendo a Benno di accompagnarla (in un percorso a tappe) fino a Stanford, paese di origine dell’uomo.
Grazie alla metà femminile di questa Guida romantica riusciamo ad apprezzare la piega sensibile della direzione.
Intuiamo sin dalle prime espressioni di Allegra che dietro l’impellenza di schermarsi e di mentire c’è qualcosa di radicato al punto da farle correre il grande rischio di rinunciare all’Amore.
È ansiosa e fragile ma incazzata, così da sfidare i suoi limiti per percorrere il viaggio che riaprirà la ferita.
Ritornerà nel luogo che l’ha vista trascorrere le ultime vacanze con la mamma prima che morisse.
In un parco divertimenti dismesso, teatro di una scena assolutamente da salvare, si aggirerà fra scivoli impolverati e creature ormai decadute, simbolo di un’infanzia che non sarà più e che si dovrà confinare alla polvere per ricominciare a vivere.
Jasmine Trinca recita con grande credibilità e, nell’incarnare una nevrotica divisa tra il comico e il drammatico, non eccede mai coi toni.
Ed evita piuttosto che il film arranchi dietro al suo fiacco protagonista.
Difficile immaginare che un attore che si è distinto per charme e carisma, possa qui appiopparci una mollezza spiazzante.
Interpretare un alcolista incallito e privo di appeal non giustifica una prova d’attore cosi biascicata, trascinata a fatica; e non credo c’entri l’immedesimazione Stanislavskij.
La falla più grossa non la si ravvisa solamente nel viso bolso e spento di Owen, ma principalmente nella presunta voglia di non dare spessore al personaggio.
Il disvelamento del suo tormento rimane nebuloso, la prestazione attoriale si divide ciondolante tra un’ubriacatura e un incidente stradale in compagnia dell’inseparabile cane; stordito quanto lui.
Il ruolo è stato depotenziato e quindi assolvo l’attore inglese da una piena responsabilità.
Francamente sprecata la partecipazione di Irene Jacob al film, deliziosa col suo librare francese ma non utile al fianco di Owen.
Fresco e gradevole l’intervento di Michele (interpretato da Andrea Carpenzano) che seppur molto verace, riesce a far da contraltare alla compagna filmica, mitigando le isterie.
La fotografia non mi è piaciuta ed ha contribuito a banalizzare enormemente il risultato, con poche eccezioni, come il finale.
Le luci calde dell’alba incorniciano i volti dei nostri attori che, su una musica perfettamente in tema col mood, cominceranno a danzare.
L’ incrocio disarmonico dei loro corpi, l’approssimazione dei movimenti sgraziati ma liberi suggerisce con decisione un messaggio.
Esigere d’essere unicamente se stessi, senza logiche redentrici, senza la necessità di assistere ad un cambiamento eroico.
Eroica è piuttosto la capacità di sopravvivere alle paure senza necessariamente superarle.
Ansimare all’unisono, fino alla fine, è monito a non desistere, al trovare nel conforto dei propri simili la più accessibile ancora di salvezza.
Ma non bastano questi sprazzi di bellezza ad apprezzare del tutto la fatica.
Sono lontani i tempi in cui gli attori americani prestati all’ Italia regalavano chicche; ripenso al Dustin Hoffman di “Alfredo Alfredo” o al “Novecento” di Bertolucci con la coppia De Niro-Depardieu. Adesso le incursioni dei grandi interpreti sono di un livello più basso; non mi fece impazzire John Turturro nel morettiano “A mia madre” e men che meno la Sharon Stone diretta da Avati.
Non vedo insomma l’urgenza di scomodare nessuno dall’estero per confezionare delle pellicole piacevoli, come ha già dimostrato la Farina con lo spassoso “Amiche da morire”.
Andrà meglio in futuro.
Edizione esaminata e brevi note
Farina Giorgia è nata a Roma nel 1985.
È una regista, sceneggiatrice e fotografa italiana
Significative le esperienze di studio e di lavoro all’estero e le collaborazioni a vari festival (Rome Fiction Fest, Festival internazionale di Atene, etc.).
Esordisce al cinema con Amiche da Morire (2013)
Guida Romantica a posti perduti (2020) è il suo ultimo lavoro.
https://it.m.wikipedia.org/wiki/Guida_romantica_a_posti_perduti
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