“Destinazione Parigi”, raccolta di frammenti autobiografici, scritti e corrispondenze, dimostrano in pieno, come subito ha sottolineato Enzo Di Brango nella prefazione, lo spirito profetico che ha sempre caratterizzato la personalità di Piero Gobetti, intransigente “liberale eretico”: “A rileggere questa pagine […] non pare affatto sia trascorso un secolo da quando furono scritte. Con un pizzico di cattiveria si potrebbe dire che cento anni siano trascorsi invano” (pp.XI). In realtà di cattiverie ne dovremmo dire tante per descrivere il divario tra le intuizioni del giovanissimo Gobetti – morto, dopo un pestaggio fascista, a soli venticinque anni – e la tristissima realtà che si sarebbe presentata da lì a poco, fino ai giorni nostri. L’intuizione più evidente, e probabilmente più celebrata, fu ovviamente quella relativa al fascismo che lo contrappose a Croce e Salvemini: la convinzione che il fascismo fosse frutto di una crisi morale che veniva da lontano e che quindi non sarebbe stato affatto un breve parentesi della storia; semmai un “autobiografia della nazione”: “I popoli immaturi peccano di queste ingenuità filosofiche […] L’attualismo, il garibaldinismo, il fascismo sono espedienti attraverso cui l’inguaribile fiducia ottimistica dell’infanzia ama contemplare il mondo semplificato secondo le proprie bambinesche misure” (pp.255).
Gli scritti di Gobetti, nel portare alla luce le sue personali convinzioni di rivoluzionario liberale, esaminano alla radice i comportamenti dei politici, i partiti, le ideologie di riferimento che caratterizzavano gli anni in cui si stavano definitivamente affermando i totalitarismi del XX secolo. Scritti – ripetiamolo – profetici, se solo andiamo a leggere il carteggio con Ansaldo che ancora ironizzava sulle spiegazioni gobettiane di “tre fenomeni della vita italiana”: “1) Mancanza di una classe dirigente come classe politica”; 2) mancanza di una vita economica moderna ossia di una classe tecnica progredita (lavoro qualificato, imprenditori, risparmiatori); 3) mancanza di una coscienza e di un diretto esercizio della libertà” (pp.87). Tutti aspetti della vita quotidiana e politica cui assistiamo ancora ogni giorno.
È anche vero che possiamo leggere delle affermazioni che, col senno di poi, appaiono delle autentiche cantonate; tipo interpretare in senso più liberale che socialista la rivoluzione sovietica, oppure, come giustamente scrive di Brango, l’ammirazione per Trotsky, il quale avrebbe affermato “per primo in Russia una visione liberale della storia […] nettamente volontaristica” lasciando “da parte il nucleo materialistico e fatalistico che vizia la concezione di Marx” (pp.402). Ma al di là di questi brevi spunti discutibili, la sostanza del pensiero del giovanissimo Gobetti, oltre lo stile letterario particolarmente denso e profondo, dovrebbe colpire ogni lettore.
Innanzitutto per aver anticipato molte tematiche, sicuramente controverse, ma di cui finalmente si parla: tipo il fatto che il Risorgimento sia stato un processo in cui le masse popolari sostanzialmente non abbiano avuto alcun ruolo e in cui le voci realmente alternative “come Cattaneo e Mazzini, erano state colpevolmente ignorate”. Proprio quel contesto che poi fu terreno fertile per l’avvento del fascismo.
Anche l’analisi del partito liberale del suo tempo riecheggia problemi contemporanei: “In questo le possibilità inizialmente liberali furono frustrate dalla mancanza di chiarezza nella classe politica che lo guidò e che era stata vittima di una preparazione genericamente romantica […] Se dalla negazione fascista il liberalismo fosse tratto a ridiscutere i suoi principi, a difendere i propri metodi e le proprie istituzioni, a rinnovare quella passione per la libertà da cui nacque primariamente, forse l’avvenire della nostra patria si potrebbe guardare con animo più sicuro” (pp.158).
Gobetti inoltre dimostra grande intuizione nel descrivere le personalità dei politici ed intellettuali del suo tempo. Come nel caso di un giovane Togliatti: “Certo non vorremmo che ci nascondessero i pericoli di questo machiavellismo: Togliatti non ha avuto ancora responsabilità direttive nell’azione, è tratto alla politica da una solida preparazione, ma si trova in lui una inquietudine, talvolta un’irrequietezza che pare cinismo ed è indecisione, dalla quale ci si devono aspettare forse molte sorprese” (pp.189). Proprio quel Togliatti che, una volta diventato leader del partito e soprattutto dopo essere diventato esecutore degli ordini sovietici, si è meritato, da più parti, l’epiteto di “gran cinico”.
In sostanza una lettura sicuramente impegnativa, ma necessaria, che rivela il genio di un giovanissimo intellettuale che, nell’attaccare il mussolinismo, ha anticipato quello a cui, in fondo, stiamo assistendo da decenni: “un risultato assai più grave del fascismo stesso perché ha confermato nel popolo l’abito cortigiano, lo scarso senso della propria responsabilità, il vezzo di attendere dal duce, dal domatore, dal deus ex machina la propria salvezza”.
Edizione esaminata e brevi note
Piero Gobetti, (Torino 1901 – Parigi 1926) uomo politico e scrittore italiano. Dopo esperienze culturali vicine all’attualismo gentiliano, si accostò al movimento democratico di G. Salvemini; collaborò al quotidiano gramsciano «Ordine nuovo» come critico letterario e teatrale e, nel 1922, fondò il settimanale «Rivoluzione liberale», che intendeva porsi come voce di un’opera rinnovatrice di cui fossero protagoniste sia le élites intellettuali della borghesia sia le coscienze più attive del proletariato. Sotto il fascismo la rivista, influenzata dal sindacalismo soreliano e dalle teorie di Mosca e Pareto, divenne organo dell’antifascismo militante e subì una dura repressione. Nel 1924-25 G. accentuò il proprio impegno di organizzatore culturale fondando una casa editrice e un periodico letterario, «Il Baretti», attorno al quale si raccolsero le migliori menti della giovane letteratura. Costretto all’esilio, morì lasciando in testi di storia, letteratura, politica e filosofia, una appassionante rilettura di alcuni problemi centrali nella storia e nella cultura italiana, utili a illuminare l’ideale della rinascita di una cultura illuministica, democratica, antifascista: La filosofia politica di Vittorio Alfieri (1923), La frusta teatrale (1923), La rivoluzione liberale (1924), Risorgimento senza eroi (1926).
Piero Gobetti, “Destinazione Parigi. Dal Fascismo all’esilio”, Edizioni readerforblind, Ladispoli 2023, pp. 552. Prefazione di Enzo Di Brango.
Luca Menichetti. Lankenauta, ottobre 2023
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