Ecco un libro difficile da classificare, che sembra sfuggire a ogni facile definizione, a ogni preconcetto categoriale: “Rive” di Valerio Mello, edito da Ensemble nel marzo 2022. S’intuisce sin da subito che in questa scrittura (si tratta di poesia in prosa, come vedremo) si manifesta una configurazione psichica di estrema fluttuazione identitaria, una luminosa oscillazione dei poli della soggettività, che pare immergersi in un mare amniotico di impressioni, sensazioni, paesaggi interiori, maschere fatate, erranti corrispondenze simboliche, analogie necessarie e apparentemente impossibili. Tutto questo suggerisce un caos intimo da cui possono sbocciare stelle fatali e perenni come questa:
“Allo stato delle cose, siamo felici – di tanto in tanto – per questo disordine, attratti da eventi che collassano fino a una densità infinita.”
È veramente scrivere da poeta moderno, cioè scrivere all’altezza dei tempi, affondando nel buco nero della contemporaneità, consapevole delle scoperte della fisica ma rimanendo memore, come vedremo, della sapienza esperienziale degli antichi orfici.
Mello cerca di dare forma a ciò che perennemente alla forma sfugge: quell’energia dionisiaca che sta alla base di ogni atto realmente artistico, secondo le modalità attraverso cui Nietzsche l’ha decodificato.
È questa una scrittura liquida e per antifrasi lo dichiara il titolo così icastico: “Rive”.
Sono rive che si muovono nella mente ma al tempo stesso sono luoghi reali e l’autore li riporta nel titolo delle prose, quasi a tracciare una mappatura lirica del mondo. Nell’idea che il poeta scriva in prosa agisce una forza di grande modernità; il tentativo, secondo chi scrive, è cruciale, ci si gioca tutto nella formulazione di ibridi letterari liquidi che si sottraggano alle definizioni categoriali: poesia, prosa poetica, narrativa, filosofia… su una strada ancora tutta da tracciare.
Così Milano, Amsterdam, Agrigento, Porto Venere, le isole greche di Amorgo e Delo, e gli altri luoghi citati, si rivelano esperienze interiori in bilico fra ciò che si percepisce da svegli e ciò che irrompe come evento onirico. Le differenze sembrano abolite dal gesto di una scrittura sobriamente intenta a far confluire i due mondi. Il lettore, sedotto da questo gioco, comincia a sognare lo stesso sogno di colui che scrive.
Così “Rive” è un’esperienza immersiva totale – per usare un’espressione oggi di moda – come deve essere la vera poesia: multisensoriale, intrapsichica, sensuale, vaporosa come un persistente profumo, ipnagogica, sinestetica, allucinatoria. È necessario “appuntarsi quel tempo nel foglio della mente”, affinché non sparisca; la scrittura è proprio quello scrigno in cui “l’inespresso” si palesa, prende corpo, potenza aurorale che ci illumina con i bagliori di quella fiamma profonda che in noi sempre divampa, mutando, incessabile e inesorabile. Ancora una volta la poesia è in grado di generare altri spazi e altri tempi e così in una Milano trasfigurata, c’è il rischio di incontrare “la Pizia del giorno festivo” e di riafferrare le profondità ctonie, orfiche, sommerse, di modo ché si possa udire financo il canto sopito delle cose stesse, per udire così in un parco le panchine farfugliare e conoscere “l’inutile bontà delle finzioni”.
Milano si sdoppia, come Tebe nelle parole di Penteo, nella tragedia “Le baccanti” di Euripide, emerge così una città sepolta, abitata da mostri, chimere, archetipi, in questo modo Mello sembra noeticamente intuire la profonda tramatura invisibile che regge il mondo delle apparenze. Il tramonto è un’entità, gorgheggia sugli scogli , cola sui monasteri, mentre un eliotiano mister Prufrock attraversa “episodi, rimpianti, conversazioni in una stanza illuminata.” La sensazione è che un panteismo panico diluisca nell’aria momenti, sensazioni, passaggi, paesaggi, che si scoprono presagi di un mondo altro, in cui la realtà materiale si scopra espressione di movimenti mentali non identificati perché impossibili da circoscrivere.
Le ombre comunicano fra loro e brindano “alla salute della pianta”, le pietre amano le lucertole che si riposano su di esse, i fari sentono la loro solitudine divenire cosmica; ogni essere, vivente o inanimato, esiste in una relazione di interscambio sacrale e simbolico con il resto del cosmo e una “parola indispensabile” cerca e dispensa un “sapere invisibile”; una “morbida precarietà” sembra condurre ogni cosa a “ignote destinazioni”.
Si tratta di far convogliare le energie psicofisiche in un crogiuolo di rigenerazioni alchemiche, attraverso la scrittura Valerio Mello sembra aver ritrovato contatto con lo spirito ancestrale che dimora in ogni essere e in questo senso la sua poesia si rivela essere indagine metafisica dentro lo specchio-mondo in cui si ode il canto universale della materia ritornata spirito. Così il poeta sembra modellare il filo d’Arianna, attraverso cui uscire dal labirinto, o per dirla in maniera contemporanea, ci aiuta a decodificare i codici attraverso i quali rimaniamo tutti intrappolati in quel magmatico Matrix di pulsioni, che chiamiamo Realtà, il cui vero nome è Mente, potremmo aggiungere citando “Howl” di Allen Ginsberg. Consapevolezza a cui non serve, per manifestarsi, che noi si interroghi l’universo induista, è sufficiente Schopenhauer. Per questo la scrittura di Valerio Mello è liberatoria, e il suo breaktrough psichedelico è prezioso indizio del rinnovamento in atto nei linguaggi della poesia.
“Mi rivolgo a tutto ciò che si muove al di là dell’orizzonte degli eventi, seguendo cosa dà e cosa riceve l’ombra.”
Edizione esaminata e brevi note
Valerio Mello, Rive, postfazione di Gianmarco Gasperi, Edizioni Ensemble, marzo 2022
Valerio Mello è nato ad Agrigento nel 1985 e vive a Milano. Ha pubblicato le raccolte poetiche: “Versi inferiori” (2010) , “La nobiltà dell’ombra”(2013), “Asfalto”( 2014), “Giardini pensili “(2014), “Cercando Ulisse”(2017), “Da qualche parte nella vita” (2019).
Ettore Fobo, novembre 2023
Follow Us