Non conosco nessuno che sappia raccontare Firenze – e non solo – parlando (anche) di sé con la stessa naturalezza di Paolo Ciampi. Sono numerosi i libri che lo testimoniano – penso ad esempio a Gli occhi di Firenze, L’ambasciatore delle foreste e Il maragià di Firenze –, ma forse questo nuovo testo lo fa meglio di tutti.
Il babbo di Pinocchio racconta una passeggiata serale estiva in una Firenze torrida e sonnolenta insieme al “fantasma” di Carlo Lorenzini – «in arte Collodi», come l’autore ripete formularmente più volte nel corso del libro –, che lui incontra “per caso” nel centro storico della città, per poi iniziare una lunga conversazione alternata a significativi silenzi e soprattutto a tanti passi in diversi punti del capoluogo toscano.
Un incontro e un percorso, quelli con lo scrittore che inventò il burattino più famoso del mondo, che nascono come una visione credibile, perché in definitiva plausibile, se è vero che tutti i grandi protagonisti della storia letteraria, sia pur esiliati – come Dante – o tardivamente riconosciuti – come lo stesso Lorenzini, che del successo di Pinocchio vide appena una scintilla, dato che morì nel 1890, sette anni dopo la pubblicazione e ben prima della consacrazione mondiale, con traduzioni in oltre 260 lingue – sono una sorta di “elementali” del loro luogo d’origine. Insomma, i grandi della letteratura sono creature formate dagli stessi elementi del territorio che li ha generati, anche quando lo criticano aspramente per come li ha trattati o ha trattato altre persone. E Collodi, in vita, da giornalista attento alle questioni sociali e dotato di stile ricco e assai elegante, non mancò certo di chiarezza e spirito pungente.
Carattere burbero, non si sposò mai pur avendo avuto diverse amanti, partecipò alle lotte risorgimentali e fu anche tra i primi scrittori italiani di reportages di viaggio (ricordiamo Da Firenze a Livorno. Guida storico-umoristica). Anzi, forse è quest’ultima la ragione della speciale risonanza che il suo “spettro” trova con Paolo Ciampi, che ha nel viaggio il suo tema forte. Questa, e forse anche quella certa indole, che Paolo spesso si autoattribuisce, di “pigro indaffarato”.
Ne risulta una conversazione credibile, gradevole e modulata secondo il ritmo della vita interiore dello stesso Ciampi, per cui, a proposito de Il babbo di Pinocchio, si può parlare in una certa misura di autofiction. Collodi insomma diventa per lui, per il breve (ma non così tanto) tratto di quella sera e quindi notte d’estate, una specie di fratello maggiore o di zio, con il quale non tanto identificarsi, quanto rapportarsi per cercare, in qualche modo, di approcciare l’indicibile: entrare, cioè, nel cuore e nella mente di un uomo solo e complesso e sforzarsi di vedere il mondo come lo vedeva lui. Esercizio quanto mai utile non solo perché scuole di empatia, ma perché la vera arte nasce precisamente da quella solitudine e da quella complessità. E solo a quel punto riesce, come un’artistica pietra filosofale, a trasformare non il piombo in oro, ma il legno in carne.
Edizione esaminata e brevi note
Paolo Ciampi, scrittore e giornalista, è autore di numerosi libri di viaggio e biografici. Direttore dell’Agenzia di informazione della Regione Toscana, ha pubblicato, tra le altre cose, L’uomo che ci regalò i numeri (Mursia), sulla figura del matematico di Leonardo Fibonacci, Un nome (Giuntina), sulla vita della scienziata vittima dell’Olocausto Enrica Calabresi, Il sogno delle mappe La terapia del bar (Ediciclo) e Cosa ne sai della Polonia (Fusta). Inoltre, ha pubblicato In compagnia di Re Artù (Mursia), Gli occhi di Firenze, Un popolo in cammino e La zingara di Montepulciano (Bottega Errante) e, per Arkadia, L’ambasciatore delle foreste e Il maragià di Firenze.
Paolo Ciampi, Il babbo di Pinocchio, Arkadia Editore, 2023, pp. 152.
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