Tra le caratteristiche della poetica di T. S. Eliot esiste una sostanziale critica alla società del suo tempo, trasmettendo sempre un senso di profondo disinganno politico. Al di là delle ovvie considerazioni in merito a contesti molto diversi, il fatto che “Anatomia di un tramonto” si apra con un esplicito “à la manière di Eliot” è già un indizio di come Marina Torossi Tevini abbia interpretato il ruolo della poesia e in particolare di questa sua silloge poetica. Sicuramente non una produzione che qualcuno oggi definirebbe frutto semplicemente psicologico-intimista tutta presa da vicende interiori e “psicologismi di maniera”; piuttosto un’autentica necessità di testimoniare i fatti della vita, anche nella loro durezza. Testimonianza che si manifesta immediatamente di fronte al disincanto del tempo, con tutti i rischi che si porta appresso: “ci sarà tempo per me e per te”; e ancora “ci sarà tempo? Ci sarà tempo per decisioni e indecisioni?”.
Tutto coerente se si pensa che ad epilogo della raccolta troviamo ancora il tempo; precisamente “mi manca il tempo oscillante” – peraltro citato in quarta di copertina -: “Mi manca il tempo oscillante/il tempo che ti ravvolge da un lato/il tempo fatato/che ha un suo centro/e non ha precisione/il tempo minuto eterno/o eternità – minuto/del tempo minuto/non so che fare”. Tempo ed esistenze che si avvertono in tutte le sei sezioni della raccolta: “Infiniti & quotidiani”, “Aspettando i barbari”, “L’inverno del Terzo Millennio”, “Rien ne va plus”, “Funamboli”, ed appunto “Il tempo oscillante”.
Come intuibile, soltanto leggendo questi titoli, lo sguardo lucido e determinato di Marina Torossi ci trasporta da una dimensione apparentemente più individuale ad una in cui, in tutta evidenza, la poesia diventa mezzo di analisi della società e dei suoi mutamenti; in cui il passato e il presente sembrano davvero avere molto più in comune di quanto si possa pensare: “e mentre la folla in delirio/ esercitava il suo arbitrio di vita e di morte/ e pollici salivano e scendevano in un gioco crudele,/ mentre il sangue scorreva negli anfiteatri/ per gioco e per crudeltà assassina/ mentre nessuno sapeva più indossare le armi/ ma amava veder combattere per diletto,/ mentre tutti si sciacquavano la bocca con belle parole e pensavano ai loro interessi,/ arrivano i barbari./ E misero il piede sudato sul cuore di Roma” (pp.32). Ignoriamo quando la “E intanto, la folla in delirio” sia stata concepita, ma balzano agli occhi i crudeli paradossi di una poesia che sembra parlarci proprio di un’attualità che, giusto “chi si sciacqua la bocca con belle parole”, può fare finta di ignorare.
Paradossi che ritroviamo frequentemente e che descrivono, sempre con grande lucidità, un mondo in cui il nostro declinante Occidente si mostra per quello che è: “di traffici e di ingenue presunzioni/ di accordi infranti e di ideali appannati” (pp.38).
Se con “Aspettando i barbari” e con “L’inverno del terzo millennio” l’attenzione verso la socialità, verso il mondo con tutte le sue devastazioni anche culturali, è più esplicita, in “Rien ne va plus” Marina Torossi torna a una dimensione apparentemente più privata, in cui lo scorrere del tempo, il ricordo, i viaggi, la vecchiaia, la fanno da padroni; senza però che questa dimensione sia del tutto distaccata da qualche precedente spunto polemico: […]“sugli spalti/ di un Occidente/ che scivola nel grigio […]”. Mentre in “Funamboli”, sembra concentrare gran parte delle nostre fragilità, intese anche come perdita di speranze: “Dietro alle parole biancolatte/ abbiamo perso vita e sentimenti/ foriamo il vuoto/con lontane esche/ vestiamo il nulla/ di speranze spente” (pp.82). Se è vero che l’aspetto più schiettamente polemico e combattivo di Marina Torossi lo possiamo leggere in tutti i suoi “Aforismi”, ad epilogo del volume, in “Anatomia di un tramonto” l’evidente impegno civile, l’urgenza di comunicare delle realtà dominate dall’ingiustizia, fortunatamente non prevalgono sul ritmo e sulla bellezza delle composizioni, dei versi.
In sostanza il valore di quanto letto in “Anatomia di un tramonto”, consiste proprio nel legame sfuggente, ambiguo e indeterminato che si instaura tra la realtà e questo genere letterario, teoricamente il meno narrativo e il meno discorsivo.
Edizione esaminata e brevi note
Marina Torossi Tevini, è nata a Trieste e ha insegnato materie letterarie nei licei triestini. Ha pubblicato due libri di poesie Donne senza volto (1991, Svevo) e L’unicorno (1997, Campanotto, menzione speciale al Via di Ripetta) e otto di prosa Il maschio ecologico (1994, ivi, finalista al Carrara Hallstammer), Il migliore dei mondi impossibili (2002, ivi), Il cielo sulla Provenza (2004, ivi), Viaggi a due nell’Europa di questi anni (2008, ivi, Premio Trieste, scritture di frontiera), Le parole blu (2010, ivi I premio Golfo di Trieste), L’Occidente e parole (2012, I premio Contemporanea d’autore all’Alexandria scriptori festival), Rotte d’Europa (2015, Hammerle, Libri del Pen Trieste) e Trieste. La resa dei conti (2019, Campanotto, finalista alla I edizione del premio Carlo d’Asburgo), Bluoceano (2022). Ha pubblicato postumo il romanzo del padre La valle del ritorno (Campanotto, 1997). Ha ricevuto numerosi riconoscimenti per gli inediti tra cui il I premio al Leone di Muggia nel 1993 nella sezione narrativa e il II al concorso Ulcigrai del 1996. Sue poesie e racconti compaiono in diverse antologie tra cui Poeti triestini contemporanei (Lint, 2000), Lichtungen pubblicazione a cura dell’Università di Graz, Akademia e InterPen 2016. Ha collaborato alle riviste culturali Stilos, Nuova Antologia, Arte&Cultura, Zeta. È membro del direttivo del Pen Trieste.
Marina Torossi Tevini, “Anatomia di un tramonto”, Campanotto editore (collana “Poesia”), Pasian di Prato 2024, pp. 112. Prefazione di Elio Grasso
Luca Menichetti. Lankenauta, maggio 2024
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