Indro Montanelli, quando ormai era giunto al termine della sua vita, più pessimista che mai, scrisse che “la corruzione non ci deriva da questo o quel regime o da queste o quelle regole, di cui battiamo, inutilmente, ogni primato di produzione. Ci deriva da qualche virus annidato nel nostro sangue e di cui non abbiamo mai trovato il vaccino. Tutto in Italia ne viene regolarmente contaminato”. “Virus” che, proprio perché fenomeno multiforme e quindi di difficile definizione, viene raccontato da Carlo Berti e da Piercamillo Davigo ovviamente non con il pessimismo cosmico di Montanelli, ma nel contempo non limitandosi ad analizzare le “regole”; piuttosto approfondendo, tra sociologia e giurisprudenza “l’interazione complessa a cui si associano rassegnazione e fatalismo, malaffare e clientelismo, oltre che un atteggiamento di forte sfiducia nella politica e nelle istituzioni”; che appunto viene chiamata corruzione. Approfondimenti che arrivano a toccare i fattori socio-culturali che più influenzano i fenomeni corruttivi: oltre la politica, le controverse misurazioni tipo Corruption Perception Index oppure Global Corruption Barometer, la religione e soprattutto i media. In questo senso viene più volte ribadito come il contrasto alla corruzione passi “anche dal rafforzamento della protezione legale dei giornalisti, da una legislazione che favorisca l’accesso alle informazioni, da un minore controllo governativo sui contenuti mediatici” (pp.60). Tutti aspetti analizzati in rapporto agli altri paesi del mondo e che, chiaramente, dimostrano come in Italia la tendenza viaggi in senso nettamente contrario a quanto auspicato da tutti coloro che si dannano ogni giorno per limitare i fatti corruttivi.
Di estremo interesse risultano i “cenni storici sulla corruzione” che, ancora una volta, demoliscono punto per punto la narrazione di un’Italia paese poco corrotto in quanto con poche condanne per reati dei cosiddetti colletti bianchi: “una conclusione paradossale e poco credibile, smentita da una mole abbondantissima di dati” (pp.144). Viene semmai osservato il persistere in Italia della corruzione sistemica, seppur, rispetto ai tempi di Tangentopoli, in una fase di “decentralizzazione”; e soprattutto con buona pace delle contro-narrazioni e revisionismi (con tanto di esempi tratti da “Libero” e dal “Riformista” di Piero Sansonetti) che intendono raccontare la scoperta del sistema corruttivo come un colpo di stato fatto dai Pm. Corruzione quindi come sistema che nella sua versione attuale viene agevolata grazie alla presenza degli intermediari e dei cosiddetti “faccendieri” che, tra le altre cose, “si occupano di fare da garanti del buon funzionamento del sistema corruttivo, nonché di proteggere, in molti casi, l’identità di corrotti e corruttori, agendo in loro vece” (pp.159).
Ma al di là della classificazione dei tipi di corruzione italiani – al momento, come sappiamo, sono stati individuati tre sistemi corrutivi, tra cui quello di Mani Pulite – è un dato di fatto come “le interviste riguardanti le esperienze di soggetti destinatari di richieste o offerte corruttive, il costo delle opere pubbliche molto più alto della media europea, insieme a quanto emerge dalle pur diminuite indagini giudiziarie confermano l’ampiezza del differenziale etico che sembra ormai separare l’Italia dagli altri Paesi europei (pp.160). Peraltro senza che i tanto decantati “rimedi preventivi” – tipo i vari piani di prevenzione della corruzione – siano stati efficaci. Anzi, il fallimento di queste formalità, sempre secondo Davigo, “agevola la diffusione della corruzione, che può proseguire tranquillamente dietro la facciata rassicurante degli adempimenti formali” (pp.161).
Le conclusioni, ovvero l’auspicio di contrastare efficacemente questi reati, risultano del tutto sensate ma nello stesso tempo, di questi tempi fatti di ignoranza sesquipedale ed abbondanza di disonestà intellettuale, appaiono a dir poco complicate: “per contrastare l’illegalità, dunque, dobbiamo affiancare all’intervento politico e legislativo, anche quello culturale, fatto di educazione civica, attivismo, giornalismo libero, indipendente e altamente professionale, ma anche di comportamenti quotidiani che inducano, nel tempo, un cambiamento sociale positivo” (pp.174).
Edizione esaminata e brevi note
Piercamillo Davigo, è stato presidente di Sezione della Corte Suprema di Cassazione, in servizio alla Seconda Sezione penale dal 2005. Entrato in Magistratura nel 1978, è stato assegnato al Tribunale di Vigevano con funzioni di giudice, poi dal 1981 alla Procura della Repubblica presso il Tribunale di Milano con funzioni di sostituto procuratore. Dal 1992 ha fatto parte del pool Mani pulite, trattando procedimenti relativi a reati di corruzione e concussione ascritti a politici, funzionari e imprenditori. Dal dicembre del 2000 è stato consigliere della Corte d’Appello di Milano. Tra le sue pubblicazioni,ricordiamo: La giubba del Re (2004), La corruzione in Italia (2008), Processo all’italiana (2012), Il giudice (2015), Il pubblico ministero (2015), Il sistema della corruzione (2017), L’occasione mancata (2021).
Carlo Berti, ricercatore del Dipartimento di Studi di Comunicazione dell’Università Rovira i Virgili, a Tarragona (Spagna). È stato assegnista di ricerca alla Scuola di Studi Internazionali dell’Università di Trento. Ha curato, insieme a Carlo Ruzza e Paolo Cossarini, The Impact of Populism on European Institutions and Civil Society (Palgrave Macmillian, 2021)
Piercamillo Davigo, Carlo Berti, “Corruzione. Società e politica dall’Italia alla Nuova Zelanda”, Castelvecchi (collana “Nodi”), Roma 2024, pp. 204.
Luca Menichetti. Lankenauta, giugno 2024
Altri libri di Davigo recensiti su Lankenauta.
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