Racine Jean, San Guedoro Lodovica

Ifigenia. Traduzione in rima

Pubblicato il: 24 Agosto 2024

“Tradurre poesia non è arido esercizio accademico e filologico sulle complicazioni grammaticali e sintattiche di una lingua. Tradurre poesia è sforzo per comprenderla, è quasi riviverla. Basta solo (ma è indispensabile) avere col poeta il denominatore comune della posizione dell’uomo nei confronti della vita”.  Probabilmente le parole di Joyce Lussu potrebbero esprimere l’impegno che Lodovica San Guedoro che si è procurata con la sua ultima traduzione. Ovviamente ce ne guardiamo bene dal proporre una banale recensione per un grande classico come Iphigénie di Jean Racine, incentrato sul conflitto interiore di Agamennone, lacerato tra l’aspirazione alla vittoria e l’amore paterno: sono opere che necessitano di conoscenze solidissime e soprattutto che meritano degli autentici studi critici; non una semplice sinossi e relative impressioni personali.

Qualcosa però possiamo azzardare sulla traduzione, o riscrittura che dir si voglia, ad opera di un’autrice descritta, a ragione, come dotata di unostile etereo e mordace, lieve e corrosivo, aulico e semplice” (Franco Cardini). E possiamo aggiungere autrice che non le manda a dire. Si, perché proprio riguardo le precedenti traduzioni di Iphigénie, Ludovica San Guedoro è molto netta: “Tra la traduzione ottocentesca di Lucio Tallacchini, che, attraverso uno stile ampolloso-noioso, essenzialmente smorto, si allontanava troppo dall’originale, e quella contemporanea di Flavia Mariotti, pubblicata da Marsilio nel 2007, una versione grigia e disadorna, che veicolava solo i significati, ho scelto una terza via, cercando di fare proprio la traduzione che avrei voluto leggere io” (pp.107).

Ad onor del vero la stessa Mariotti, a margine della pur apprezzabile edizione Marsilio –  almeno dal lato curatela e resoconto filologico sul mito millenario di Ifigenia –  in “note al testo e alla traduzione”, fa capire di aver scelto una via di compromesso, “come poi sempre accade”, ma con delle scelte antitetiche a quelle di Ludovica San Guedoro: “quanto alla rima, mi sembrava che potesse nuocere all’esito sia sul piano semantico che su quello fonico”. Scelta non indolore: “Il risultato finale è certo lontano dalle suggestive armonie raciniane. E se l’orecchio del lettore non sarà del tutto appagato, mi auguro però che le imperfezioni della traduzione siano per lui un invito ad avvicinarsi alla perfezione dell’originale”.

Come abbiamo anticipato, tra i non appagati si è fatta riconoscere Ludovica San Guedoro  la cui “terza via” – nelle chiare vesti di scrittrice di talento e non di rigoroso professore universitario –  ha voluto dire, ove possibile, trasporre il messaggio di Racine in rima; ma sempre cercando di mantenere il difficilissimo equilibrio con la conformità del lessico originale. Equilibrio che da un lato significa tentativo – sicuramente riuscito – di non stravolgere l’impianto, l’intento di Racine; ma nello stesso tempo di azzardare, in rima, una traduzione dove, superando in parte le precedenti remore indotte dalla rigorosità linguistica, prevalga la musicalità; magari sovvertendo il percorso ordinario delle parole.

Ludovica San Guedoro l’ha ripetuto a chiare lettere in una recente intervista al blog Border Liber: “È stato come camminare su un’asse d’equilibrio per tutto il corso della traduzione del poema: muovendomi tra la fedeltà a Racine e la fedeltà allo spirito della lingua italiana. Il timore di creare un ibrido mi ha tenuta per un po’. Ma poi la mia bussola in tutto questo errare, il piacere estetico, ha messo a tacere gli scrupoli”. Piacere estetico che possiamo cogliere, prendendo un esempio a caso e confrontando le diverse traduzioni.

Agamennone nella scena IX dell’atto IV, così nella versione Marsilio: “O Dei, se l’odio vostro/ dalle mani paterne vuole ancora strapparla,/ dinanzi a voi che possono i deboli mortali?/ In luogo di soccorrerla, il mio amore la perde./ Lo so. Ma, grandi Dei, una simile vittima/ merita che i vostri ordini severi confermiate,/ e che me la chiediate una seconda volta”. E poi la stessa scena secondo San Guedoro: “Oh, Dei, se l’odio vostro/ A strapparla persevera dalle mie mani,/ A voi dinanzi che possono i deboli umani?/ Di soccorrerla in luogo, la danneggia il mio amore,/ Lo so. Ma, sacri Numi, merita una Vittima simile/ Che le vostre rigorose leggi confermiate,/ E che una seconda volta me la chiediate” (pp.87).

Quindi rima, anastrofe e iperbato per un effetto fonico e ritmico ben diverso dalle versioni ordinarie. Quel tanto per avere l’ennesima conferma del talento – purtroppo fino ad ora quasi misconosciuto – di una scrittrice intransigente e di conseguenza coraggiosa anche nell’arte alchemica del tradurre.

Edizione esaminata e brevi note

Jean Racine, (La Ferté Milon, Valois, 1639 – Parigi 1699) poeta tragico francese. Fu il massimo esponente, assieme a Pierre Corneille, del teatro tragico francese del Seicento.

Lodovica San Guedoro,  nasce a Napoli da genitori siciliani. Dopo una giovinezza trascorsa tra Napoli, Roma e la Toscana, per potersi affermare nel mondo letterario è costretta ad espatriare in Germania, a Monaco di Baviera. Tra i suoi libri ricordiamo: Requiem di Arlecchino (2007),  Gli avventurosi simplicissimi (2008), Incitazione a delinquere (2009), Fedra e le mammine nei caffè (2011), L’ultima estate di Teresa Tellez (2013), L’allegro manicomio. Ovvero nove giorni di villeggiatura in famiglia (2016, candidato al Premio Strega 2016),  Pastor che a notte ombrosa nel bosco si perdé… (2017, candidato al Premio Strega 2017), Le memorie di una gatta (2018, candidato al Premio Strega 2019), Amor che torni… (2019, candidato al Premio Strega 2020), Agonia (2019), Sacro Amor Profano (proposto al Premio Strega 2023).

Jean Racine, “Ifigenia. Traduzione in rima”, C&P Adver Effigi,  XXXX 2024  pp. 112. Traduzione di Lodovica San Guedoro.

Luca Menichetti. Lankenauta, agosto 2024