D'Ippona Agostino

Sulla vita felice

Pubblicato il: 11 Gennaio 2025

Non è necessario essere sociologi, psicologi, pensosi intellettuali per accorgersi che nel mondo contemporaneo, soprattutto nel nostro mondo occidentale, quello apparentemente più fortunato, la cosiddetta pace interiore rappresenta spesso un’utopia. E’ vero che la ricerca della felicità ha suscitato riflessioni tutt’altro che banali fin dalla notte dei tempi, ma, paradossalmente, proprio in un’epoca in cui le religioni e Dio non è che siano in grande salute, una lettura di Sant’Agostino potrà illuminarci sugli ostacoli che ognuno di noi si trova e si troverà di fronte prima di ottenere quella libertà interiore a cui tutti, consapevolmente o meno, aspirano di raggiungere.

La modernità di “Sulla vita felice”, recentemente ripubblicato a cura di Francesco Roat da Graphe.it, infatti, consiste nel riconoscere l’Ego quale “motore di un perenne languore”, ovvero proprio tutto quello che ci porta lontano dal raggiungimento della felicità.

“Perenne languore” che potrebbe essere tradotto come il vuoto degli egocentrici, di chi si è concentrato solo su se stesso, di chi ha reso se stesso il solo fine ultimo, così da non riuscire mai ad appagare questo bisogno di felicità. Proprio per comprendere il senso dello scritto di Aurelio Agostino d’Ippona – probabilmente in questo contesto più adeguato chiamarlo col suo vero nome piuttosto che Sant’Agostino – le ampie ed approfondite note di Francesco Roat saranno di grande aiuto per ogni lettore, anche quello più attrezzato culturalmente.

Nel trattare i punti significativi del “De beata vita”, citando uno dei suoi anfitrioni, leggiamo infatti: “Non c’è mancanza al contempo più grande e più infelice che mancar di saggezza, di null’altra cosa può aver bisogno” […] “Ne consegue che la vera indigenza è quella di un animo stolido, egocentrico e pavido tutto preso da velleità e in essenzialità” (p.10). Se è vero quindi che la plenitudo (pienezza) e la sapientia (saggezza) risultano agli antipodi dei desideri materiali che tanto ci condizionano, in Agostino viene introdotta l’idea di modus (misura) “quale espressione precipua della pienezza, che non è l’eccesso, il superfluo, il troppo (nimium) […] Modus ben più che moderatio allora. Ne deriva una deduzione, che pure è la conclusione del paragrafo 32: «Pertanto la misura per lo spirito sta nella saggezza» (Modus igitur animo in sapienza est). Da qui all’idea di vita felice quale modus il passo è breve” (p.11). Ed infine, giungendo al cuore del problema, Sant’Agostino piuttosto che Agostino D’Ippona, ci dice come la misura in quanto modus sia “da osservare ovunque e da amare ovunque se vi sta a cuore il nostro ritorno a Dio” (p.58).

Conclusioni di un testo giovanile – scritto nell’autunno del 386 d.C. – che giungono al termine di un dialogo/convito, di pagina in pagina sempre più serrato, tra gli ospiti più o meno immaginari indotti dal loro anfitrione a riflettere su questioni universalmente fondamentali; tipo se davvero “ogni infelice sia anche in condizioni di bisogno” (p.48). E ancora con le parole di Agostino: “Tuttavia, prestiamo più attenzione a questo, perché benché egli temesse, non soffrì bisogno alcuno: da qui emerge il problema. Infatti la mancanza consiste nel non avere, non nella paura di perdere ciò che hai. Ma lui era infelice, perché aveva paura, quantunque non fosse soggetto al bisogno. Pertanto, non tutti coloro che sono infelici sono soggetti al bisogno” (p.49).

Poi Agostino va oltre in quanto l’antidoto a questa situazione di perenne disagio non sarebbe soltanto condurre una vita frugale, “coltivare la conoscenza e praticare la moderazione”: semmai prefiggersi un vivere che ci allinei con l’idea di un modus divino, come “regola presente in tutto l’universo, costituendo il Logos: inteso come ragione universale che governa il tutto” (pp.14).

In sostanza la lettura del “De beata vita” ci offre non soltanto delle riflessioni, che in sostanza molti di noi hanno abbandonato per approdare a egotismi ed egocentrismi sempre distruttivi, ma anche un esempio di letteratura in cui le analisi complesse degli atteggiamenti umani convivono con un linguaggio creativo che congiunge felicemente realtà e allegoria.

Edizione esaminata e brevi note

Agostino D’Ippona, (Tagaste, attuale Souk Ahras, Algeria, 13 novembre 354 – Ippona, attuale Annaba, 28 agosto 430), di padre pagano e madre cristiana, fu avviato agli studi letterari. Dopo un periodo di disorientamento giovanile, iniziò un’appassionata ricerca della verità, aderendo a un cristianesimo di stampo manicheo. Professore di retorica a Milano, incontrò sant’Ambrogio, di cui ascoltò la predicazione e dal quale ricevette il Battesimo. Tornato in Africa ed eletto vescovo di Ippona, visse con il proprio clero in una comunità di tipo monastico; la regola da lui composta diventerà testo di riferimento per moltissimi istituti di vita consacrata in Occidente. All’esercizio del ministero, in particolare della predicazione, affiancò un costante impegno di approfondimento e di difesa della fede, producendo un corpus di opere di tale ampiezza e profondità da costituire una delle più feconde eredità della tradizione cristiana antica (dal Messale Romano).

Agostino D’Ippona, “Sulla vita felice”, Graphe.it (collana: Parva), Perugia 2024, pp. 66. Traduzione e introduzione di Francesco Roat.

Luca Menichetti. Lankenauta gennaio 2025