
Il volume Una (non) prospettiva, curato da Alvaro Barbieri e Matteo Giancotti, rappresenta un’ampia esplorazione critica dedicata all’opera di Vitaliano Trevisan. Il libro raccoglie i lavori del primo congresso dedicato allo scrittore vicentino grazie alla collaborazione tra l’Università di Padova e l’Accademia Olimpica di Vicenza. Si pone l’obiettivo di rilevare i tracciati di una scrittura riconosciuta per la sua forza polemica e la capacità di riflettere contraddizioni individuali e collettive, non ultime quelle dello stesso circuito culturale in cui la scrittura, sia essa per l’editoria, per il teatro o il cinema, si colloca.
Il libro si articola in sette sezioni che coprono tematiche centrali nell’opera dell’agrimensore Trevisan: tensione tra il sé e la sua negazione, generi letterari esplorati, connessioni tra lingua, società e psiche, il rapporto con il teatro, il cinema e il fantomatico territorio. L’organizzazione favorisce un dialogo interdisciplinare, con contributi di studiosi provenienti da differenti ambiti accademici, che offrono chiavi di lettura innovative senza appiattire mai la complessità dello scrittore.
Trevisan è descritto come un autore che sfida continuamente le convenzioni. Emanuele Zinato ne può esplorare il carattere polemico, individuando una tensione dialettica tra appartenenza e invettiva, nell’intervento che apre il volume. Simona Morando e Denis Brotto, invece, analizzano la dimensione teatrale e cinematografica, evidenziando il rigore della sua “scrittura pratica”. Un altro nodo cruciale è quello del territorio, affrontato da Mauro Varotto e Matteo Giancotti, che collegano la geografia veneta alla crisi dell’identità collettiva. Lo scritto di Giancotti azzarda – ma non è un azzardo – persino una lettura di un “Trevisan civile”. Non c’è niente di più lontano e nulla di più vicino dal/al civile in Trevisan, poiché sfuggendo qualsiasi postura cosiddetta civile con Trevisan, che fosse in Works o in Tristissimi giardini o in altri suoi testi, il senso profondo di essere tra altri è continuamente emerso dalle sue pagine, con un passo analitico che può abbracciare una gittata che va dall’architettura al marketing (civile è quel “gelidamente accorato” di cui ha parlato Cortellessa per Trevisan). Pagine, va detto, quelle dei suoi non-romanzi, che si distinguono tra le più ruvide e al contempo facili da girare della proposta italiana degli ultimi trent’anni. Del resto, le circonvoluzioni, gli epicicli della sintassi e la subordinazione controllatissima nel capolavoro Works bastano ad allontanare il cliché bernhardiano sempre richiamato per questo scrittore, a favore di un precursore molto più antico. Con Trevisan infatti si va più diritti verso la strada che porta allo Sterne del Tristram Shandy, citato in epigrafe dell’opera grande (“fermaporte”) del 2016. Con Sterne si salda anche per lo humour e per certi ricorrenti linguistici, come quelli che gli consentono di evitare come la peste il discorso diretto, che renderebbe vana la sua prosa (e ormai qualsiasi prosa?) in un nastro lucidato dall’incedere robotico.
Trevisan emerge quindi come un prosatore di precisione, la cui scrittura abbatte fino a quasi svilire le strutture narrative tradizionali per portare alla luce una realtà scomoda. Il tema della prospettiva, ricorrente nei suoi scritti, e richiamato nel titolo del volume, va di pari passo con quello dell’aberrazione e diventa simbolo della sua poetica: un rifiuto delle semplificazioni e un’indagine critica del mondo e delle sue rappresentazioni. C’è da riprendere il saggio di Panofsky.
In questo periodo ancora molto ravvicinato alla morte dello scrittore, Una (non) prospettiva è un contributo essenziale per comprendere Vitaliano Trevisan. Con rigore accademico e senza pedanterie, i singoli contributi ci restituiscono un ritratto vivo e poliedrico di un autore che ha saputo fare della sua scrittura uno strumento di esercitazione intellettuale pressoché continua e unica, di cui sentiamo la mancanza. La sua lettura è consigliata non solo a studiosi e appassionati di letteratura contemporanea, ma a chiunque voglia approfondire i legami tra scrittura, società e territorio, prima che territorio diventasse parola appannaggio dei politicanti. Il volume presenta anche contributi inattesi, come quelli dell’amico e architetto Giovanni Battista Gleria.
Per concludere, procediamo anche noi in modo analitico. Lo scritto di Emanuele Zinato è da solo nella sezione introduttiva In conflitto, a contatto. Gli autori che si sono occupati di quanto converge nella sezione Io, autore, personaggio sono Luca Illetterati, con un saggio sull’io e la sua negazione nella scrittura di Vitaliano Trevisan, Fabio Magro, che analizza la figura dell’autore come personaggio e Francesco Brancati, che esplora la scrittura come atto di disperazione. Nella sezione Autori e generi, Gilda Policastro indaga il rapporto tra Pasolini e Trevisan attraverso il tema della madre, anzi, al plurale “madri”, mentre Alvaro Barbieri analizza l’evoluzione stilistica e strutturale di Trevisan dai non-romanzi al romanzo totale. Per la sezione Lingua, psiche, società, Lorenzo Renzi esamina il capolavoro Works ponendo l’attenzione sul rapporto tra superficie e profondità della scrittura, mentre Chiara Volpato ne offre una lettura psicosociale. Nella sezione Nel teatro e per il cinema, Simona Morando si sofferma sulla scrittura teatrale di Trevisan, prendendo in considerazione la sua dimensione pratica, mentre Denis Brotto esplora il suo rapporto con il cinema (in tanti ricorderanno la comparsa di Trevisan in Primo amore di Garrone del 2004), mettendo in luce la persistenza di una poetica della distruzione. Per il tema Fra territorio e paesaggio, Mauro Varotto riflette sulle geografie dell’abbandono nella scrittura di Trevisan, mentre il già citato Matteo Giancotti approfondisce e allarga lo sguardo del rapporto dell’autore con il territorio. Infine, nella sezione Il geometra, l’architetto e la prospettiva, Andrea Cortellessa affronta il tema della prospettiva e delle sue aberrazioni nell’opera di Trevisan, mentre Giovanni Battista Gleria percorre la kafkiana figura dell’agrimensore come metafora narrativa. Il volume si conclude con una nota firmata dai due curatori che inquadra il senso complessivo del libro anche alla luce di quello che potrà accadere con il prosieguo degli studi dedicati alla sua opera, a partire da quel Black Tulips, libro interrotto e non incompiuto, che propone continui punti di partenza, anche nel suo cospicuo e fondamentale apparato di note.
Edizione esaminata e brevi note
Una (non) prospettiva. Percorsi intorno all’opera di Vitaliano Trevisan, a cura di Alvaro Barbieri e Matteo Giancotti, Mimesis, pp. 282, 2024, € 24.
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