Al principio fu “American psycho“. E’ il 1991 e Bret Easton Ellis, scrittore e sceneggiatore statunitense, mette a punto il personaggio di Patrick Bateman, un giovane colto, ambizioso e di talento che di notte si tramuta in un omicida senza controllo, capace di trasgressioni e violenze inaudite. Bateman è uno psicopatico perfetto, un assassino impeccabile, un “eroe” fatto e finito. Poi venne “African psycho”. E’ il 2003 e Alain Mabanckou inventa la figura di Grégoire Nakobomayo, immagine uguale e contraria rispetto a quella descritta nel romanzo americano. Perché Grégoire Nakobomayo, o Greg come preferisce farsi chiamare, vorrebbe diventare un assassino di prima categoria, vorrebbe uccidere, con dovizia di ferocia, proprio come fa Angoualima, il suo criminale preferito, beffandosi di tutto e di tutti. Vorrebbe con tutto il cuore tramutarsi in un killer di razza. Vorrebbe.
“Ho deciso di uccidere Germaine il 29 dicembre. Ci penso da settimane, checché se ne dica per uccidere una persona ci vuole una preparazione insieme psicologica e materiale. Al momento credo di avere raggiunto lo stato d’animo giusto, anche se non ho ancora scelto il mezzo con cui portare a termine la mia opera […] La verità è che non amo prendere le mie imprese alla leggera, e non sarà un omicidio a cambiare il modo in cui concepisco le cose…“. Dunque: Grégoire, e siamo all’incipit di “African psycho”, ha definito un obiettivo preciso. La mente del killer è a lavoro. Germaine, la prostituta che Greg ha in casa con sé, deve morire. Come è ancora tutto da stabilire. Perché è semplice: perché Grégoire Nakobomayo ha deciso di essere un omicida. Lo deve a se stesso, alla sua esistenza fin troppo banale di carrozziere dalla testa a rettangolo e dal naso troppo grande, al fatto che per farsi notare, in un posto degradato e perso come Colui-che-beve-l’acqua-è-un-imbecille, il quartiere di ubriaconi e delinquenti in cui vive, è necessario seguire una strada eccezionale. E quella degli ammazzamenti a Greg pare la più efficace.
L’idolo a cui il nostro protagonista si ispira è un assassino di professione. Si chiama Angoualima, ha sei dita per ogni mano e le sue imprese vengono sistematicamente richiamate dalla TV e dai giornali. “In effetti l’ideale per me sarebbe poter beneficiare di una copertura mediatica ampia come quella del mio idolo Angoualima, il più famoso assassino del nostro paese“. Greg sa benissimo di non essere speciale, conosce i suoi limiti e non ha intenzione di surclassare il Gran Maestro ma gli piacerebbe assai essere considerato il suo discepolo spirituale. L’uccisione di Germaine potrebbe di certo aiutarlo visto che le imprese precedenti non hanno ottenuto il successo sperato. Nessun trionfo dopo la martellata in testa al notaio Quiroga e niente, tranne qualche riga su un giornale locale, dopo l’aggressione e uno stupro fallito per problemi di erezione ai danni di un’infermiera dell’ospedale Adolphe Cissé che aveva scambiato per una prostituta proveniente dalla città vicina. Imprese minime, fatiche indegne per il criminale che sogna di diventare. A ribadire il concetto ci sono i rimproveri e le aspre critiche dello spirito di Angoualima che dal suo mucchio di terra del cimitero dei Morti-senza-diritto-al-sonno appare al volenteroso ma incapace Grégoire che spesso si reca a trovarlo in cerca di ispirazione e sostegno.
Il lato grottesco e spesso ridicolo delle vicende di cui Grégoire è protagonista rappresenta la potenza di questo romanzo. Greg è l’unica voce narrante e chi legge non può che sprofondare nel profluvio di parole e pensieri di questo aspirante assassino. Non ci sono ostacoli alla sua immaginazione né freni alla sua volontà. Esilaranti gli scambi dialettici con l’anima del defunto Angoualima e ipnotiche le vertigini di frasi a cascata che scaturiscono dalla mente di Grégoire soprattutto quando si arrabbia. Non ci sono virgole o punti che tengano: lui dice e dice e dice. Un uomo senza alcuna qualità, il nostro Greg, sicuramente divertente da seguire ma anche meritevole di un briciolo di compassione considerando il suo lato genuinamente “fantozziano”. Incarnazione del perdente, dunque e, proprio per questo, degno d’affettuosa tenerezza e, per certi versi, anche di una sorta di intima complicità e condivisione visto che chiunque, nella propria vita, proprio come Grégoire, deve fare i conti con i propri fallimenti e le proprie inadeguatezze.
Edizione esaminata e brevi note
Alain Mabanckou, “African psycho“, 66THAND2ND, Roma, 2015. Traduzione dal francese di Daniele Petruccioli. Titolo originale “African psycho”, La Serpent à Plumes, 2003.
Pagine Internet su Alain Mabanckou: Sito ufficiale / Letteratura Rai / Wikipedia / Scheda 66THAND2ND
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