Drag me to hell è un titolo quanto mai azzeccato per il ritorno all’horror di un grande regista quale si dimostra, ancora una volta, il geniale Sam Raimi. A 16 anni da L’armata delle tenebre, terzo e più temperato e divertente capitolo della saga La casa, lo spettatore è nuovamente trascinato agli inferi insieme alla sventurata protagonista; la quale, pur dubbiosa, si trova a negare ulteriore credito a una vecchia e inquietante zingara che, in conseguenza di ciò, lancerà sulla giovane una terrificante maledizione. Di qui in poi orrore puro e forti dosi di humour nerissimo sono gli elementi di una salsa davvero appetitosa che Raimi amalgama con grande maestria e indiscutibile senso del cinema. Chi credeva che il cineasta del Michigan avesse definitivamente abdicato in favore del mainstream che più mainstream non si può (la pur bellissima trilogia sull’arrampicamuri targata Marvel) resterà semplicemente impressionato dalla sua capacità di valorizzare al massimo i pochissimi mezzi che si è trovato a disposizione in quest’opera indipendente e contenuta in novanta minuti novanta. Dico di più: meno mezzi date a Raimi e più costruirà dell’ottimo cinema. Più gli elementi sono essenziali e più fuoriuscirà virulento il suo talento estremo e visionario. Questo è prima di tutto Drag me to hell, un film terrificante e visionario agganciato davvero a un’idea minima dalla quale si liberano, quasi per magia, innumerevoli sottotesti.
Christine è una giovane impiegata di banca che è in lizza per un’importante promozione. Nel tentativo di sembrare dura e risoluta agli occhi del capo, nonostante i dubbi di coscienza si trova a negare una proroga per il rimborso di un prestito a un’anziana signora che arriva anche a supplicarla nel disperato tentativo di non perdere la casa ipotecata. Sotto la pressione degli occhi del capo e dell’intero ufficio Christine reagisce male e la allontana, ma ancor peggio reagirà la zingara, che le lancerà addosso una terribile maledizione: tre giorni di orrori e spaventi, prima che la sua anima venga trascinata all’inferno. Resasi subito conto della gravità della situazione, la giovane, aiutata dal comunque scettico fidanzato, sonderà un medium che la accompagnerà alla scoperta dei territori dell’oltre, nel tentativo di trovare una complicata soluzione al problema. Una missione quasi impossibile, aggravata dal fatto che la vecchia nel frattempo è deceduta, dunque impossibilitata a ricevere le scuse e il risarcimento dei danni morali e materiali. In un clima di orrore crescente, e dopo una seduta medianica non andata a buon fine, l’unica soluzione che resta a Christine è trasferire la maledizione da sé a qualcun altro. Un modo esiste, ma un inquietante interrogativo è d’obbligo per la coscienza della ragazza: chi sarà lo sventurato che merita l’atroce destino di subire l’ira funesta di un ferocissimo demone?
La storia proposta, come noterete, è abbastanza classica e lineare per il genere (ricordiamo, a questo proposito, tra gli altri, il bel libro di Stephen King L’occhio del male, che come tante altre sue opere ha avuto un trascurabile adattamento filmico), e a dirla tutta sa tanto di scontato e prevedibile. Quello che non è scontato e prevedibile è il modo con cui Sam Raimi la confeziona per noi, partorendo un’opera che tra spaventi sobbalzi e ricche risate nasconde una sottile ma altrettanto feroce critica di sistema – alle banche, in maniera evidente, ai meccanismi di interazione sociale, in modo assai più allusivo e sfumato, stigmatizzando i dubbi della scienza e della coscienza, essendo politicamente scorrettissimo per vie meno consuete, subliminali: una su tutte, la scelta dell’animale domestico da sacrificare al demone. E poi ci sono estro, creatività, la visività mai gratuita rispetto ai motivi narrativi, una regia di classe purissima che ci regala ad ogni scena una diversa inquadratura. È un cinema mai uguale a se stesso, in cui la macchina da presa gioca con le angolazioni, restituendo quadri alterati, prospettive scentrate, geometrie inconsuete, mantenendo costante il grado d’emozione e di pathos, che non cala mai, dico mai, dalla prima all’ultima sequenza. Una goduria per gli amanti della settima arte, ma un’opera piacevole anche per chi non è appassionato del genere o dei giochi creativi con la macchina da presa, perché quello che risulta evidente anche all’occhio dello spettatore occasionale è che Drag me to hell, al pari e forse ancor più di altre opere del regista americano, è un film che mantiene pressoché inalterato il suo ritmo incalzante, catapultando chi guarda in un vortice di emozioni che comincia davvero al primo minuto e finisce al novantesimo, neanche fosse una partita di calcio vista attraverso gli occhi del tifoso più partecipe. In questo davvero simile a Nolan (The prestige, Il cavaliere oscuro), ma con una capacità ancor maggiore di immaginare cinema dal nulla, attraverso un istinto creativo e una predisposizione alla celluloide che ha, per queste vie, davvero poche vicinanze artistiche di pari livello.
Il meccanismo orrorifico e spaventevole è intervallato, come dicevamo, dal consueto humour nero, che rimanda alla geniale trilogia de La casa, in cui imperversava un altrettanto pericoloso e beffardo demone sumero, peraltro più visibile e manifesto. In Drag me to hell, in effetti, l’orrore è ancor più sviluppato da Raimi nel senso d’attesa e nei giochi di ombre (la suggestiva fotografia è, non a caso, del lynchiano Peter Deming), fortificato da un indovinato utilizzo di effetti sonori stranianti e destabilizzanti. Tutti gli elementi tecnici sono amalgamati in un eccesso che si fa imprevedibile misura, nel constatare la capacità di Raimi di usare la scena e i suoi elementi come una ribalta ossessiva che non supera mai il limite narrativo imposto dalla storia. Davvero un abile ed efficace gioco di prestigio, che dosa sapientemente i tempi psicologici e di scrittura, nonché lo spazio scenico dove si liberano le immagini e si muovono a loro perfetto agio gli attori. Drag me to hell è un’opera di geometrica potenza. Andatelo a vedere se siete amanti della settima arte e non avete pregiudizi legati al genere, è cinema allo stato puro.
Federico Magi, settembre 2009.
Edizione esaminata e brevi note
Regia: Sam Raimi. Soggetto e sceneggiatura: Sam Raimi, Ivan Raimi. Direttore della fotografia: Peter Deming. Scenografia: Steve Saklad. Costumi: Isis Massenden. Montaggio: Bob Murawski. Interpreti principali: Alison Lohman, Justin Long, Lorna Raver, David Paymer, Dileep Rao, Adriana Barraza, Reggie Lee, Ksenia Jarova, Bojana Novakovic, Ricardo Molina, Bill E. Rogers, Fernanda Romero, Chelcie Ross, Octavia Spencer. Musica originale: Christopher Young. Produzione: Sam Raimi, Grant Curtis, Robert G. Tapert, Cristen Carr Strubbe per Buckaroo Entertainment, Ghost House Pictures, Mandate Pictures. Origine: Usa, 2009. Durata: 90 minuti.
Follow Us