Trascorsi i nostri giorni a L’Avana, partiamo per il tour che, a tappe, ci condurrà ad attraversare tutta l’isola fino a Santiago, la seconda città più importante di Cuba e poi alle spiagge di Guardalavaca.
Cuba è lunga quasi come l’Italia per cui si tratta di un bel po’ di chilometri. Siamo “on the road” pur con tutti i comfort, siamo i turisti della parte del mondo benestante, il cui tenore di vita stride selvaggiamente con quello che osservo qui, anche se, pur essendo l’isola pressocché ferma agli anni Sessanta, non si fa la fame come in Africa, non c’é la guerra, molti flagelli sono stati debellati e pare che tutti abbiano una casa di proprietà, magari piccola.
Inizialmente percorriamo l’autostrada, l’Autopista National – limite di velocità 100Km – autostrada molto diversa dalle nostre: quasi nulle le stazioni di servizio, pochissima segnaletica, niente guard-rail e possibilità di fare inversione di marcia. Diciamo che è una strada asfaltata.
Poi è Caretera Central: penso subito che, per guidare qui, bisogna essere bravissimi e il nostro Juanito lo è. Il fondo stradale è tutto buche, per cui sembra di viaggiare in un frullatore, la segnaletica è quasi nulla e la carreggiata è continuamente occupata da camion, furgoni, moto, bici, auto vetuste, carretti trainati dal cavallo o addirittura greggi di capre o qualche mucca. Non si può correre (limite 80Km, ma chi li raggiunge?) e bisogna prestare molta attenzione. I passaggi a livello inoltre sono segnalati, ma non custoditi, per cui è necessario attraversarli con molta cautela e i treni sembrano quelli dell’epoca del Che.
La Caretera Central collega L’Avana a Santiago, in alcuni tratti somiglia a un’autostrada, per il resto è così, sgaruppata e agreste, piena di umanità. Qui bisogna scordarsi la fretta e armarsi di pazienza. E così andiamo, da privilegiati, con tanto di aria condizionata e sedili imbottiti. Vediamo invece come viaggiano i cubani.
Il periodo especial, imposto dal regime dopo la caduta dell’Unione Sovietica e la conseguente perdita di molti aiuti economici, che si è sommata all’annoso e iniquo embargo americano, ha costretto i cubani a tornare indietro su molti fronti. Si trattava di misure previste per il tempo di guerra, ma applicate in tempo di pace. Juan ci racconta che per un certo tempo c’é stata davvero la fame a Cuba. Alla mia domanda se ci si erano verificate azioni di protesta contro queste misure, mi risponde che a L’Avana c’era stata qualche manifestazione con rottura di vetrine, ma poi si è presentato Fidel in persona e tutti zitti e buoni.
In sintesi, il taglio del carburante – che adesso viene importato dal Venezuela, paese amico – ha costretto a un ritorno al cavallo con carretto per i tratti brevi. Per il resto, ci sono grossi camion o scoperti o con tendone – alcuni impressionanti, con solo una fessura per far circolare l’aria – auto private che fanno la spola dietro pagamento di un biglietto, qualche bus scassatissimo, specie in città. Tutti i mezzi sono carichi di gente fino all’inverosimile.
Lungo la strada ci sono piccole costruzioni in muratura che costituiscono la fermata, ma non ci sono orari precisi (come a Roma!!), prima o poi passa qualcosa. Così ci si sposta. Juan ci dice che, in genere i cubani hanno il posto di lavoro assai vicino a casa e così non c’é pendolarismo e si cerca di fare in modo che i mezzi non circolino mai vuoti, per non sprecare carburante. Il nostro stesso pullman, dopo aver scaricato noi a Guardalavaca, tornerà a L’Avana a tappe e caricherà cubani. La nostra guida invece ci accompagnerà fino a Holguin, cittadina dell’interno, e poi tornerà a L’Avana via terra, con un viaggio di ore e ore di pullman. Sarebbe comodo l’aereo, ma non è possibile: pochi posti, la flotta della Cubana de Aviation – tutti aerei russi – è ridottissima, i lavoratori cubani come Juan, quelli che avrebbero qui i loro diritti realizzati, sono costretti a questo.
Glisso sulla totale mancanza di norme di sicurezza che ho visto tra gli operai edili e penso che, magari in un mese, sarebbe stato divertente percorrere una parte dell’isola lentamente con carretto e cavallo. Avrei dovuto essere più giovane.
Lungo la Caretera Central ci sfilano davanti ai finestrini paesini con casupole, a volte malridotte, carretti di fruttivendoli ben forniti (le banane e l’ananas sono deliziosi), baretti, localini, tutti posti da cui noi turisti di gruppo siamo esclusi e che invece m’incuriosiscono.
Troviamo distese di coltivazioni: la preziosa canna da zucchero con gli stabilimenti di lavorazione, alberi di mango, qualche risaia, ananas, le meravigliose palme reali, simbolo di Cuba, dal lunghissimo tronco bianco, bananeti, molte mucche – magre – al pascolo.
In questo periodo c’é siccità per cui il terreno è secco, giallo, ma basta un acquazzone affinché tutto rifiorisca grazie al clima caldo-umido. Vi sono rilievi a Cuba, il più importante è la Sierra Maestra, con il Pico Turquino alto 1974 metri. Sono le montagne in cui combatterono i rivoluzionari di Castro.
La vegetazione è bella, ho già notato un po’ ovunque alberi di ficus, quei ficus che io coltivo in terrazza e d’inverno metto al riparo nelle scale e che si accontentano di un vaso di terra. Qui prosperano gioiosamente e si esprimono al meglio, i miei si adattano all’esilio.
Lungo la via ci si presentano scorci di vita quotidiana: uomini al lavoro nei campi, ovviamente qui la tecnologia non è ultramoderna, bambini a scuola.
I bambini e le bambine sono bellissimi e numerosi, hanno in genere un fisico armonico ed elegante, forse perché la ginnastica e anche il ballo sono molto praticati e studiati a Cuba. Gli scolari sono davvero graziosi nella loro divisa: camicia e calzettoni bianchi e gonna – o pantaloni – rossi per le elementari, color senape per le medie, blu per le superiori.
Anche le ragazze sono spesso bellissime, ma temo tendano a sformarsi dopo la prima gravidanza.
L’istruzione, come è noto, è gratuita, i libri li passa lo stato e, a causa dei costi della carta, non divengono proprietà degli studenti, ma passano da una classe all’altra. Una buona forma di risparmio, che era stata tentata anche da noi, ma che credo sia finita affossata per gli interessi delle case editrici.
Non mi spiego la carestia di penne biro, che più volte ci vengono chieste, oltre alle saponette, da signore per strada. Pare siano beni assai costosi per le tasche dei cubani.
Ciascun paesino ha comunque la sua scuola, ben tenuta, e l’analfabetismo non esiste più. Credo che il livello d’istruzione sia medio-alto, sarà istruzione di regime – alla Caserma Moncada, che è adibita perlopiù a scuola, vedremo un cartellone fatto dai bambini delle elementari con vita, morte e miracoli del Che – ma un popolo che sa leggere e scrivere può comunque difendersi meglio e aprirsi alle novità.
Scuole ce ne sono di tutti i tipi e, poiché i cubani non sono liberi di lasciare l’isola o meglio, possono farlo solo per andare a trovare parenti o per andare a lavorare all’estero, ma non per studiare, se è necessario lo stato fa venire gli insegnanti in loco. Se serve imparare la cucina italiana, ad esempio, si chiamerà un cuoco italiano.
Un turismo cubano organizzato fuori dall’isola non esiste ed è un peccato che tante persone studino culture diverse dalla loro e poi non possano andare a vederle. Fidel li ha tenuti qui, quasi fermi nel tempo.
L’università è presente in ogni provincia, in modo che gli studenti non siano costretti a trasferte troppo lontane dal paese d’origine.
La prima tappa dopo L’Avana è Cienfuegos, che si trova a circa 250 km. dalla capitale, sulla costa meridionale di Cuba. È uno dei principali porti dell’isola e sorge in fondo a una baia, all’ingresso della quale si trova la fortezza di Jagua (Castello de Nuestra Señora de Los Angeles de Jagua), costruita nel 1745 come protezione dai pirati dei Caraibi. Il nome significa “Centofuochi” in onore di un governatore spagnolo di Cuba della fine del secolo, originariamente era stata chiamata Fernandina de Jagua, in onore di Ferdinando VII di Spagna. Il centro storico di Cienfuegos è stato inserito nel 2005 nell’elenco dei patrimoni dell’umanità dell’Unesco ed è il luogo caraibico con più alto numero di edifici neoclassici.
A Cienfuegos pranziamo allo Yacht Club, un bellissimo edificio bianco con due cupole laterali e visitiamo il Palacio de Valle, un magnifico palazzo con due torrette asimmetriche, archi cesellati, merlature, finestre scolpite. Ha qualcosa di arabo, di indiano e di medievale insieme e, dalla terrazza, si gode di una vista magnifica. È stravagante e fascinoso ed è stato costruito tra il 1913 e il 1917 come dimora. Il progetto di massima è di un architetto italiano, Alfredo Celli, poi vi parteciperanno, apportando modifiche, artigiani francesi, cubani, arabi e italiani.
Marina Monego, maggio 2016
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