“Andremo in città” viene pubblicato per la prima volta nel 1962. La scrittrice ungherese è in Italia da soli otto anni. Nel 1966 esce un film ispirato ad “Andremo in città“. La regia è di Nelo Risi, marito della Bruck, e la sceneggiatura è opera Cesare Zavattini. Il libro che ho tra le mani, invece, è stato ripubblicato nel 2007 dall’editore Ancora del Mediterraneo nella collana “Un mondo a parte”. In copertina una delle foto più cupe e famose dei tralicci di filo spinato elettrificato dei campi di sterminio nazisti. Eppure in “Andremo in città” si parla appena dello sterminio degli Ebrei e forse, proprio per questo, l’immagine di copertina è vagamente fuorviante.
Sono dodici i racconti contenuti in “Andremo in città”. Racconti nei quali, leggendo la biografia di Edith Bruck, è possibile rintracciare molti elementi dell’infanzia della scrittrice: le origini ebraiche, la povertà, la famiglia numerosa, i sogni spezzati di una bambina che è stata costretta a crescere di colpo e senza troppi indugi. Ciò che si rileva in ogni fatto narrato è la presenza di una voce narrante che appartiene sempre ad una ragazzina o a un ragazzino. In queste voci, ebraiche o tedesche, si ritrova la semplicità e l’ingenua schiettezza di chi probabilmente vorrebbe solo vivere con spensieratezza la propria infanzia e la propria adolescenza e, invece, si ritrova a dover fare i conti con una realtà che proclama tutto il suo orrore: la guerra, la fame, i bombardamenti, la paura, i rastrellamenti, il dolore, la morte.
Il racconto che dà il titolo al romanzo, quello che ha ispirato anche il film di Nelo Risi, è probabilmente il più commovente e delicato di tutti. Come viene spiegato anche sulla quarta di copertina, sembra che la Bruck abbia anticipato di diversi decenni la straziante dolcezza de “La vita è bella” di Roberto Benigni. Qui, però, tocca a Lenke, una bambina ebrea, spiegare al proprio fratello cieco il viaggio in treno verso chissà dove. Lei sa che Beni spera di poter guarire per questo gli fa una promessa importante: “Tutti i giorni alla stessa ora il treno, prima di rallentare, fischia. Lo senti? Non si ferma proprio, ma rallenta e noi avremo il tempo di saltarci sopra. Dovrai essere svelto. Io ti prenderò per mano come ora e hop! Una volta dentro è fatta. Quando vedo la grande stazione vuol dire che siamo in città. Poi scendiamo e cerchiamo un dottore. Avrai aspettato tanto, ma il dottore ti guarirà“. Quando due uomini in uniforme, prima dell’estate, vengono a prelevare i due bambini ormai orfani e li spingono, come fanno con altri ebrei, all’interno di un treno pieno zeppo di esseri umani, la ragazzina inventa per suo fratello una storia speciale fatta di un treno bellissimo ed arredato con poltrone di velluto rosso, un treno in cui viaggiano molti malati che si lamentano, un treno in cui però non si può viaggiare comodi perché c’è la guerra e perché l’Ungheria è povera.
In tutti i racconti la tristezza più intima si mescola ad una poeticità d’altri tempi. La scrittura di Edith Bruck è molto lineare ed essenziale probabilmente perché la sua confidenza con la lingua italiana, scelta da pochi anni come lingua letteraria, non era, al tempo, ancora completa e fluente. Ma tanta semplicità riflette pienamente anche gli occhi e il mondo di protagonisti tanto giovani e ancora molto ingenui. Ragazzini che, nonostante la tragedia incombente, riescono a vivere con fiducia la loro esistenza e a sognare un futuro molto diverso dal presente che sono costretti a vivere.
Edizione esaminata e brevi note
Edith Bruck è nata in Ungheria il 3 maggio del 1932 da una famiglia ebrea piuttosto povera e numerosa. A soli 12 anni viene internata in alcuni campi di concentramento e di sterminio nazisti insieme a sua sorella. Perde i genitori e viene liberata nel 1945. Ha viaggiato a lungo e, nel 1954, si è stabilita in Italia. Ha conosciuto e frequentato, tra gli altri, Primo Levi, Eugenio Montale, Mario Luzi. I suoi libri sono scritti in italiano, la lingua che ha eletto a sua lingua letteraria. Ha collaborato con varie testate giornalistiche e ha tradotto diverse opere di autori ungheresi. Tra i libri scritti e pubblicati dalla Bruck ricordiamo: “Chi ti ama così” (1959), “Andremo in città” (1962), “Le sacre nozze” (1969), “Due stanze vuote” (1974), “Il tatuaggio” (1975), “Transit” (1978), “Mio splendido disastro” (1979), “In difesa del padre” (1980), “Lettera alla madre” (1988), “Monologo” (1990), “Nuda proprietà” (1993), “L’attrice” (1995), “Il silenzio degli amanti” (1997), “Signora Auschwitz: il dono della parola” (1999), “L’amore offeso” (2002), “Lettera da Francoforte” (2004), “Specchi” (2005), “Quanta stella c’è nel cielo” (2009), “Privato” (2010), “La donna dal cappotto verde” (2012).
Edith Bruck, “Andremo in città”, L’ancora del Mediterraneo, Napoli, 2007.
Edith Bruck: Wikipedia / Noi donne / Rai Scuola / Intervista
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