Considerato uno dei maestri della commedia all’italiana, Luigi Comencini, deceduto da pochi mesi, fu attivo già dal primissimo dopoguerra, trovando lustro e notorietà con la mini saga del Pane, amore e… (il primo film è del 1953, il secondo lo segue a ruota di un anno). Ma aggiungerei di più, in quanto si può ben affermare che le due opere dirette da Comencini siano state le pellicole d’ingresso al lungo e fortunato filone della commedia all’italiana, genere davvero ispirato fino alla metà dei Settanta. Il regista di Salò fu sempre molto prolifico e partorì, a distanza di un abbondante decennio l’una dall’altra, due opere rimarchevoli che si possono decisamente considerare i due picchi maggiori della sua carriera di cineasta. La prima, Tutti a casa, del 1960, vede protagonista un Sordi in stato di grazia in un’ agrodolce tragicommedia sull’Italia post 8 Settembre 1943; la seconda – il film che andremo tra poco ad analizzare -, è una commedia amarissima con un altrettanto ispirato Sordi, coadiuvato da un fantastico cast di attori nel quale spiccano nientemeno che l’inossidabile Bette Davis e la bravissima Silvana Mangano: Lo scopone scientifico, girato all’inizio degli anni Settanta. Ripercorriamone brevemente la trama.
Da otto anni una vecchia miliardaria americana (Bette Davis) viene a trascorrere qualche tempo in una lussuosissima villa alle porte di Roma, la cui veduta le regala perfino l’ampiezza del “Cupolone”. Con cameriere e amante-autista al seguito, la vecchia, data per morta ma al contrario viva e vegeta su una sedia a rotelle, comincia subito ad entrare nel clima a lei più congeniale: quello della partita, della sfida, del gioco delle carte. Nonostante conosca tutti i giochi di carte del mondo e abbia sfidato (e quasi sempre vinto) antagonisti di tutte le nazioni, per l’Italia e Roma ha una particolare predilezione: il suo gioco preferito è lo scopone scientifico. La villa della vecchia è situata vicino ad una baraccopoli in cui vivono i due sfidanti romani, da otto anni sempre gli stessi. E sempre perdenti. Peppino e Antonia (Sordi e la Mangano) sono due poveracci con cospicua prole a carico, che ogni anno attendono con impazienza la signora miliardaria nella speranza di cambiare il corso della loro misera esistenza. Stavolta si sono allenati per bene, ma le prime uscite non sembrano loro sorridere. Ad ogni squillo di telefono, segnale d’assenso alla sfida con la signora, tutti gli abitanti della baraccopoli prendono vita, seguendo via telefono, attraverso i saltuari contatti tra la cameriera della villa e colui che viene chiamato da tutti – essendo l’unico che leggeva libri – il professore (Mario Carotenuto), l’evoluzione della contesa. Miliardaria e autista contro la coppia di poveracci: le due signore sono bravissime, i signori un po’ meno, ma è soprattutto la vecchia ad inveire contro il compagno di gioco. Anche Antonia però comincia ad avere dei dubbi sull’opportunità di continuare con il marito, soprattutto quando le si (ri)propone come partner di gioco (e di vita) un suo ex (Domenico Modugno), noto baro della zona. Ad ogni modo, la vecchia par essere democratica, concede sempre un milione a Peppino e Antonia, che i due perdono puntualmente senza dover restituire. Ma che succede se per una volta la vecchia perde e perde pure parecchio? Se la fortuna sembra sorridere smodatamente a due poveracci? Se questa fortuna di colpo svanisce? Se il popolino, i poveracci tutti si fanno prender la mano? Se entrano in crisi amore e fiducia? I soldi non danno la felicità, ma avercene parecchi rende tutto più facile, rende più forti, comunque vada pressoché inattaccabili. O quasi. E la morale è amarissima, a ben vedere, per tutti i protagonisti della vicenda.
Tanto di cappello ad un’opera cosi ben scritta e recitata, un vero capolavoro di genere, senza dubbio una tra le ultime, grandissime commedie prodotte nel Bel Paese. Comencini torna a lavorare con Sordi ed è nuovamente alchimia perfetta. Sordi, dal canto suo, si porta il fido Sonego e non può che uscirne il personaggio che tutti conosciamo, che mescola il tragico e il comico in maniera superlativa, come nessun altro attore è mai riuscito a fare in Italia, e forse non solo – Sordi ha avuto inspiegabilmente alterna fortuna fuori dai confini (ma non era di sinistra, e questo molto spiega), pressoché nulla negli States. La storia costruita è veramente minima, ambientata tutta tra la casa della miliardaria e le baracche dei poveri, contrasto da subito evidente e voluto per trovare perfetta aderenza tra l’elemento visivo e quello narrativo. Comencini lascia sapientemente spazio agli attori, senza mai invadere il campo, trovando in loro, nei loro volti, nella loro espressività, una chiave narrativa più forte della scrittura stessa. E non è un caso che ad un Sordi di tal qualità facciano da contraltare una Mangano ispiratissima, sulle orme della Magnani, una Bette Davis alla quale basta un semplice sguardo luciferino per riempire lo schermo per intero, fino agli ottimi co-protagonisti: un misurato Joseph Cotten, un cinico Modugno, molto a suo agio davanti alla macchina da presa (lo ricordiamo anche nel ruolo dell’immondezzaro nel Pasolini di Che cosa sono le nuvole?), ed un brillante Carotenuto, davvero in parte nei panni del Professore.
Certo il film vive su elementi un po’ di maniera, come la vita stereotipata dei poveracci nella baraccopoli con tutto il campionario assortito di sfigati, preti, puttane, papponi e compagnia cantante, immaginando il mondo dorato a pochi passi dal mondo infero. In effetti, come precedentemente accennato, il confronto ricchezza estrema-povertà estrema è qualcosa che, nei modi e nelle forme in cui ci viene presentato, risulta essere veramente fin troppo letterario. Ma è un artificio, un espediente che Sonego utilizza per mettere al centro – come spesso gli è capitato nei film con Sordi – le contraddizioni, i timori e le debolezze della natura umana: ecco che, pure in punto di morte (apparente, la vecchia sembra essere davvero indistruttibile), la preoccupazione dell’ attempata miliardaria è soprattutto quella di giocare e vincere, per recuperare il denaro imprevedibilmente “sottrattole” da Antonia e Peppino. E qui paradossi su paradossi, fino ad un finale che trova il culmine dell’amarezza in ciò che non vediamo ma che sappiamo accadrà: la morte della vecchia, uccisa dalla figlioletta invalida della coppia, con il veleno per topi, sulla via del ritorno negli States. Il panorama umano è desolante, non esiste riscatto reale ma solo espedienti per tirare a campare; la deferenza al padrone, al potente di turno, è l’elemento costante della pellicola: la vecchia tiene tutti in scacco (anche il medico personale, che le sconsiglia l’estenuante e prolungata competizione, non può arginare il suo istinto alla sfida), pur da moribonda, ma inabituata a soccombere, né tanto meno a farsi opporre diniego da chicchessia.
Di là dall’amarezza che la pellicola restituisce, si ride e ci si diverte a più riprese, trovando sovente punte di cinico e di grottesco che stemperano un’atmosfera in cui il lato melodrammatico sembra cercare comunque il lasciapassare. La reale bravura di Comencini sta nell’assemblare bene tutte queste suggestioni, lasciando a briglia sciolta il suo grande complesso d’attori, quasi musicanti: sembra un’orchestra tanto sono perfetti i tempi e i modi con cui interagiscono i protagonisti sulla ribalta, creando una sorta di unica melodia, assai gradevole da ascoltare. E qui ritorna la rabbia e la nostalgia. Perché non si riesce più a far film del genere, in Italia? Le risposte, ahimé, le conosciamo. Certo che un Sordi non nasce tutti i giorni, e nemmeno una Mangano. E la commedia all’italiana è morta. Saprà rinascere dalle sue ceneri, come l’araba Fenice? Anche questo quesito, perlomeno nel breve termine, sembra destinato a trovare risposta negativa. Nell’attesa, godiamoci quel tanto che l’italico cinema del passato ci ha lasciato in eredità. Un’eredità preziosa, della quale essere giustamente orgogliosi.
Curiosità: Nel 1973 Alberto Sordi e Silvana Mangano vinsero, con il film in questione, per l’interpretazione come attore e attrice protagonista, il prestigioso David di Donatello.
Federico Magi, agosto 2007.
Edizione esaminata e brevi note
Regia: Luigi Comencini. Soggetto e sceneggiatura: Rodolfo Sonego. Direttore della fotografia: Giuseppe Ruzzolini. Montaggio: Nino Baragli. Interpreti principali: Alberto Sordi, Silvana Mangano, Bette Davis, Joseph Cotten, Mario Carotenuto, Domenico Modugno, Antonella Di Maggio, Daniele Dublino, Luciana Lehar, Franca Scagnetti, Guido Cerniglia, Ennio Antonelli, Piero Morgia, Giacomo De Michelis, Dalila Di Lazzaro, Giselda Castrini, Marco Tulli. Scenografia: Luigi Scaccianoce. Costumi: Bruna Parmesan. Musica originale: Piero Piccioni. Produzione: Dino De Laurentiis. Origine: Italia, 1972. Durata: 116 minuti.
Follow Us