Ho letto “Magellano”. Ho letto “Erasmo da Rotterdam”. Ho letto “Maria Stuarda”. Tre delle numerose biografie scritte da Zweig. Lavori complessi, affascinanti, storicamente dettagliati in cui la vita, le gesta e le opere di ogni personaggio vengono celebrate, analizzate e raccontate con la maestria che solo un autore acuto e penetrante come Stefan Zweig possiede. Eppure devo ammettere che con “Dostoevskij” lo scrittore austriaco è andato oltre. Questo libro, infatti, non è propriamente una biografia ma un vero e proprio studio delle vicende esistenziali, e per questo anche artistiche, di Fëdor Michajlovič Dostoevskij. La sensazione immediata è che Zweig abbia amato Dostoevskij in maniera viscerale e che, proprio grazie a tale sterminata passione, sia riuscito ad analizzare e rappresentare la sua vita, il suo stile, i suoi personaggi, le sue sofferenze, la sua religiosità e, soprattutto, i processi creativi che hanno portato Dostoevskij a divenire uno degli scrittori più amati e letti di sempre.
Non ci sono riferimenti cronologici puntuali e dettagliati, non ci sono descrizioni minuziose di aneddoti ed accadimenti, non c’è, in sostanza, l’impianto nozionistico tipico di una biografia. In “Dostoevskij” Zweig ha scelto un approccio decisamente diverso dal solito perché, come scrive fin dal principio, “E’ cosa ardua e piena di responsabilità parlare degnamente di Fëdor Michajlovič Dostoevskij e della sua importanza per il nostro mondo interiore, perché la grandezza e la potenza di quest’uomo unico richiedono una misura nuova“. Il principio che anima Zweig si regge sul concetto di intima conoscenza dell’autore russo, una conoscenza che prevede una totale immersione in se stessi perché è solo conoscendo certi abissi e certe solitudini si può sperare di avvicinarsi in maniera appropriata all’opera dello scrittore russo così da poterne percepire l’autentica essenza. “E questo cammino attraverso la sua opera conduce per tutti i purgatori della passione, per l’inferno dei vizi, passa per tutti i gradini del martirio terreno dell’artista e il martirio ultimo, il più crudele, il martirio di Dio“.
Il viaggio di Zweig in Dostoevskij inizia dal suo volto. E’ da questa geometria di gote raggrinzite, di pelle asciutta e zigomi slavi che Zweig intraprende il suo percorso. Un volto di contadino, dice. Un terreno senza bellezza, un pezzo di steppa russa che neppure gli occhi sanno illuminare o ammorbidire. Eppure in quel volto si riconoscono le impronte di un’esistenza che è nutrita da una perenne tragedia. Dostoevskij vittima di un destino sempre troppo capriccioso o troppo infido. “Non gli è mai concesso di essere rassicurato, di riposare, deve sentire sempre il Dio che lo castiga proprio perché lo ama. Non può sostare un minuto felice, poiché la sua via deve condurre all’eternità“. Ogni volta che la vita sembra offrirgli un impercettibile sollievo, immediatamente qualche evento lo riporta nel baratro della disperazione. Zweig lo descrive come un martire, un martire consapevole ed illuminato. La gloria appena scoperta, a 23 anni, si tramuta in arresto per cospirazione, l’arresto diviene condanna a morte, la condanna a morte è commutata in prigionia: quattro anni in Siberia. Lì Dostoevskij impara a morire: epilessia. Quel famoso “mal caduco” che, da quel momento in poi, non lo lascerà più. Così come non verrà più abbandonato dai debiti, dai fallimenti, dalla nostalgia, dai lutti.
La forza interiore di Dostoevskij si origina dalla potenza tragica del suo destino. Amor fati, “amore del destino che Nietzsche chiama la più feconda legge della vita, fa sì che lui consideri ogni avversità come pienezza, ogni disgrazia come felicità“. I tormenti che hanno reso la sua vita un autentico inferno, hanno saputo però rendere più profonde e tenaci le sue certezze interiori. Ed è di questa stessa granitica energia interiore che nutre i suoi personaggi. Tutti. Non c’è alcuna perfezione nelle sue creature, le fa soffrire come lui soffre, le fa consumare, le fa sbagliare, le fa contraddire. Sono spesso identità confuse e discordanti. In loro, spiega Zweig, c’è l’anima della Russia: “Sono sempre spauriti e intimiditi, si sentono umiliati e offesi, e tutto questo per quell’unico sentimento elementare della nazione: il non sapere chi essi siano, il non sapere se siano molto o poco. Stanno sempre sul limite tra l’orgoglio e la contrizione, tra la presunzione e il disprezzo di se stessi…“. Tutti i suoi personaggi, qualunque personaggio siano, qualunque mito stiano incarnando, vivono un unico avvenimento: divenire uomo. Dostoevskij scrive sempre dell’uomo nell’uomo, mira all’astrazione assoluta, ad afferrare e descrivere un io universale, ultimo, puro, eterno.
Dostoevskij è un trasgressore. Non riconosce i limiti della letteratura per questo li calpesta e li supera. Il suo merito più prezioso, secondo Zweig, è nell’averci arricchito della conoscenza di noi stessi. “Dostoevskij è il psicologo degli psicologi“, scrive. E’ lui, l’immenso scrittore russo, a sondare i territori più impenetrabili della coscienza, è lui che sa analizzare scientificamente i sentimenti più remoti, il “sacro caos” dell’anima. Eppure nelle opere di Dostoevskij il problema che, più di ogni altro, pulsa e scintilla è legato alla questione di Dio, questione alla quale, in un modo o nell’altro, approdano tutti i suoi personaggi più grandi. Stefan Zweig si sofferma, in uno degli ultimi, intensi capitoli di questa sua opera, sul tormento di Dio. Il segreto di Dostoevskij è e rimane sempre lo stesso per lui e per la maggior parte degli uomini: ha bisogno di Dio e non lo trova. “Dio mi è necessario perché è l’unico essere che si può amare sempre“, ha scritto. Dostoevskij tenderà eternamente verso Dio, vorrebbe abbandonarsi a Lui con la fede semplice e totale dei contadini. Desidera credere, lo desidera con tutto il cuore eppure sa perfettamente di non saperlo fare.
Edizione esaminata e brevi note
Stefan Zweig, “Dostoevskij”, Castelvecchi, Roma, 2013. Traduzione di Mario Britti.
Pagine Internet su Stefan Zweig: Wikipedia / Sito dedicato (fr) / Casa Stefan Zweig (es)
Pagine Internet su Fëdor Michajlovič Dostoevskij: Wikipedia / Enciclopedia Treccani / Interviste impossibili (Carmelo Bene ed Oreste Del Buono)
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