“Gli oleandri” risale al 1962. Pubblicato al tempo, faceva parte del primo libro di narrativa di Angela Bianchini, “Lungo equinozio“, assieme ad altri due racconti. L’edizione che ho tra le mani, invece, è del 2006. Le vicende autobiografiche della Bianchini fanno da sottofondo a quelle della protagonista ed io narrante del romanzo. “Gli oleandri” non risente affatto del tempo trascorso forse perché la scrittura della Bianchini è così intensa, lieve, essenziale e diretta da non lasciare percepire l’età della sua opera. Ciò che mi sorprende è che di questa scrittrice non ho mai sentito parlare. La sensazione è che, ancora una volta, stiamo colpevolmente trascurando un’artista degna di ogni stima e le sue opere per poi ritrovarci a capirne e celebrarne il valore solo quando sarà un po’ troppo tardi. Anche perché, a tutti gli effetti, il ritardo è già più che evidente.
“Rividi Marco una sera di primavera inoltrata a New York“. Marco appartiene al passato, quel passato lasciato in Italia diversi anni prima, un passato da cui la protagonista de “Gli oleandri”, proprio come la stessa Bianchini, è fuggita per approdare in America. L’Italia dei primi anni ’40 è il tripudio del fascismo e in molti, ebrei in primis, decidono di abbandonare tutto e rifugiarsi altrove. “L’ultima volta che avevo visto Marco in Italia era in divisa e ballavamo. Era prima della guerra, o forse la guerra era appena cominciata“. Il conflitto ormai è finito e Marco può muoversi per il mondo a caccia di affari. Incontrarlo per caso sembra una piccola epifania. Con lui tornano alla luce persone, episodi, momenti e parole apparentemente lontani anni luce. In fondo una guerra e un oceano valgono esattamente tanto.
La nostra protagonista senza nome ha sposato Charles, un americano, vive e lavora tra americani. Ma sa che non è più quello il suo posto né la sua vita. L’incontro con Marco, una lettera azzurra da parte dell’amica Orietta arrivata dopo molto tempo generano una minuscola rivoluzione. “Forse coincise con la vera fine della guerra con il ritorno in Italia di tanta gente, forse anche con la venuta di Marco e la lettera di Orietta. Fatto sta che un giorno Charles mi sembrò soltanto una disgrazia, come la guerra, come le leggi, come la morte. Qualcosa che c’era stato, e aveva fatto male, ma ora non c’era più“. E così, dopo un paio d’anni dalla fine della guerra, giunge la decisione di rientrare in Italia. Il viaggio in nave, lo sbarco a Genova e l’arrivo a casa: Roma. Le immagini di una città fatta solo di ricordi e di ricordi di guerra si mescolano con quelle di una metropoli che si riforma e si rianima mantenendo un’aria familiare di case alte e grigie, di cielo azzurro e profondissimo. “Pieno d’estate, di gente da vedere, di discorsi da fare, di sensazioni da ritrovare, ma anch’esso, chissà perché, implacabile“.
Poi il desiderio di rivedere Orietta, l’amica d’infanzia, la compagna di giochi, la prima confidente, la prima complice. Orietta bellissima coi capelli castani e gli occhi luminosi, Orietta corteggiata fin da ragazzina, Orietta che finisce persino a far l’attrice a Cinecittà. La lettera azzurra arrivata in America parlava di un matrimonio con “quello lì, figurati, che mi faceva la corte tanti anni fa ed era tanto geloso…“. Ma ora, a Roma, la notizia della morte di Orietta. “Morta da due mesi. Di un male rimasto misterioso ma che, con tutta probabilità, era tubercolosi. E che, per non rattristarmi la venuta, il ritorno, non me lo avevano fatto sapere“. Nella Roma ritrovata, quindi, a mancare sarà anche Orietta. Nella sua vecchia casa c’è ancora la stessa portinaia, gli stessi odori e la stessa luce. Salire per delle condoglianze scadute da un paio di mesi appare del tutto fuori luogo.
Conoscere il vero destino di Orietta vale la consapevolezza di aver condiviso, comunque, una sorte difficile. C’è stata un’amicizia profondissima, un legame così magico da poter annodare il cuore di due bambine, poi adolescenti, fino a renderle inseparabili. Le leggi razziali hanno rappresentato una lacerazione: “Il partire, capii allora, e non l’ho mai dimenticato, non è l’andarsene, il che sarebbe relativamente facile, ma il non esserci quando le cose rimarranno“. E sembra che le due ragazze, nonostante la distanza, abbiano condiviso errori e sofferenze. Il ritorno in Italia non garantisce il ritrovarsi: non c’è alcun modo per risarcire anni d’assenza, di emozioni mancate e di fughe. La nostra protagonista ne è venuta fuori mentre altri non ce l’hanno fatta. “C’è chi s’è salvato, nel naufragio, perché soltanto lei no?“. Recriminazioni da sopravvissuta che non possono avere alcuna risposta.
Edizione esaminata e brevi note
Angela Bianchini è nata a Roma nel 1921 ed è di origini ebraiche. Nel 1941, in seguito all’approvazioni delle leggi razziali da parte del regime fascista, è emigrata negli Stati Uniti. Dopo aver studiato letteratura francese con Leo Spitzer alla John Hopkins University, si è dedicata con grande attenzione alla letteratura spagnola. Nel dopoguerra è rientrata in Italia dove ha iniziato a collaborare con la Rai lavorando alla realizzazione di diversi programmi culturali televisivi e radiofonici. Il suo esordio nel mondo della letteratura arriva nel 1962 con “Lungo equinozio” ottenendo gli apprezzamenti di Giorgio Caproni e Carlo Bo. A seguire i racconti “Alta estate notturna” (antologia “Il pozzo segreto“) e “Anni dopo” (in “Nella città proibita”). Angela Bianchini è anche autrice di alcuni romanzi: “Le nostre distanze”, “La ragazza in nero”, “Capo d’Europa”, “Le labbra tue sincere”, “Un amore sconveniente”, “Nevada”, “Alessandra e Lucrezia. Destini femminili nella Firenze del Quattrocento”.
Angela Bianchini, “Gli oleandri”, Frassinelli, Milano, 2006. Postfazione di Valeria Della Valle.
Pagine Internet su Angela Bianchini: Italian Women Writers / Wikipedia (en)
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