Qui non siamo nell’ambito della musica. Questa è una recensione di un cd non musicale, non un prodotto, parto di una lunga gestazione compositiva: no. È un fotogramma sonoro di una progressiva crescita “artistica”. Il termine va certamente utilizzato con cautela e fuor di equivoco ora viene impiegato: Manuel Attanasio è uno sperimentatore, le sue qualità però vanno accostate – e vanno accostandosi – più all’ambito artistico, contemporaneo, accompagnando talvolta eventi dell’arte contemporanea sarda. Non è prodotto finito, ma è appunto: ricerca, nell’accezione più felice, impulso fisiologico di dare forma a qualcosa di inespresso. È rendere visibile l’invisibile, ripulire il diamante grezzo, con la consapevolezza che nell’arte si danno solo domane e quasi mai risposte.
“Senza voce” è frutto di una collaborazione tra un giovane (classe ’79) alchimista ed un’artista ormai affermata, Josephine Sassu. Questa ha curato infatti le copertine dei cd – che hanno un numero limitato, 300 in tutto, venduti in seguito alle varie performance dal vivo lungo varie tappe – con decorazioni d’autore fatte a mano. Basti questo a comprendere l’esclusività del fenomeno “Senza voce” e la totale assenza di presunzione o scopi di lucro. Energie impiegate per la totale ricerca artistica, per una felice cooperazione e per quei pochi esterni che umilmente si assumono la briga di ascoltare qualcosa di estremamente nuovo. E fuori dal mercato: è questa una delle gioie dell’arte contemporanea. Non è merce che può interessare i mass media.
Un fotogramma, una tappa, un’istantanea di un percorso. Niente di definitivo, di storico, di epocale. Eppure, un’esperienza straniante, quasi astratta, che sfiora le corde del sublime, perché non di materiale spurio si tratta: il risultato è sorprendente e chi vuole può – nonostante la vendita sia ormai un’ombra del passato – saggiarne i brani. Ed è in particolar modo l’ultima traccia dell’album, la più complessa, probabilmente, che si intitola Riunione di condominio è un tripudio di voci: gli strumenti sono banditi, le parole anche, la musica è voce, nient’altro che questa: voci maestre che figliano altre, ridondanti, ripetitive, che generano caos ben calibrato, sberleffo – questo: sì – del blaterare condominiale, che da democratica demagogia sfocia in bestialità malcelata. Tanto sono spirituali i primi minuti dell’album (meditativi, di una religiosità quasi senza nome, ma dal profumo arabeggiante o ancor più orientale, tibetano) quanto più occidentale (leggi: caotico) e parodistico si fa il gran finale.
M.: Dunque; iniziamo col tracciare qualche coordinata sulla tua formazione…
A.: Beh, la mia formazione ha da principio un’inclinazione pittorica. Fondamentale è il periodo in cui mi son trasferito a Bergamo. Qui studio canto classico col maestro Giovanni Guerini, per un anno e mezzo. Durante questi studi contraggo una tracheite… rimango afono per una settima: in questi giorni sperimento una serie di suoni sconosciuti alla vocalità classica…
Di che genere?
Suoni che andavano al di sotto della mia tonalità naturale di baritono scuro.
Dunque, superata la malattia, hai cercato di riappropriarti di quei suoni, studiandone l’efficacia musicale. E il tuo lavorio sulla vocalità classica si è dovuto poi interrompere?
Non essendo compatibili i due studi, ho preferito approfondire da autodidatta quello sperimentale. C’è da dire che questa ricerca veniva condotta dapprima senza microfoni, e in questo modo continuai per mesi. Più avanti sentii il bisogno di creare delle costruzioni vocali utilizzando più voci. Così iniziai a sfruttare dei delay e più avanti dei campionatori, che mi permettevano di creare dei tappeti sonori interamente realizzati con la voce…
Quindi non utilizzi strumenti musicali per accompagnare la voce: ma è questa stessa voce che sostituisce gli strumenti, duplicandosi?
Sì ma non si duplica soltanto, ci sono varie sovrapposizioni – e ripetizioni – della mia voce, che talvolta è quasi impossibile percepirne il numero.
Nel 2006 ti viene proposto dal Centro Tecnico Musicale di Sassari di creare un cd in cui registrare le performance vocali. E la collaborazione con l’artista Josephine Sassu non è coeva all’idea di una registrazione su cd?
No, la grafica del cd era già in lavorazione per quanto la mia idea fosse quella di coniugare leggerezza e delicatezza ad un lavoro estremamente originale. Verso l’ottobre del 2005 incontrai, alla Fiera d’Arte Contemporanea Sarda, Josephine Sassu. Esponevo il video di Riunione di condomino mentre lei stava là per un’installazione di fiori di carta. Le chiesi se le andava di curare l’aspetto grafico del cd e devo dire che accettò con entusiasmo. Non immaginavo cos’avrebbe creato. Il suo lavoro fu da vera artigiana, nel senso più nobile, realizzò un numero esorbitante, a mano, con copertine davvero notevoli.
Se non erro le copie erano trecento…
Trecento, esatto.
Bene, veniamo al contenuto del cd. Chi è Flo?
Sta per Floriana Asperti, un’artista di Bergamo ora trasferita in Spagna con cui ho collaborato durante la mia permanenza nella sua città. La prima traccia (e la terza) sono un omaggio a quella che si può definire la prima esperienza musicale che più ha influito per il mio futuro percorso. La sua casa, appunto, come un nuovo inizio.
Il quinto brano è invece un esplicito omaggio al jazzista Paolo Fresu…
Ho cercato di riprodurre con la voce alcuni suoni tipici della tromba, artista di cui in tanti siamo debitori.
Mentre la traccia successiva…
Beh, qui naturalmente ho voluto omaggiare Demetrio Stratos, concentrando sull’intera traccia gran parte delle tecniche da lui utilizzate.
È evidente che niente nasce per caso, e la rielaborazione dei maestri risulta spesso – non sempre – come punto di partenza, talvolta come punto d’arrivo. Peculiari sono tre tracce, intitolate spudoratamente “senza traccia”, in cui regna il silenzio. Una negazione della musica?
Non proprio, diciamo che fungono da spartiacque tra due poli opposti: le prime sei tracce hanno un carattere diffuso nei vari brani, mentre il finale è a sé stante.
Insomma, qui il nome omaggiato è assente. “Senza traccia” è il silenzio, ed il silenzio ha un solo nome: John Cage.
Assolutamente sì.
Lasciando da parte “Riunione di condominio” che è semplicemente spassoso – risi ignomignosamente durante la tua performance al museo di Porto Torres, conquistandomi le antipatie di molti astanti – diamo in conclusione uno sguardo al lato più intimista della tua ricerca. Quanto ha influenzato la tua religiosità nell’approccio con questo tipo di lavoro vocale?
È senza dubbio un’operazione molto meditativa, per i suoni che ricordano vocalità tibetane, mongole, berbere, e perciò non si tratta di una ricerca cerebrale. Direi piuttosto di un percorso interiore, tanto che in alcuni frangenti percepisco il suo lato soave ed etereo che assume sfumature davvero inquietanti.
Direi che è perfettamente in accordo col nostro essere, dapprima uomini, poi, forse, talvolta, buoni ascoltatori.
Edizione esaminata e brevi note
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