Dopo aver letto il libro di Soheila Beski non ho potuto non sorridere. Perché “Particelle” è un libro maliziosamente divertente. Non so perché ma ho immaginato che la scrittrice ed intellettuale iraniana si sia sollazzata, persino con discreto godimento, nell’infierire sottilmente contro il genere maschile. Riconosco che, tutto sommato, non sia neppure troppo difficile. Basta osservare con un minimo di attenzione i comportamenti e gli atteggiamenti di un qualsiasi appartenente a tale gruppo umano per rilevare almeno qualche decina di punti deboli. Se poi si ha la possibilità di scavare un po’ più a fondo nella loro mente e nelle loro emozioni il numero delle incrinature aumenta ulteriormente. A Soheila Beski è piaciuto avventurarsi nella coscienza, non troppo pulita e non troppo leale, di un sessantenne iraniano. Insomma: una donna che si prende la libertà di “incarnarsi”, con ironia e lucidità, in un uomo e di pensare/parlare come farebbe lui. Un espediente letterario non originale, questo è ovvio, ma il risultato è decisamente riuscito e anche piuttosto brillante.
Conosciamo il protagonista di “Particelle” esattamente il giorno del suo sessantesimo compleanno. “I miei compleanni iniziano sempre con un incubo, perché contrariamente a tutti quelli che festeggiano il loro arrivo nel mondo come un giorno fausto, io mi sento in lutto“. È sposato con Leila ed ha due figli adolescenti indolenti e noncuranti che si accontenta di veder crescere. Lavora presso un ufficio qualunque. “Il nostro ufficio è una delle filiali di uno dei dipartimenti di uno dei ministeri che si sono diramati nella città allungandosi per i vicoli e vicoletti come un groviglio di radici e una ramificazione venosa“. Ed ha un’amante. Lei si chiama Sara, ha trent’anni ed abita nello stesso palazzo in cui vive il nostro innominato. Proprio nel giorno del suo compleanno, però, il destino si prepara a sparigliare la sua esistenza e a far vacillare quel mondo di solide apparenze e di ondeggianti equilibri che l’uomo ha preferito costruirsi attorno pur di non complicarsi la vita o crearsi seccature.
Ovviamente a scatenare la tempesta non può essere che Sara. Molti conoscono il suo ruolo, ma Leila non lo immagina neppure. Leila è troppo forte, gelosa ed aggressiva per tollerare che suo marito possa frequentare un’altra donna. L’uomo la conosce fin troppo bene per questo la teme e cerca di non destare in lei alcun sospetto. Le sue strategie per difendersi dal prossimo, in generale, sono sempre le stesse e ben collaudate. “Quando mi trovo di fronte ad una domanda pericolosa, metto in atto un immediato cambiamento di strategia: inverto le parti e comincio io a tempestare di domande il ficcanaso. Questa tattica è utilissima a distrarre dall’argomento principale della discussione e più il tono riesce ad essere aggressivo, più il metodo funziona“. Una condotta che forse figura già tra gli stratagemmi de “L’arte di ottenere ragione” di Schopenhauer e che gli uomini sembrano adottare a qualunque latitudine.
Il maschio iraniano diviene responsabile delle proprie colpe molto più tardi rispetto alle femmine iraniane. E il nostro neo-sessantenne non ha alcuna intenzione di confessare a sua moglie alcuna colpa, figuriamoci un tradimento: “…anche se ti sorprendono a culo nudo in compagnia di una donna che non è tua moglie. Spetta a loro trovare quattro testimoni maschi imparziali che facciano passare un capello tra l’adultero e l’adultera. Se riesci a dominare la paura, il muro del diniego può essere più lungo della Grande Muraglia cinese“. Il problema è che la storia con Sara, seppur iniziata come tutti gli innamoramenti, con passione ed ardimento, è ormai diventata noiosa e il nostro (anti)eroe vuole “sgravarsi” da questo impegno prima possibile e con estrema discrezione. Una discrezione che Sara, aggressiva e scaltra come tutte le donne di questo romanzo, non garantisce affatto.
Non ci sono dubbi, il personaggio costruito da Soheila Beski concentra in sé alcuni dei peggiori difetti possibili: è opportunista, cinico, debole, egoista, pavido e particolarmente meschino. Le norme sociali sono utili al suo quieto vivere ma non manca di criticare sarcasticamente tutte le strutture di cui egli stesso fa parte. La sua condizione di maschio iraniano gli consente di approfittare di un’elasticità e di accomodamenti di cui, altrimenti, non potrebbe godere. La vita reale nasconde insidie e trappole da cui il protagonista scopre di poter sfuggire comodamente stando seduto su una poltrona, davanti ad un computer collegato ad Internet. La dimensione virtuale diviene quindi un’opportunità di evasione dalle complicazioni reali rimanendo se stessi senza essere obbligati a rivelarsi davvero. La virtualità è infatti uno spazio infinito e multiforme, oltre che densamente popolato, da cui farsi assorbire e in cui potersi ri-creare ogni volta che serve. Soprattutto quando la vita vera si fa troppo complicata o troppo monotona.
Edizione esaminata e brevi note
Soheila Beski, “Particelle“, Ponte33, Roma, 2013. Traduzione dal persiano di Mario Vitalone. Titolo originale “Zarre” (2009).
Pagine Internet su Soheila Beski: Scheda Ponte33
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