Capita che nei paraggi, d’estate, si organizzino incontri sorprendenti. Così, un pomeriggio d’agosto salgo fino a Palazzo Ducale per seguire un documentario. Si intitola “Iran: Unveiled and Veiled Again“, opera di una documentarista iraniana che risponde al nome di Firouzeh Khosrovani. Un’occasione per ascoltare e capire meglio un paese come l’Iran e per svelarlo attraverso lo sguardo e la sensibilità di una donna. In tale circostanza ho potuto anche scoprire una casa editrice di cui non sapevo nulla. Si tratta di Ponte33, un progetto editoriale che ha preso vita nel 2009 con un proposito preciso: diffondere la letteratura persiana contemporanea in Italia e all’estero, “presentare una produzione culturale autentica, molto diversa dagli stereotipi infarciti di chador e di veli che ormai hanno invaso il mercato editoriale. Una produzione variegata e multiforme, in cui la letteratura, ancor più del cinema e delle arti visive, ha un posto di primo piano nello svelare le contraddizioni, queste sì vere e dolorose, che si agitano all’interno di società nelle quali la contemporaneità si trova a convivere con resistenze antiche e nuove opposizioni. E nel mettere in luce come la collisione tra queste tensioni produca anche uno straordinario dinamismo, che cambia le mentalità senza spezzare la trama forte delle identità, e della storia“. Oltre a Firouzeh Khosrovani, infatti, si è unita al dibattito anche la professoressa Bianca Maria Filippini, una delle fondatrici di Ponte33, che ha portato con sé due libri: “Particelle” di Soheila Beski e “Probabilmente mi sono persa” di Sara Salar. Li ho comprati entrambi, ovviamente. Per curiosità, per interesse, per capire, per parlarne.
E ho deciso di partire da “Probabilmente mi sono persa” di Sara Salar. Un libro che non ci si aspetta perché esce brutalmente da tutti gli stereotipi o da tutte le convenzioni che solitamente si associano all’Iran e alle donne iraniane. C’è modernità stilistica e modernità tematica. Una storia profondamente femminile che pone al centro dell’attenzione il malessere tutto contemporaneo di una donna che vive a Teheran, una città caotica e fremente, proprio come ogni metropoli. “Lo squillo del telefono mi rintrona nella testa. Allungo di malavoglia una mano verso l’apparecchio per abbassare la suoneria prima che il cervello mi si rovesci sul letto… scatta la segreteria… è Keyvan. Vuole sapere se sono a casa. Non rispondo. Provo a sollevare la testa dal cuscino e realizzo solo in questo momento com’è pesante. Attraverso lo strato di vapore che mi annebbia la mente, guardo l’orologio sul comodino: sono le dieci? Le undici? Le dodici?“.
Conosciamo così la protagonista: una donna che deve aver bevuto decisamente troppo, che si sveglia confusa e con un occhio pesto di cui non sapremo mai l’origine. Ha trentacinque anni, un figlio di cinque che crede di aver infilato in un taxi e spedito all’asilo, quasi sicuramente. Un pensiero ricorre come una vertigine: Gandom. L’ex amica Gandom. Conosciuta al primo anno di liceo e poi perduta. Si presenta nei sogni, si intrufola nei ricordi, si fa rimpianto e smarrimento. “Come era potuto succedere che quel giorno, al liceo, tra tutte quelle ragazze, lei guardasse proprio me, che sorridesse proprio a me?… ridicolo! In tutta la mia vita non mi era mai capitata una cosa così: tra tutte quelle ragazze, una mi guardava e mi sorrideva“. Gandom è bella, è sfrontata, è magnetica, è eccitante. Tutto ciò che la nostra protagonista sa di non essere. La seguiamo così in un viaggio in macchina tra le frasi ad effetto, posticce e plastiche, dei cartelloni e della radio mentre si susseguono flash back che ci rimbalzano dal presente al passato e viceversa: c’è la città col suo traffico e la sua confusione, c’è un dialogo/confessione con uno psicologo e c’è Gandom, luminosa come un miraggio.
Lo straniamento della donna si fa tangibile. Così come sembrano palpabili le sue paure e le sue inadeguatezze. Teme di non essere una buona madre. Teme che le avances che le riserva un amico del marito non le dispiacciano poi così tanto come sarebbe giusto. Ma ci sono regole e ruoli che vanno rispettati. Ci sono limiti da ristabilire e equilibri da non forzare. Tutto si fa difficile, però. E ci si perde in fretta, ci si perde inevitabilmente. Sara Salar si è addentrata in territori difficili da raccontare a qualsiasi latitudine ma che, forse, sembrano ancora più complicati quando appartengono ad un mondo e ad una cultura che appaiono caparbiamente sovrastati da un conformismo morale che non può concede disorientamenti né cedimenti. Invece la protagonista della storia cova profonde fragilità ed intime inquietudini che la conducono regolarmente in conflitto con se stessa e con ciò che dovrebbe essere e non è. Attrazione e repulsione diventano così una costante. La scrittura ha un ritmo frammentario e compulsivo, si sgretola in minuscole particelle ed è infarcita da una miriade di puntini di sospensione, segni evidenti della frenesia ma anche dell’esitazione di chi parla. Il libro della Salar ha ottenuto un grande apprezzamento in patria anche se, come ha spiegato lucidamente la Filippini, in Iran ogni volta che un’opera raggiunge una certa fama rischia di incorrere nella censura, esattamente ciò che è accaduto anche a “Probabilmente mi sono persa” che è stato messo al bando dalle autorità iraniane.
Edizione esaminata e brevi note
Sara Salar è nata nel 1966 nella piccola cittadina di Zahedan, nell’area sud-est dell’Iran. Si è laureata in Letteratura Inglese presso l’Università di Teheran. “Probabilmente mi sono persa” è il suo primo romanzo ed è stato pubblicato nel 2009. Il libro ha ottenuto grande successo: quattro edizioni, più di 30mila copie vendute e si è aggiudicato il “Golshiri Literary Award” e un altro riconoscimento da parte di “Iranian Literature Today”. “Probabilmente mi sono persa” rappresenta la prima traduzione in una lingua straniera ma il romanzo di Sara Salar sta per essere tradotto anche in tedesco e in inglese. La scrittrice è sposata dal 1992 con Sorush Sehat, attore, sceneggiatore e regista iraniano, ed ha un figlio. Dopo un paio di anni di attesa, la Salar ha ottenuto il permesso dalle autorità iraniane per la pubblicazione del suo secondo romanzo, “Is it or not“, uscito all’inizio del 2014 e non ancora tradotto.
Sara Salar, “Probabilmente mi sono persa“, Ponte33, Civitavecchia (Roma), 2014. Traduzione dal persiano di Jasmine Nassir. Titolo originale “Ehtemalan gom shode am” (2009).
Pagine Internet su Sara Sala: Scheda Ponte33 / Gazelle International
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