Digiunare è un’arte. E non vuole essere un elogio dell’anoressia, sia chiaro. Digiunare è un’arte in senso stretto. Meglio: è stata una forma d’arte in senso stretto. Soprattutto tra la metà dell’800 e i primi del ‘900. I digiunatori erano uomini e donne in grado di sfidare la fame per giorni e giorni, persone che del loro digiuno facevano mostra e vanto. La presenza di questi individui che rinunciavano al cibo attirava migliaia di persone e, se raggiungevano una discreta fama, potevano guadagnare anche parecchio. Come nel caso dell’italiano Giovanni Succi, uno dei digiunatori più famosi del tempo, che si esibiva in tutta Europa. I digiunatori venivamo messi in mostra pubblicamente come accadeva per tutti i fenomeni umani stravaganti, mostruosi ma incantevoli, repellenti ma affascinanti: dalla donna barbuta ai gemelli siamesi, dagli albini ai giganti. Il digiuno era, appunto, una delle varietà artistiche del tempo e gli uomini-scheletro ne rappresentavano la personificazione.
È grazie al breve saggio “Kafka e i digiunatori” di Raoul Precht, incluso in “Kafka e il digiunatore”, che ho scoperto questo piccolo mondo dimenticato. Perché, in effetti, dei digiunatori di mestiere si è perduta quasi ogni memoria. Una forma di meraviglia che gradualmente ha smarrito la propria attrattiva. Lo scrive lo stesso Franz Kafka all’inizio del racconto “Un digiunatore“, anch’esso incluso in questo piccolo libro pubblicato da Nutrimenti: “Negli ultimi decenni l’interesse per i digiunatori è molto diminuito. Mentre prima valeva la pena allestire per proprio conto simili spettacoli, oggi questo è del tutto impossibile. Erano altri tempi. All’epoca tutta la città si occupava del digiunatore; a ogni giorno di digiuno la partecipazione aumentava; tutti volevano vederlo, non fosse che una volta al giorno; negli ultimi giorni certi abbonati sedevano per intere giornate davanti alla piccola gabbia con le sbarre; anche di notte si tenevano delle visite, per aumentare l’effetto grazie alla luce delle fiaccole; col bel tempo la gabbia veniva trasportata fuori, e allora il digiunatore veniva mostrato soprattutto ai bambini; mentre per gli adulti il più delle volte non costituiva che un divertimento a cui partecipavano perché andava di moda…“. Kafka scrive “Un digiunatore” nel 1922 ed, evidentemente, già al tempo l’arte del digiuno aveva perso il suo fascino e, soprattutto, aveva perso spettatori.
“Kafka e il digiunatore”, pur essendo formato da un centinaio di pagine, è un libro piuttosto articolato. Infatti, oltre a “Un digiunatore”, il bel racconto di Kafka (con versione originale in tedesco a fronte), oltre al saggio “Kafka e i digiunatori”, contiene anche un altro scritto: “Il digiunatore involontario” di Raoul Precht. Chi è questo digiunatore involontario protagonista della storia? Ovviamente Franz Kafka. E il cerchio pare chiudersi o, se vogliamo, aprirsi ulteriormente. Precht racconta gli ultimi momenti di vita dello scrittore e lo fa creando un sottile ed allettante parallelismo tra quegli uomini-scheletro che si esibivano nelle più grandi città europee e un uomo-scheletro ormai prossimo alla fine: “Ormai da diverse settimane, in quelli che sa essere gli ultimi giorni, il digiuno alimentare e comunicativo è diventato la cifra della sua esistenza: non solo non può più ingerire quanto Dora, la sua compagna, amorevolmente gli prepara, ma non riesce neanche più a parlare, e se davvero vuole qualcosa, da Dora o da chiunque altro, deve affidarsi all’alea della scrittura quale unico mezzo di trasmissione delle proprie idee o di quel che niente che resta della sua volontà“.
È un Kafka ridotto allo stremo. Digiuna perché la tubercolosi non gli lascia scampo. Cerca di correggere le bozze di alcuni racconti che sa che non potrà mai vedere pubblicati. È il giugno del 1924, lo scrittore si trova nel sanatorio di Kierling, presso Klosterneuburg, in Austria, lì dove Dora ha deciso di trasferirlo per farlo curare meglio ma le speranze di salvarlo sono praticamente nulle. E pensare che solo un paio d’anni prima era un altro uomo: possedeva ancora vigore e determinazione. Attraversava qualche crisi creativa, ma gli bastava lasciare il romanzo che andava scrivendo dedicandosi temporaneamente ad un racconto per ritrovare la giusta concentrazione. E in quel 1922 aveva scritto proprio “Un digiunatore”, una figura che, a distanza di pochissimi anni, sembra rispecchiarlo in maniera impeccabile. “L’ironia con cui aveva cercato di definire sotterraneamente, per il tramite della figura del digiunatore, la propria identità d’artista (e quindi il pathos ironico che pervadeva tutto il racconto) era confermata dall’intuizione di vedere nell’artista null’altro che una patetica figura circense, esposta all’arbitrio del pubblico. Se è unicamente la riuscita economica ovvero il successo, ragionava, a conferirgli un suo status preciso, se anzi la riuscita economica è l’unica chiave che consenta di determinare la condizione essenziale dell’arte, nel momento in cui il pubblico gli volge le spalle l’artista non sarà improvvisamente più tale, benché sia convinto di riuscire a trarre il massimo dall’arte proprio allora, quando nessuno lo guarda o lo disturba più“.
Edizione esaminata e brevi note
Raoul Precht, “Kafka e il digiunatore“, Nutrimenti, Roma, 2014. Con il racconto “Un digiunatore” di Franz Kafka.
Pagine Internet su Franz Kafka: Wikipedia / Enciclopedia Treccani / The Kafka Project / Kafka online / Viaggio in Austria / Scrittura immanente
Pagine Internet su Raoul Precht: Sito ufficiale / Auterenlexikon / Wikipedia /Facebook
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