Paul Glaser non è uno scrittore di professione. Eppure, come fanno in tanti, ha scritto un libro: “Tante Roosje” tradotto in Italia con “Ballando ad Auschwitz”. Un libro che è, nel contempo, un diario, un romanzo, una biografia e un memoriale. Al centro di “Ballando ad Auschwitz” c’è il racconto in prima persona di zia Rosie, sorella di suo padre, ma c’è anche la scoperta del misterioso passato personale e familiare di Paul Glaser. Un segreto in cui Paul è inciampato quasi per caso quando qualcuno gli ha fatto notare che il suo cognome non era tipico dell’Olanda, il suo Paese natale, ma ebreo e particolarmente diffuso a Vienna prima della seconda guerra mondiale. Cresciuto secondo la cultura e la religione cattoliche, Paul Glaser non ha dato troppo peso a questa osservazione ma, col tempo e dopo alcune strane coincidenze, ha scoperto qualcosa di sé e della sua famiglia che non gli era mai stato rivelato. E sua zia Rosie è stata di certo la scoperta più intrigante.
Rosie nasce in Germania nel 1914 in una ricca famiglia ebraica che, dopo alcuni anni, si trasferisce in Olanda. E’ una ragazza piena di verve e decisamente bella, ribelle ed anticonvenzionale. Ha molti ammiratori fin da giovanissima e diversi amori. La sua passione più grande è il ballo che diviene, qualche tempo più tardi, la sua professione. Dopo aver perso l’uomo amato a causa di un incidente aereo, Rosie ritrova la sua forza e la sua dimensione ideale grazie alla danza. Sposa Leo, proprietario della scuola di ballo dove insegna ma è proprio Leo, simpatizzante nazista, con i suoi comportamenti a far allontanare Rosie la quale divorzia dopo aver avuto un amante. Intanto il nazismo prende sempre più piede in Olanda e per un’ebrea come Rosie continuare ad insegnare diventa complicato. Allestisce una sala da ballo nella soffitta della casa dei suoi genitori e continua ad organizzare lezioni, feste ed eventi. Sfugge in ogni modo alle restrizioni imposte agli ebrei ma presto il suo ex marito la denuncia alla Gestapo. Per qualche tempo riesce a scamparla grazie a dei documenti falsi che lei stessa confeziona per sé e sua madre ma, poco più tardi, viene nuovamente tradita. Il suo ex amante Kees, infatti, la “vende” ai nazisti. Rosie è internata nel campo di smistamento di Westerbork.
Rosie parla benissimo il tedesco, è intelligente, affascinante, spiritosa e ha sempre vissuto liberamente. Grazie alla sua esuberanza e al suo talento ottiene il permesso di organizzare spettacoli musicali all’interno di Westerbork. Presto diviene l’amante del responsabile del campo per l’Emigrazione ebraica e, per qualche tempo, riesce ad evitare la deportazione. Nel febbraio del 1943, però, l’amico di Rosie viene trasferito e lei finisce prima nel campo di Vught e poi ad Auschwitz. È nel famigerato “Blocco 10”, quello in cui i dottori Mengele e Clauberg conducono i loro disumani test scientifici. Rosie, come tante altre donne, è usata come cavia e, tra i vari esperimenti a cui viene sottoposta, vi è anche la sterilizzazione. Nonostante tutto, la ballerina non demorde e si tiene attaccata alla vita in ogni modo. Si prende cura di molti prigionieri e riesce addirittura ad insegnare qualche passo di ballo alle SS. Anche Rosie, come altri sopravvissuti, è costretta ad una lunga marcia della morte. Giunge comunque viva a Ravensbruck e finalmente a Berlino dove si inventa una nazionalità svedese che non possiede per poter essere soccorsa dalla Croce Rossa. Viene scambiata con tre prigionieri tedeschi e, finalmente, dopo l’inferno dei campi di sterminio, torna libera.
Rosie sceglie di restare in Svezia. L’Olanda le sembra un Paese ancora troppo ostile nei confronti degli ebrei. Dopo la Guerra e dopo l’Olocausto, infatti, l’antisemitismo appare ancora più radicato e forte di prima. John, fratello di Rosie e padre dell’autore di questo libro, sceglie come tanti di passare oltre, di dimenticare. Rosie viene considerata un’amica dei tedeschi, oggetto di risentimento ed odio. I rapporti si interrompono e tra Rosie e John cala un silenzio lungo diversi decenni, un silenzio intriso di memoria e di affetti familiari congelati che solo Paul, con una discreta dose di curiosità e desiderio di capire, è riuscito a rompere. Paul incontra sua zia Rosie quando la donna è ormai anziana. Grazie ai tanti documenti conservati da Rosie, grazie alle numerose foto miracolosamente scampate alla distruzione, molte delle quali fanno da corredo alla storia narrata in “Ballando ad Auschwitz”, Paul ha recuperato il passato della propria famiglia e, soprattutto, parte della sua identità. Come scritto inizialmente, Paul Glaser non è uno scrittore di professione, il suo approccio alla narrazione è molto semplice e lineare. Un libro documentale e biografico che, comunque, tralasciando gli aspetti meramente letterari, rimane interessante e, soprattutto, racconta la vita di una donna incredibile che stupisce per la sua energia, per il suo carattere e la sua inesauribile voglia di vivere.
Edizione esaminata e brevi note
Paul Glaser, “Ballando ad Auschwitz“, Bompiani, Milano, 2014. Traduzione di Alberto Cristofori. Titolo originale: “Tante Roosje” (2010).
Pagine Internet su Paul Glaser: Scheda (en) / Sito del libro (en)
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