Un processo a Dio. È possibile: giudici umani che mettono sotto accusa il loro creatore. Perché anche Dio può e deve rispondere delle proprie colpe. È onnipotente ma non agisce. È onnisciente ma continua a tacere. Certo è che “Il processo di Shamgorod” di Elie Wiesel è un’opera molto particolare e molto affascinante. Stiamo parlando di una pièce teatrale in tre atti. Una manciata di personaggi ed un pogrom, uno dei tanti. Shamgorod è un villaggio dell’Europa orientale. È il 25 febbraio del 1649, giorno di Purim, la festa ebraica che somiglia al Carnevale. Un giorno di gioia, allegria, maschere e sogni. Nella taverna di Berish arrivano tre attori girovaghi che non sanno nulla di quanto è avvenuto non molto tempo prima in quel piccolo sobborgo. D’altro canto loro vorrebbero semplicemente bere qualcosa e recitare il Purimspiel (recita di Purim) per gli ebrei del luogo. Peccato però che a Shamgorod di ebrei non ce ne siano più. A parte Berish e sua figlia Hanna, unici sopravvissuti alla strage.
Berish accetta lo stesso di assistere ad un Purimspiel. Ma ben presto la recita si tramuta in una discussione più radicale che mescola i ricordi con la speranza e con la paura e col male. Qual è l’implicazione di Dio? Berish non ha dubbi: “Gli uomini e le donne si fanno uccidere, torturare, massacrare: e lui non dovrebbe farci paura? Un uomo che soffre o che fa soffrire, una donna che muore o che dà la morte, un bambino che perisce, non possono non implicare Dio! O è responsabile o non lo è, se lo è, giudichiamolo, se non lo è, che smetta di giudicarci!“. Ed è così che il taverniere e i suoi ospiti improvvisano un vero falso processo a Dio, un processo di Purim, un processo per gioco. Ma comunque un processo. Dio è l’imputato. Berish il procuratore. I tre attori girovaghi sono la Corte. La serva Maria, non ebrea, vuole impersonare il pubblico. Manca però l’avvocato difensore. Chi difenderà Dio dalle accuse che gli vengono mosse? Difficile. Eppure alla fine anche questo impaccio viene risolto. Sarà lo sconosciuto amante di Maria, un certo Sam, tornato chissà come nella locanda di Berish a sostenere la difesa di Dio.
La farsa può quindi aver inizio. Le accuse mosse contro Dio sono chiare, il Procuratore le pronuncia impettito: “Io, Berish, taverniere ebreo di Shamgorod, accuso il Signore dell’Universo di ostilità, di crudeltà e di indifferenza; cancellare la menzione inutile secondo il caso e il luogo. Dico come la penso; perché così la penso: o lui non ama il suo popolo eletto o se ne infischia. Ciò che è certo è che la nostra sorte non sembra preoccuparlo. Allora perché ci ha scelto? Perché noi, e non un altro popolo, per cambiare? Delle due l’una: o sa ciò che ci accade o non lo sa. In entrambi i casi, ehm, in entrambi i casi è colpevole“. Le prove viventi di un’accusa tanto grave sono Berish e sua figlia, unici ebrei ad essere stati risparmiati dal pogrom che ha annientato tutti gli ebrei del villaggio. Il resto è perduto, forse anche la fede. Il difensore Sam perora la causa del suo illustre cliente incolpando gli uomini e solo loro: “Uomini e donne si uccidono fra di loro, e voi mettere Dio fra gli assassini, mentre invece si trova fra le vittime. In altre parole, mio caro Procuratore, Dio è vittima, della sua creazione forse“. La discussione procede per alcune pagine. È veemente, vivace, sorprendente. Un ribattere di motivazioni e accuse e spiegazioni e critiche e giustificazioni.
Il silenzio di Dio è uno dei grandi inspiegabili misteri che inquinano, giustamente, l’anima dei sopravvissuti. Ed Elie Wiesel è un sopravvissuto proprio come lo è il suo Berish. Dell’indifferenza di Dio ha parlato in tanti suoi libri, primo fra tutti “La Notte”: “Mai dimenticherò quegli istanti che assassinarono il mio Dio e la mia anima“. Per un essere umano che ha vissuto Auschwitz mettere in dubbio la stessa esistenza di Dio è il minimo. Del libero arbitrio di cui ogni uomo è portatore si è parlato e si parla spesso eppure, seguendo il dialogo tra il taverniere e Sam, il solo libero arbitrio non può giustificare o spiegare l’indifferenza di Dio di fronte agli orrori perpetrati dagli uomini. Assolvere il Creatore rimane un’impresa ardua, complicatissima. Perché giustificare Dio a spese degli uomini, sue creature, appare comunque un atto ipocrita che nulla ha a che fare con la giustezza. Cosa fare? Ridurre Dio ad immagine umana? Forse ripensare radicalmente la sua natura rivisitando le prerogative di cui è portatore?
Edizione esaminata e brevi note
Elie Wiesel è nato nel 1928 a Sighet, in Transilvania. Nel 1944 è stato deportato ad Auschwitz e, poco più tardi, a Buchenwald. Nei campi di sterminio nazisti ha perso i genitori e la sorella Zipporà. Fu liberato il 10 aprile del 1945. Dopo la guerra ha studiato e lavorato come giornalista in Francia, successivamente si è trasferito negli Stati Uniti, dove vive tuttora. Wiesel è autore di decine di romanzi, saggi e testi teatrali. Nel 1986 gli è stato assegnato il Premio Nobel per la Pace. Wiesel è morto nella sua casa di Manhattan, New York, il 2 luglio 2016.
Elie Wiesel, “Il processo di Shamgorod“, La Giuntina, Firenze, 1988. Traduzione di Daniel Vogelmann. Titolo originale “Le procès de Shamgorod tel qu’il se déroula le 25 février 1649”, Editions du Seuil, Paris, 1979.
Pagine Internet su Elie Wiesel: Wikipedia / Fondazione Elie Wiesel /Enciclopedia Treccani / Scheda Premio Nobel
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