Se Kafka non fosse esistito, non ci sarebbe stato neppure “Il paradosso del controllore” che a Kafka, oggettivamente, deve molto. Gli deve le atmosfere surreali e grottesche e gli deve, soprattutto, un protagonista vittima di eventi a cui non sa porre rimedio, nonostante sforzi e volontà. “Il paradosso del controllore” è la storia di un innocente che viene precipitato, suo malgrado, dentro un inspiegabile purgatorio. La sua colpa? Aver perso il treno. Il protagonista non ha un nome e neppure una faccia. Di lui sappiamo che ha una certa età, tratti comuni e media statura. Un personaggio impersonale, in buona sostanza. Non sappiamo da dove arrivi né dove sia diretto. E non sapremo neppure dove sia andato a finire.
“Si trattava di un anonimo viaggiatore che le circostanze del caso avrebbero poco a poco privato della condizione di viaggiatore e forestiero fino a convertirlo nel controllore, depositario esclusivo del termine“. Ebbene, il nostro anonimo viaggiatore scende dal treno per riempire una bottiglia d’acqua. Entra nel bar della stazioncina fatiscente di un luogo altrettanto fatiscente e non si rende conto che, nel frattempo, il treno riparte senza di lui. Ha lasciato nel vagone la sua giacca, il suo bagaglio, i suoi soldi, i suoi documenti e, di conseguenza, persino la sua identità. Non ha null’altro che una bottiglia di vetro verde colma d’acqua per cui non gli resta che cercare il controllore ed aspettare il treno successivo. Esattamente quello che farebbe qualsiasi viaggiatore. Ma la letteratura non è roba qualsiasi e Bayal detta le regole del paradosso: i treni di passaggio sono ormai rarissimi e del controllore neppure l’ombra. La città non è più quella di un tempo. Di un passato glorioso non resta che qualche lurido rimasuglio e una stazione in cui non passano treni se non per qualche stravagante capriccio del fato.
L’anonimo si ritrova incastrato in un luogo che non sa, dentro eventi che non controlla e di cui non immagina neppure gli esiti. Con sé non ha nulla e l’attesa di un treno che non arriva lo trasforma presto in una sorta di fenomeno di provincia. Da passeggero diviene, a tutti gli effetti, il controllore. Chi altri, infatti, può tenere sotto controllo l’andamento dei treni se non lui che, per l’appunto, non ha altro obiettivo che quello di veder arrivare un treno? Obiettivo senza esito, s’intende.
In questo paradossale limbo, il viaggiatore senza nome ha modo di incontrare figure dal fascino inquietante e dall’esistenza grottesca. Dal giovane barista diviso, come tutti i giovani, tra le bravate e l’indecisione al nostalgico venditore di cialde divenuto tale per una sorta di fervore mistico. Dal Cristo profetico col quale è facile ubriacarsi lungo un calvario fatto di taverne allo straccivendolo esperto nell’arte di sbucciar arance. Dal guardiano del passaggio al livello divenuto sordo esattamente all’età di suo padre e in perfetta sincronia con suo fratello gemello alla ragazza che vaga senza meta e senza proferir parola tra le stradine del centro. Ovviamente ridursi allo status di mendicante, per il viaggiatore, diviene quasi automatico. Non sa di che vivere né come tornare a vivere come saprebbe. Indossa un vecchio giaccone che qualcuno deve pur avergli donato e, quando può, si ritira in un cantuccio a leggere dei misteriosi fogli scritti a mano contenuti in una busta azzurrognola ormai consunta.
Come capita a tutti gli emarginati, anche il nostro anonimo è oggetto di scherno e derisione. Molti lo conoscono solo per l’assurdo fenomeno che rappresenta e tanti altri lo dileggiano solo perché sanno di essere più forti. Viene persino pestato a sangue e curato in un ospedale dal quale, comunque, viene cacciato appena si scopre che non può pagarsi alcuna cura. Non trova asilo in nessun luogo, per questo deve inventarsi una casa e raccogliere tra i rifiuti tutti gli oggetti di cui può aver bisogno. Il controllore, evidentemente, non può controllare un bel niente. Neppure la sua stessa esistenza.
Il libro di Bayal scorre lentamente tra pagine fitte di parole e prive di autentici dialoghi. “Il paradosso del controllore” è composto da capitoli brevi che si snodano personaggio dopo personaggio, accadimento dopo accadimento. La storia, ben scritta e ben articolata, di un pellegrinaggio umano senza meta e senza ragione. Non riconosco, però, un’originalità spudorata né un’opera dalla singolarità autentica. Si sente immensamente il peso di Kafka, così come potrebbe sentirsi il fiato del Beckett di “Aspettando Godot”. Il talento di Bayal, evidentemente, sta nell’essere riuscito ad assorbire la dottrina di grandi maestri e nel rielaborarla a modo suo. Una lettura comunque brillante ed affascinante seppure, temo, adatta a lettori più esperti e smaliziati.
Edizione esaminata e brevi note
Gonzalo Hidalgo Bayal, “Il paradosso del controllore“, Edizioni Socrates, Roma, 2014. Traduzione dallo spagnolo di Daniela Simula e Simonetta Nove. Titolo originale: “Paradoja del interventor“, Tusquets Editores, Barcelona, 2006.
Pagine Internet su Gonzalo Hidalgo Bayal: Wikipedia (es) / Blog / Ammiratori di Bayal (Facebook)
Follow Us