Prima di entrare nella Risiera di S. Sabba sono stata costretta a fermarmi. In alto, a destra e a sinistra, i due alti muri grigi in cemento armato. Non potevo accedere a quel luogo come in qualsiasi altro. No. Ho dovuto rallentare e respirare e pensare. Stavo per entrare nell’unico campo di sterminio esistente in Italia. Stavo per guardare ciò che resta di un mondo che per diverse migliaia di persone ha rappresentato la distruzione allo stato puro. Ed è in quel cortile, tra quelle mura nude e rossicce, in quell’enorme spazio che è chiamato “La sala delle croci”, che è stata condotta la famiglia Szörényi. Siamo nel 1944 ed Arianna Szörényi ha solo 11 anni. E’ la più piccola dei Szörényi e S. Sabba, per lei e i suoi familiari, ha rappresentato solo una tappa verso Auschwitz.
“Se solo ora, a quasi ottant’anni, ho deciso di pubblicare queste pagine che da decenni giacciono in un cassetto e che sono ancora indelebilmente presenti nel mio animo, è perché una voce in più, una voce particolare, quella di una bambina deportata di undici anni, si unisca alle tante che con le loro sofferte memorie vogliono contrastare quelli che osano, mentre alcuni di noi sono ancora in vita, minimizzare, addirittura negare, quanto accaduto“. La volontà di Arianna è chiara. E somiglia alla volontà di tutti quei sopravvissuti che vogliono raccontare ciò che hanno vissuto, visto e sofferto. La Szörényi non fa letteratura e non è una scrittrice di professione. Il suo è il racconto quasi rudimentale, affranto ed ancora molto vivido di una bambina che è costretta a subire e vedere violenze per lei, e per chiunque, neppure immaginabili. Una bambina che viene separata a forza da una madre a cui è visceralmente legata e da una grande famiglia che adora.
Il padre di Arianna, Adolfo Szörényi, è un ebreo ungherese. Lavora come contabile nelle banca italo-ungherese della città di Fiume. Nella stessa banca lavora anche la triestina Vittoria Pick. I due si sposano nel 1917. Hanno otto figli: Edith, Stella, Daisy, Alessandro, Carlo, Rosalia, Lea e Arianna. Nel 1935 tutti i ragazzi vengono battezzati con rito cattolico. Edith, la sorella più grande, sposa un ufficiale italiano e va a vivere a San Daniele del Friuli. Ed è proprio in questa cittadina che tutta la famiglia Szörényi sceglie di trasferirsi nell’ottobre del 1943 per sfuggire ai bombardamenti che colpiscono Fiume. Ed è proprio in questa cittadina che avviene l’irreparabile: un impiegato municipale di fede fascista, collega di Stella, denuncia la presenza della famiglia ebraica. Il 16 giugno 1944 tutti i Szörényi vengono prelevati e portati prima ad Udine e poi a S. Sabba. “San Sabba è stata la mia prima prigione: avevo esattamente undici anni e due mesi. Per arrivare alla cella a noi destinata bisognava salire una scala pericolosa…“.
Dopo sei giorni in Risiera i Szörényi vengono stipati nei vagoni bestiame assieme a molti altri prigionieri. “La fame, la sete e l’arsura, la paura dell’incognito ci accompagnò per circa cinque giorni. In queste condizioni, esausti, assetati, affamati e sporchi con tanto terrore addosso entrammo ad Auschwitz! O meglio a Birkenau, il lager a tre chilometri da Auschwitz dove avevano allestito strutture di sterminio“. Dopo essere state separate dagli uomini, inizia per Vittoria Pick e le sue figlie la vita nel campo. Le perfidie delle Kapò, le aggressioni continue, la difficoltà per Arianna nel capire la lingua, la scarsità di cibo e di igiene. Arianna, numero matricola 89219, è tra le donne pur essendo una bambina. La madre e le sorelle le fanno portare un paio di scarpe col tacco ed un foulard in testa per farla apparire più grande dei suoi undici anni. Ma verso la fine di settembre i tedeschi compiono una selezione più accurata: Arianna viene destinata al “Kinderblock”, la baracca dei bambini.
Arianna vede sua madre e le sue sorelle solo una volta, attraverso la rete che separa i blocchi. L’ultima volta. Nel dicembre del 1944 inizia l’evacuazione dal campo. Inizia la “marcia della morte”. Un lungo cammino tra la neve verso il nulla. Ai nazisti serve un modo per liberarsi dei prigionieri ancora vivi, testimoni del loro scellerato progetto di sterminio. L’ultima estrema atrocità: stremarli fino alla morte. Arianna e il suo gruppo, oramai decimato, giungono a Ravensbrück. Poco tempo dopo la piccola fiumana è trasferita a Bergen-Belsen. Malata, denutrita, spettrale. Gli alleati, nell’aprile del 1945, la trovano così. Malata di tifo petecchiale, con un principio di TBC e i polmoni devastati dalla pleurite. Nei mesi successivi Arianna viene curata e le viene amputata parte di un alluce congelato.
“Una bambina ad Auschwitz” è la cronaca accurata e dolorosa di una sopravvissuta. Ennesima testimonianza di un abominio. La pubblicazione di testi del genere ormai non fa più né scalpore né notizia. Ci siamo un po’ assuefatti a questi racconti, probabilmente. Arianna ha comunque narrato la sua esperienza nei campi di sterminio nazisti per molti anni. Si è recata in tante scuole ed ha incontrato migliaia di studenti a cui ha “insegnato” la sua storia. Ora ha sentito solo il “dovere morale” di lasciarla per iscritto forse, semplicemente, per evitare che vada persa del tutto.
Edizione esaminata e brevi note
Arianna Szorenyi (figlia di Adolfo Szorenyi, ungherese, e Vittoria Pick, triestina) è nata a Fiume, in Italia, il 18 aprile 1933. Prima sfollata a S. Daniele del Friuli è stata qui arrestata nel 1944, assieme a tutta la sua famiglia, e condotta a S. Sabba. Dopo essere rimasta alcuni giorni nel campo di sterminio triestino, è stata deportata ad Auschwitz-Birkenau. Sopravvive a diverse selezioni e alla marcia della morte. Passa per i campi di Ravensbrück e Bergen-Belsen. Viene liberata dagli alleati nell’aprile del 1945. L’anno successivo, dopo essere stata curata, torna a S. Daniele del Friuli ma è costretta ad entrare in un orfanotrofio. Ottiene il diploma e si trasferisce a Milano. Per molti anni ha continuato a cercare i suoi familiari ma dai campi di sterminio è tornato vivo solo il fratello Alessandro.
Arianna Szörényi, “Una bambina ad Auschwitz“, Mursia, Milano, 2014. A cura di Mario Bernardi.
Pagine Internet su Arianna Szörényi: Una canzone nel lager (Aned) / Nomi della Shoah
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