Christian Bobin scrive in frammenti. E’ così. Le sue frasi sono frammenti: brevissime e penetranti. I suoi testi sono frammenti: veloci ed intensi. La brevità, come ho già scritto altrove, nulla toglie al peso di ciò che viene scritto. Anzi. Probabilmente ne addensa i contenuti, ne concentra il senso e ce lo restituisce molto più pregno e consistente. Per la lettrice che sono tutto ciò è perfetto. Mi rendo conto, però, che per molti altri leggere un autore come Bobin possa essere frastornante, faticoso e persino irritante.
“Mille candele danzanti” è un minuscolo zibaldone. La quarta di copertina, purtroppo, è vagamente fuorviante: “Un atto d’amore verso i libri, ovvero chi li legge, chi li scrive, che è un autore celebre, chi scribacchia nel tempo libero, chi scrive la propria storia vivendo… c’è un filo che unisce chi ama i libri. Mille candele danzanti è tutto ciò…“. No, “Mille candele danzanti” a me è sembrato parecchio più di tutto ciò. Lo si scopre leggendolo. I libri e la rivelazione della lettura sono solo alcuni dei contenuti affrontati da Bobin. “I grandi libri, i libracci, i giornali, va bene tutto a chi ama leggere, è tutto cibo per l’affamato. Da un lato chi non legge mai. Dall’altro chi non fa altro che leggere. Esistono proprio delle frontiere tra le persone. […] Chi è senza soldi manca di tutto. Chi è senza lettura manca della mancanza“.
Oltre ai libri, “Mille candele danzanti”, contiene donne e bambini e poesia e amore. Contiene una donna lasciata dall’uomo che ama. La stessa donna che, non potendo reggere il dolore, entra in cucina, chiude la finestra, apre il gas ed aspetta “e la sua anima le cade accanto“. Non muore ma si sveglia in ospedale. Con lei c’è tutto, tranne l’anima. E lei continua a vivere un presente qualsiasi per parecchio tempo. Ma poi accade qualcosa che somiglia a certi piccoli miracoli. La donna, un giorno, legge Rilke. E qualcosa si smuove: “tutti gli uccelli dell’anima che tornano verso di te quando apri la voliera d’inchiostro“. La donna, ormai tornata in possesso dell’anima caduta, decide di scrivere a Rilke, una storia di resurrezione che diventa un manoscritto che nessuno vuole pubblicare. Un manoscritto figlio di un miracolo che attraverso mani diverse da quelle che l’hanno scritto arriva proprio a Bobin che ne racconta la genesi.
Chrétien de Troyes, nel XII secolo, scrive “Parsifal il Gallese”. Parsifal è un cavaliere e cerca il sacro Graal ma è una ricerca faticosa e vana perché “è faticoso cercare quello che si ignora di cercare…“. Parsifal è stanco e, come tutte le persone stanche, si muove continuamente, senza riposo e senza amore. Esattamente come gli uomini contemporanei: “alla loro vita manca la vita“. Poi, anche per Parsifal, avviene qualcosa di minuscolo ma miracoloso: un cacciatore colpisce un’oca e alcune gocce di sangue cadono dal cielo macchiando la neve. Tre gocce di sangue. Parsifal smonta da cavallo e le osserva per un tempo lunghissimo. Il disegno creato sulla neve bianca dal sangue ricordano al cavaliere il viso di una giovane donna, l’amore provato e ora dimenticato. “La poesia comincia lì, in quel capitolo, verso la fine del dodicesimo secolo, su cinquanta centimetri di neve, quattro frasi, tre gocce di sangue“.
La bambina, come ogni domenica, ha appuntamento col cavallino bianco. Una bestia dal carattere complicato ed ombroso. Il papà (Bobin) l’accompagna come sempre e, come tutti i padri, adora la propria figlia. La bimba lo sa. Quindi va orgogliosa di ciò che impara e ama che suo padre non la perda d’occhio. “Nei suoi giochi c’è talvolta quel grido che lanciano tutti i bambini, quella domanda dalla terra al cielo, e dal cielo alla terra, quella frase ovunque mendicante, quell’ondata di verità: guardami, guardami“. Il richiamo legittimo e caloroso dei bambini. E’ un richiamo d’amore e di cura. Ma anche d’orgoglio e fierezza. L’età cambierà, come la bambina, il cavallo e le domeniche. Ma al papà resterà il racconto di quelle giornate di sole al maneggio perché nulla toccherà l’eternità di questa storia: “guardami, guardami“.
Ovviamente “Mille candele danzanti” è un ottimo libro. Lo dico da lettrice innamorata di Christian Bobin. Un autore che rimane difficile da spiegare e difficile da recensire come meriterebbe. Qualcosa della sua arte, purtroppo, sfuggirà sempre perché destinata a rimanere relegata nelle regioni più intime di chi legge. E’ un sentire condiviso e stupefatto che non riesco a riportare per iscritto. Nonostante questo, però, provo a condividere tutto quello che di Christian Bobin riesco a leggere, considerando che trovare i suoi libri, spesso, è un’impresa: pochi lo conoscono, pochi lo considerano, pochi lo distribuiscono. Purtroppo.
Edizione esaminata e brevi note
Christian Bobin, “Mille candele danzanti“, Camelozampa, Monselice (PD), 2008. Traduzione di Sara Saorin. Titolo originale: “Une petite robe de fête” (1991).
Pagine Internet su Christian Bobin: Wikipedia (fr)
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