Gersão Teolinda

Big brother isn’t watching you e altre storie

Pubblicato il: 25 Novembre 2013

Il titolo originale di questo libro è un altro. “Big brother isn’t watching you” è solo il titolo di uno dei 14 racconti in esso contenuti e che, evidentemente, è stato preferito come titolo nell’edizione italiana. Le ragioni di variare e non tradurre l’originale “Historiás de Ver e Andar” non sono a me chiare ma, anche in questo caso, temo che non sia stata una scelta leale. Andiamo avanti. E’ la prima volta che leggo qualcosa di Teolinda Gersão, scrittrice considerata tra le voci più interessanti del panorama letterario portoghese. In questi suoi racconti ho trovato un’autrice che si sofferma, con una certa spietatezza e, forse proprio per questo, con discreta coscienza, su alcuni dei malanni sociali che travolgono la nostra era. Nei suoi racconti ci sono persone sole, persone annoiate, persone malate. In ogni caso persone qualunque. Non hanno necessariamente un nome né un volto, ma hanno una voce. La loro. Quella che la Gersão immagina, raccoglie e trasferisce sulla pagina con abilità letteraria ed attenzione di donna. Creare mondi e profondità attraverso vite ed ispirazioni è un’arte delicata. Dietro c’è l’occhio di chi scruta con intelligenza la realtà e da essa trae spunti ed illuminazioni.

Il racconto che, più di altri, ha segnato la mia lettura è, neanche a dirlo, “Big brother isn’t watching you“. Una vicenda che è un po’ lo specchio e la condanna della società dell’immagine. Non solo verosimile, ma spietatamente reale. “Scegliemmo Tânia perché non ne avremmo sentito la mancanza, era sgraziata e inespressiva, si vedeva subito che non avrebbe fatto niente nella vita. Fu per questo che pensammo a lei. Avrebbe potuto essere Elizabeth, o Carina, oppure Vanessa. Ma Elizabeth giocava bene a pallavolo, Carina ci pagava le birre e Vanessa aveva un fidanzato. Tânia era la migliore per morire, perché nella vita non serviva a niente“. Ragazzine qualunque, col mito della TV, della moda e dell’immagine. Stanche delle solite cose, dei soliti discorsi. Prima pensano solo a come sarebbe stato se avessero ucciso Tânia, poi la uccidono veramente. Fanno branco, un branco acefalo e senza rimorsi. In fondo a loro interessa apparire, fare in modo che qualcuno le scopra in fretta e che si inizia a parlare di loro sui giornali, in televisione ed ovunque sia possibile. “Basta che seguano la pista e ci scopriranno. Ma potevano pure venire, eravamo preparate. Eravamo dimagrite, avevamo comprato vestiti nuovi, cambiato il colore del rossetto e scelto un altro ombretto per gli occhi, che non avremmo dimenticato di aprire il più possibile, sotto la luce dei flash“. E tutto fila esattamente come le ragazzine assassine hanno previsto. “Nessuna di noi ha paura, né è preoccupata. Siamo sicure che tutto si concluderà con un bel tramonto a Miami“.

Ne “La vecchia“, invece, ho scovato la tenerezza desolata di una donna sola ed anziana. Identica a tutte le donne sole ed anziane che popolano il mondo. Una donna felice di quel poco che ancora la vita le regala: un posto vuoto su una panchina al parco, il panettiere che la saluta con cordialità e le chiacchiere simpatiche di un commesso di salumeria. Si accontenta di poco e vive di altrettanto poco. Ha le sue cose a cui badare e il suo tempo da riempire. “Di rado scriveva ai figli e ai nipoti, ma raramente, perché aveva capito che loro non avevano il tempo per leggere le lettere“. La morte non la spaventa, ma finire in un ospizio sì. Un giorno però sogna due uomini che bussano alla sua porta. Portano una bara e sembrano dei beccamorti. In realtà, osservandoli meglio, si accorge che sono solo due angeli un po’ stanchi e un po’ affannati. Sono venuti a prenderla per condurla verso un lungo viaggio. Lei è pronta, vuole solo indossare il vestito migliore e… portare con sé le sue galline.

Un’altra storia di solitudine, malattia e sofferenza è quella di “Un orecchio“. La donna chiama un telefono amico, come fa quasi ogni notte. Ha solo bisogno di un orecchio qualunque disposto ad ascoltarla. E’ una donna ferita da una storia d’amore. Persino banale, se si vuole. Le confidenze che la donna rivela all’orecchio che l’ascolta permettono a noi di conoscere il suo passato e di comprendere la sua sofferenza. Una donna ingannata perché ingenua o semplicemente troppo innamorata. Una vita che si è trasformata in una sorta di cortocircuito solo per colpa della sua incapacità di rinunciare ad un uomo che la circonda di un affetto falso ed interessato.

L’umanità raccolta in questi racconti è variegata e multiforme. Contiene i vaghi sensi di colpa del ricco ed indaffarato protagonista di “Sicurezza” o l’attesa delle buste piene di cibo da parte di bambini poveri ed affamati in “La visita“. Ma contiene anche l’allegra sventatezza di un’adolescente che ha una relazione con il padre di una sua amica (“Biglietto aereo per il Brasile“) o la crudele vendetta confessata a distanza di tempo di “Lettere spedite“. Teolinda Gersão combina lo strazio con il sogno, la crudeltà con l’ironia. I suoi personaggi parlano spesso in prima persona e, così facendo, sembrano diventare ancora più vicini e tangibili. Ciò che resta è una realtà fatta di tanti frammenti esistenziali in cui la felicità pura e completa non c’è e non potrà esserci. Non tutti i racconti mi hanno coinvolta e convinta allo stesso modo. Ho comunque apprezzato la concretezza a la forza della scrittura della Gersão e, soprattutto, lo sguardo disincantato e sensibile di una scrittrice che non conoscevo.

Edizione esaminata e brevi note

Teolinda Gersão è nata a Coimbra nel 1940. Ha vissuto in Germania, in Brasile e in Mozambico. E’ stata docente presso al Facoltà di Lettere presso l’Università di Lisbona e poi ordinaria presso l’Universidade Nova di Lisbona. Il suo debutto letterario è avvenuto nel 1981 con “Silêncio”. Ha interrotto la sua carriera universitaria nel 1995, anno in cui ha scelto di dedicarsi prevalentemente alla scrittura. Grazie al romanzo “A Casa da Cabeça de Cavalo” (1995) ha ricevuto il Grande Prémio de Romance e Novela dall’Associação Portuguesa de Escritores. Mentre nel 2002, con “Historiás de Ver e Andar” (“Big brother isn’t watching you e altre storie” in Italia), ha ottenuto il Grande Prémio de Conto Camilo Castelo Branco. Le sue opere sono tradotte in francese, inglese, tedesco, arabo, rumeno, croato e ceco. In Brasile e negli Stati Uniti alcuni dei suoi racconti sono divenuti dei best-seller. Tra le sue opere più apprezzate: “Paisagem com Mulher e Mar e Fundo”, “A Árvore das Palavras”, “O Cavalo de Sol”.

Teolinda Gersão, “Big brother isn’t watching you e altre storie”, Edizioni dell’Urogallo, Perugia, 2013. Traduzione dal portoghese di Alessandra Della Penna. Titolo originale: “Historiás de Ver e Andar”, Dom Quixote, Lisbona, 2002.

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